La situazione dell'isola è gravissima dal punto di vista economico e sociale e il premier Monti è intervenuto con decisione. Per risollevarsi, la Regione, guidata da Lombardo, ha bisogno dell'aiuto del governo e della voglia di cambiamento dei siciliani.
Città Nuova - Il presidente del consiglio Mario Monti è intervenuto nei giorni scorsi nei confronti del presidente della regione Sicilia Raffaele Lombardo, sollecitando una conferma della sua decisione di rassegnare le dimissioni alla fine di luglio, paventando i rischi di un possibile default della Regione, con negative ricadute a livello nazionale. C’è da osservare in primo luogo che con la sua dichiarazione nei confronti della Sicilia, Monti non fa capire esplicitamente dove intenda arrivare: forse è vaga e un tantino criptica. C’è in vista un possibile commissariamento? E, in secondo luogo, essa è certamente irrituale, forse sconveniente sul piano strettamente formale.
Ciò premesso, la sostanza è che la Sicilia vive oggettivamente una condizione assai difficile e questo è un problema che riguarda anche il governo nazionale: ritengo perciò che Monti abbia tutto il diritto e persino il dovere di intervenire. Le modalità scelte possono forse apparire irrituali, la forma anomala, i tempi inconsueti. Avrebbe potuto e dovuto farlo magari in forme riservate e più istituzionali, ma questo é secondario rispetto alla realtà delle cose ed allo stato di crisi della Sicilia, che é più importante della presunta violazione della sua autonomia regionale, che finora è stato il principale argomento nei commenti dell’accademia politica.
Lo stato delle cose è che la Regione Sicilia ha problemi serissimi di bilancio, a far pareggiare i conti fra le sue entrate e le uscite, e soprattutto importanti sofferenze di cassa. Ma se è vero che minimizzare i problemi è sbagliato, ingigantirli è strumentale. Se una cosa appare chiara è che siamo giunti al capolinea (speriamo senza ritorno), di una cultura politica che ha attraversato tutti i partiti che si sono avvicendati al governo e le classi dirigenti dell’isola dell’ultimo mezzo secolo, imprenditori compresi. Per tutti la Regione è stata la vacca da mungere, punto e basta.
Ed é davvero risibile che le critiche più aspre vengano, in Sicilia, da parti politiche che l’hanno governata piú a lungo di altre parti. Si tratta di un processo di rimozione o che altro? Ci sono esponenti di partiti che sono stati al governo della Regione sempre, compresi gli ultimi 11 anni, che oggi si mostrano fra i più critici, magari sol perché da qualche mese non fanno più parte dell’attuale giunta, e si ergono a censori e maestri di virtù.
Negli ultimi giorni, le prime pagine dei media sono dedicate alla Sicilia, presentata come ricettacolo di tutti i mali. È fuori discussione, tuttavia, che anche lo Stato abbia grandi colpe ed omissioni nei confronti della Sicilia, persino in riferimento alla mancata spesa dei fondi europei, ad esempio attraverso Anas e Ferrovie dello Stato.
Il commissariamento probabilmente non serve e magari non è veramente possibile. Ciò detto, però, rifondare la Regione su criteri di efficienza, trasparenza e merito è assolutamente necessario e per far questo un raccordo con lo Stato è indispensabile, perché bisogna cambiare tutto. C’è un problema di tenuta sociale di cui la Sicilia da sola non può farsi carico dovendo rispettare i tagli imposti da Roma.
Naturalmente serve - e questo è il punto - una cultura politica che sappia troncare definitivamente l’assistenzialismo, il clientelismo, la lottizzazione, di cui Lombardo è stato soltanto l’ultimo interprete, non certo l’unico (se si pensa che il suo immediato predecessore, Totò Cuffaro, sta scontando in carcere una condanna in via definitiva a sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia). Le condizioni attuali della Sicilia sono il risultato di decenni vissuti da una classe politica che ha lucrato consensi e potere su quella cultura politica.
Le elezioni anticipate giungono opportune per risanare la Regione. Solo i siciliani potranno tirare fuori la Sicilia da dov’è, con un progetto chiaro di cambiamento senza ritorno condiviso dalla maggioranza di essi. Nei giorni della memoria dell’assassinio di Paolo Borsellino un auspicio: nessun partito candidi più nelle proprie liste condannati per reati di mafia.
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