giovedì, luglio 26, 2012
Parlano i giudici Camassa e Tarondo: Vent'anni dopo la politica non è cambiata  

Liberainformazione - C’è una tomba in Italia dove da 20 anni non c’è scritto il nome di chi vi è sepolto. C’è la foto, ma il nome no. Quasi fosse non pronunziabile e quindi nessuno deve leggerlo. Solo per poco tempo su questa tomba, nel cimitero di Partanna, Valle del Belice, vi fu posta una lapide, un libro di marmo dove c’era scritto Rita Atria; lei fu la giovane testimone di giustizia morta suicida a Roma il 26 luglio del 1992, sconvolta dalla strage che le aveva ucciso quello che era diventato per lei il suo nuovo padre, Paolo Borsellino. Ma la mamma della giovane, vedova di mafia, andò presto a distruggere quelle lapide. Giovanna Cannova continuò a rinnegare la figlia Rita anche quando questa morì suicida lanciandosi nel vuoto dal sesto piano di una palazzina di via Amelia a Roma, dove era sotto custodia del servizio protezione collaboratori di giustizia, lei non era una “pentita” ma una testimone di giustizia. Rita era stata ripudiata dalla madre per essere diventata “testimone”. Aveva 17 anni quando a Borsellino, Rita Atria svelò l’incredibile conoscenza della mafiosità che aveva fino ad allora respirato: suo padre, Vito Atria, era uno di quelli che passava per “ntiso” nel suo paese, Partanna, Valle del Belice, provincia di Trapani. “Don” Vito era un mafioso vecchio stampo, faceva parte di quella mafia che già allora parlava con la politica e che però non voleva sporcarsi le mani con la droga e a quell’epoca significava mettersi contro i corleonesi che invece stavano riempiendo il trapanese di “raffinerie” di eroina.

Don Vito Atria aveva 45 anni quando lo ammazzarono nel 1985. Passarono sei anni e toccò stessa sorte a Nicola Atria, figlio di don Vito e fratello di Rita. Lo andarono ad ammazzare nella sua pizzeria di Montevago, lui riuscì ad allontanare da se la moglie, Piera Aiello, in tempo prima che il piombo lo fulminasse per sempre. Era il 1991 e una sera il sostituto procuratore di Marsala Alessandra Camassa ricevette una telefonata dal suo capo, il procuratore Paolo Borsellino: “Mi disse – ricorda il magistrato - che l’indomani di buon mattino dovevo essere in ufficio per ascoltare una persona”. Era Rita Atria, per cercare vendetta decide di usare la giustizia.

Ma presto accade altro: “Lei – ricorda ancora il giudice Camassa - che scopre un nuovo mondo fatto di legalità e lealtà e non si fa più guidare dallo spirito di vendetta, ma dalla voglia di cambiare, la voglia di vedere altre donne denunciare e rifiutare la mafia”. Per sconfiggere la mafia – scrisse un giorno Rita – devi sconfiggere quella che tu porti dentro”, lei se ne liberò raccontando ai magistrati tutto quello che sapeva per averlo ascoltato.

Rita Atria puntò il dito contro mafiosi e politici che si sedevano con i mafiosi. Accusò l’allora sindaco, Vincenzino Culicchia, questi uscì assolto dal processo, oggi ottantenne, è ancora in politica, capace di fare eleggere sindaci, è vice presidente della Provincia, e sostiene, politicamente, il pm che allora lo accusò, Massimo Russo, oggi assessore alla Sanità e candidato in pectore a sostituire il presidente Lombardo. Il Comune di Partanna dopo anni di silenzi ha deciso di seguire ufficialmente oggi pomeriggio la manifestazione indetta da Libera (alle 17 è previsto un corteo, la visita al cimitero e alle 19 la messa celebrata dal vescovo di Mazara mons. Domenico Mogavero con don Luigi Ciotti), se sarà una partecipazione di facciata lo si saprà non appena ci sarà da decidere come risolvere il problema di quella tomba senza nome.

Nel cimitero di Partanna tutte le altre tombe recano un nome, ci sono anche quelli che furono accusati da Rita Atria, sono nomi che si incontrano anche leggendo gli atti giudiziari che sono stati realizzati grazie alla testimonianza di Rita, lei però il suo nome in quel cimitero non lo ha avuto scritto da nessuna parte. Sullo sfondo di questa storia resta un mondo politico che in generale resta sordo ai richiami lasciati da Rita Atria, “qui – dice il pm Andrea Tarondo parlando della provincia di Trapani – c’è una politica che continua a stringere mani che non dovrebbe stringere, che non rispetta la distanza di sicurezza dalla mafia e peggio ancora c’è chi nelle istituzioni non si preoccupa nemmeno di evitare che ministri stringano mani che non dovrebbero stringere”.

Appena lunedì scorso a Trapani è arrivato il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri a firmare un protocollo contro mafia e corruzione assieme anche ad un sindaco condannato per favoreggiamento, Camillo Iovino, primo cittadino a Valderice, o anche al presidente della Provincia Turano che di recente in Tribunale ha esternato franchezza dicendo di sapere alla pari di tanti altri che la sanità trapanese era governata da un politico discusso e in odor di mafia, l’andreottiano Pino Giammarinaro, senza però spiegare come mai si accettava quella “inquinante presenza”. Il ministro Cancellieri, assieme al ministro Ornaghi, Beni Culturali, si sono visti andare in giro per la città con il senatore Antonio D’Alì, quel politico che secondo la Dda aiutò Matteo Messina Denaro e che dal 5 ottobre sarà sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.

“Oggi davanti al sepolcro senza nome dove riposa Rita Atria – dice Salvatore Inguì coordinatore provinciale di Libera - siamo qui a ricordare a tutti che le mafie ci sono e sono in mezzo a noi, ci sono i mafiosi ed i loro complici che siedono anche nei Palazzi delle Istituzioni, governano le imprese e le economie. In questa provincia di Trapani restano ancora in giro quei lupi che un giorno di settembre del 1988 azzannarono a morte Mauro Rostagno, che hanno partecipato a pianificare le stragi e gli attentati, che hanno festeggiato per la morte di Falcone e Borsellino. C’è una politica che resta fatta degli stessi uomini di sempre, quelli che usciti anche assolti dalle aule dei Tribunali non li abbiamo mai sentiti fare mea culpa e che continuano a stringere mani insanguinate. Ci danno fiducia i giovani che invece senza colpe da scontare oggi sono qui nelle terre che portano il Tuo nome per lavorare e togliere i beni ai mafiosi, che partecipano per restituire queste terre alla gente comune, onesta, operosa. Noi oggi saremo Partanna per fare promesse solenni dinanzi alla tomba di Rita: lavorare per denunziare le contraddizioni irrisolte, le occasioni sprecate, definire il cammino da riprendere, non abbiamo per nulla voglia di abbassare la guardia, chi decide di seguirci sa che non sarà una passeggiata e sa che non ci sono passerelle da attraversare”.

Se ancora oggi il nome di Rita Atria non potrà esserci sulla sua tomba ci sarà sui terreni confiscati a Messina Denaro e nel nome di Rita torneranno produttivi.

di Rino Giacalone


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