A meno di 24 ore dal suicidio di un detenuto tunisino di 25 anni nel carcere romano di Regina Coeli, oggi visita a sorpresa del ministro delle giustizia Severino.
Radio Vaticana - La struttura è al centro delle cronache anche perché il centro diagnostico e terapeutico al suo interno rischia di chiudere per gravi carenze strutturali e igienico sanitarie. I frequenti casi di detenuti che si tolgono la vita riportano sotto i riflettori le condizioni di vita degli istituti di pena italiani, particolarmente pesanti in queste calde giornate estive. Lo conferma, al microfono di Paolo Ondarza, don Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli: ascolta R. – Certamente, il caldo è un fattore che rende pesantissima la situazione; ma il discorso è molto più ampio e riguarda la carcerazione in quanto tale: la carcerazione dovrebbe essere riservata soltanto ai casi limiti, più gravi, invece se ne fa un uso disinvolto anche per i reati più leggeri.
D. – Proprio questo pomeriggio il ministro della giustizia, Paola Severino, si è recata in visita a sorpresa nel carcere di Regina Coeli. Più volte si è parlato dell’importanza delle misure alternative. Secondo lei c’è un’attenzione oggi per questa soluzione?
R. – E’ una richiesta che noi operatori stiamo facendo a tutti livelli, a voce alta e a voce bassa in tutte le sedi. Ci auguriamo che questa voce venga ascoltata, perché a mio avviso – vivendo in mezzo a questa realtà da tanti anni - è una strada percorribile, che da realmente risultati positivi. Lo confermano le percentuali dove le recidive delle persone che hanno ricevuto misure alternative, si abbassano. A mio avviso, quindi, è una strada da percorrere.
D. – Cosa bisogna fare perché quello di ieri sera non diventi solo l’ennesimo caso di suicidio, destinato ad essere dimenticato?
R. – La realtà carcere è una realtà dura. I molti che arrivano a vivere questa esperienza, sono persone che hanno già problemi a livello psicologico, a livello famigliare e affettivo; nel carcere questi problemi si accentuano. Cosa bisogna fare? E’ un po’ difficile dare una risposta. Quello che si potrebbe fare è lavorare a monte, ovvero, riservare la realtà del carcere solo a situazioni molto molto gravi.
D. – Di questi giorni la notizia che il centro diagnostico e terapeutico del Regina Coeli rischia la chiusura per gravi carenze di carattere strutturale. Stiamo parlando di una struttura di rilievo nazionale della medicina penitenziaria...
R. – Purtroppo se non si interviene, si impoverisce ulteriormente la possibilità di accompagnare le persone in difficoltà, perché uscire dal carcere per farsi curare, quindi ottenere un permesso, comporta una trafila che non finisce più: i giudici devono dare i permessi, gli ospedali devono dare la disponibilità e non sempre la danno, per le ragioni dovute alla presenza di un detenuto. Si aggrava quindi ulteriormente la possibilità di stare vicino a questa gente.
D. – In questo momento in cui tutti siamo preoccupati per la crisi economica in atto, c’è poca attenzione per il mondo carcere?
R. – Non è il mondo carcere, ma sono tutti gli ambiti che godono di poca visibilità ad essere sacrificati. Sono gli ambiti più colpiti dai tagli.
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