Si avvicina l’inizio delle Paralimpiadi di Londra 2012, giunte ormai alla 14.ma edizione e in programma dal 29 agosto.
Radio Vaticana - Tra gli atleti in gara, anche l’italiana Assunta Legnante, che gareggerà per una medaglia nel lancio del peso. Alla sua prima partecipazione ai Giochi Paralimpici, l’atleta, non vedente dal 2009, vanta già un curriculum di tutto rispetto, con due ori e due argenti alle spalle e la partecipazione ai Giochi Olimpici di Pechino 2008. Luca Pasquali le ha chiesto quali siano i suoi obiettivi: ascolta
R. – Fare sicuramente del mio meglio e poi quel che arriva, se più medaglie o una sola o due, meglio ancora, sempre con la consapevolezza di dare il massimo.
D. – Lei partecipò alle Olimpiadi di Pechino del 2008 e oggi alle Paralimpiadi. Ci racconta qualcosa della sua storia?
R. – Io, in poche parole, ho partecipato a Pechino 2008, perché per 15 anni ho fatto atletica leggera, tra i normodotati. Nel 2009, però, ho avuto un incidente che, col passare degli anni, mi ha portato a perdere la vista. Quest’anno ho avuto la possibilità di ritornare a gareggiare, ad allenarmi come prima, e quindi questo ha portato anche la convocazione alle Paralimpiadi.
D. – C’è stato un momento in cui ha pensato al ritiro?
R. – Io, per tre anni, dal 2009 a marzo scorso, non ho praticato sport, anche perché ho provato in tutti i modi, nei vari ospedali, con i dottori, a recuperare quel poco di vista che si poteva. Poi, alla fine, quando ho avuto la certezza di rimanere cieca, allora ho detto: “Perché non ricominciare?”. Ci siamo messi a tavolino e abbiamo deciso di riprovarci.
D. – Seguiva già le Paralimpiadi?
R. – Ho seguito qualcosa in passato, ma non è che avessi una conoscenza in toto del mondo paralimpico.
D. – C’è un modello o qualcuno a cui si ispira?
R. – No, nessun modello. Non mi ispiro a nessun modello, perché l’atletica è uno sport a livello individuale e alla fine devi solo guardare ciò che fai tu in pedana e tentare di fare il meglio.
D. – Com’è la giornata tipo di un atleta, soprattutto a ridosso dei giochi?
R. – Una giornata normale. In poche parole, vita casalinga, allenamenti e nient’altro, tranne magari qualche uscita con gli amici.
D. – La sua storia potrebbe essere da esempio per tante donne, che si trovano a dover affrontare momenti di grande difficoltà. Quale messaggio si sentirebbe di lanciare?
R. – Io dico sempre che la cecità è una condanna più mentale che fisica. Basta non soffermarsi sui problemi di tutti i giorni e cercare di superarli, perché alla fine anche non vedendo c’è una vita. Possiamo fare tutto ciò che fanno le persone che vedono.
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