sabato, agosto 11, 2012
All’età di 28 anni, il 13 giugno di quest’anno Chiara lascia questa terra per tornare alla casa del Padre. Storia di una madre che, per amore, rinuncia alle cure necessarie a debellare un pericoloso tumore, diagnosticatole durante la gravidanza, per dare alla luce il suo figlioletto. Una luminosa testimonianza di fede in Cristo e di speranza nella vita in un mondo sempre più stanco e rassegnato.

di Bartolo Salone

Raramente succede di imbattersi in una vicenda come quella di Chiara e ancor più raramente capita che i media se ne interessino. Le cronache mondane sono sempre molto attente agli eventi di morte e di distruzione e così disattente alle notizie di vita: non sarà questo uno dei tanti effetti di quella inquietante attrazione per il male che serpeggia nel cuore dell’uomo e che la teologia cattolica riconduce alla realtà del peccato originale? Ebbene, la storia di Chiara, al di là del finale (in apparenza) tragico, è sicuramente una storia di vita: una vita ricevuta, accolta e infine donata. Perché la vita – come ci insegna il Vangelo – non si trasmette se non donandola: chi è chiuso alla prospettiva del dono di sé non solo non riesce a dare vita, ma finirà col perdere addirittura la propria di vita. Questo messaggio (così scomodo per la mentalità dei nostri tempi) Chiara lo aveva compreso pienamente, nonostante la giovane età, incarnando con coerenza e coraggio gli ideali evangelici nella sua intensa e meravigliosa esperienza di madre.

La maternità per Chiara non è mai stata rivendicata come un diritto né concepita come uno “strumento” di autorealizzazione personale, ma è stata vissuta piuttosto come vocazione ad accogliere, ad accompagnare e a difendere la vita nascente fin dove possibile, senza risparmiare nulla di sé. Tre le gravidanze che questa giovane donna dal 2008 si è trovata ad affrontare, sempre fra notevoli difficoltà e prove. Alla prima figlia, Maria Grazia Letizia, venne diagnosticata un’anencefalia: sarebbe vissuta mezz’ora dopo il parto, giusto il tempo di battezzarla e di darle un abbraccio prima di riconsegnarla al Padre. Anche il secondo figlio, Davide Giovanni, affetto da gravi malformazioni (l’ecografia aveva mostrato l’assenza delle gambe), chiuderà gli occhi dopo essere stato dato alla luce. Mai Chiara pensò di ricorrere all’aborto, benché la legge italiana in questi casi consenta tranquillamente di interrompere la gravidanza anche dopo il terzo mese di gestazione: in lei era chiara la consapevolezza che il suo compito di madre era quello di accompagnare i figlioletti in tutta la loro esistenza, assicurando il meglio che un genitore in casi del genere possa offrire, a cominciare dal battesimo per la salvezza dell’anima. Poco importa se questi figli avrebbe potuto goderseli per poco.

Arriva, infine, il terzo figlio, Francesco, dei tre il solo sano. Questa volta, però, la malattia si abbatte sulla mamma, alla quale viene rilevato un tumore. Anche in questo caso Chiara non si lascia intimorire e, rinnovando la sua fiducia in Dio, decide di portare a compimento la gravidanza, rinunciando nel frattempo a curarsi per non mettere a repentaglio la vita del bambino. Solo dopo il parto inizierà il ciclo di chemio e radioterapia, ma a quel punto sarà troppo tardi, perché il cancro si è già diffuso nel corpo. Una scelta, quella di Chiara, niente affatto scontata, neppure per un cristiano, e che pertanto ha dell’eroico (e lascia ben sperare all’apertura di un processo di beatificazione). Si consideri, infatti, che, seppur la Chiesa condanni qualsiasi forma di aborto diretto – ripudiando la stessa definizione di aborto “terapeutico”, in quanto di terapeutico la soppressione di un essere umano di per sé non ha nulla - tuttavia non preclude alla gestante la possibilità, in casi particolarmente gravi, di ricevere le cure e di sottoporsi agli atti chirurgici necessari a sconfiggere la malattia, quand’anche potesse derivarne, quale conseguenza “collaterale”, in nessun caso voluta, la morte del feto (così Pio XII in un discorso al “Fronte della famiglia” e all’Associazione famiglie numerose del 27 novembre 1951).

Eroica, nel senso cristiano ed evangelico del termine, non è però soltanto la scelta in sé di privilegiare la vita del bambino fino al punto di posticipare le cure mediche necessarie e urgenti (scelta che va ben al di là – come si visto – di quanto la Chiesa stessa pretende da un “buon” cristiano): eroica è anche la serenità, del tutto sovrumana, con cui Chiara ha affrontato quest’ultima prova e che traspare limpidamente dalle sue stesse parole (pronunciate nel gennaio del 2011): “Nel matrimonio il Signore ha voluto donarci dei figli speciali: Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, ma ci ha chiesto di accompagnarli soltanto fino alla nascita, ci ha permesso di abbracciarli, battezzarli e consegnarli nelle mani del Padre in una serenità e una gioia sconvolgente. Ora ci ha affidato questo terzo figlio, Francesco, che sta bene e nascerà tra poco, ma ci ha chiesto anche di continuare a fidarci di Lui nonostante un tumore che ho scoperto poche settimane fa e che cerca di metterci paura nel futuro, ma noi continuiamo a credere che Dio farà anche questa volta cose grandi”. Niente rimpianti, niente paura, niente disperazione nelle parole di Chiara Corbella, ma soltanto fiducia nel futuro e speranza nella vita, quella fiducia che solo la fede in Dio può dare. Un radioso modello di speranza cristiana quello che Chiara consegna a noi padri e madri del terzo millennio, spesso così stanchi e delusi, perché non smettiamo di credere nella vita e nel Dio della vita.

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