La tempesta tropicale Isaac ha colpito Haiti, uccidendo almeno tre persone, una donna e due bambine.
Radio Vaticana - Il bilancio ancora provvisorio dei danni parla di case danneggiate, di alberi sradicati e di interruzione di elettricità nella capitale Port au Prince. 5000 in tutto gli evacuati dai campi sfollati dove vivono le vittime del terremoto di due anni fa. Proprio sulla condizione della popolazione haitiana, alle prese con un’emergenza continua, Federico Piana ha raccolto la testimonianza di suor Marcella Catozza, che lavora in una bidonville della capitale Port-au-Prince: ascolta
R. - Prima del terremoto, Haiti non era molto conosciuta e neanche meta di progetti di sviluppo. Il terremoto porta il mondo alla conoscenza della difficile realtà di Haiti, già molto difficile prima. Quindi, le Ong sono arrivate in massa. Finiti i progetti, finiti gli aiuti, le Ong per la loro stessa natura, raccolgono le cose e vanno altrove…
D. - Però il problema della ricostruzione rimane...
R. - Ed è grande. Non c’è e non c’è stata, perché la situazione di Haiti nel momento del terremoto, era già una situazione disastrosa. È già un Paese che non ha infrastrutture, non ha ospedali, scuole, strade, acqua corrente. Arriva la catastrofe del terremoto, abbiamo 350 mila morti, la distruzione totale di alcuni quartieri, 17 ministeri su 18 rasi al suolo. Questo Paese da dove potrebbe iniziare la ricostruzione? Non basta arrivare, spostare le macerie e ricostruire, perché ricostruiamo nello stesso punto, senza gli stessi servizi, nello stesso caos architettonico che c’era prima. Sicuramente su Haiti ci sono tanti interessi economici, politici, sociali che hanno determinato un po’ un certo ristagno.
D. - Che cos’è che si inceppa nel meccanismo di ricostruzione?
R. - Si inceppa la storia di Haiti! Haiti è un Paese che ogni due anni ha un colpo di Stato, per cui non c’è mai stato un desiderio di sviluppo vero del Paese. Siamo ancora lì; siamo ancora con una classe politica che si sta formando. Ci sono anche molte interferenze straniere.
D. - La comunità internazionale, secondo lei, ha abbandonato Haiti e Haiti si sente abbandonata?
R. - Non si può parlare se non ci sono dei volti. Cosa vuol dire la comunità internazionale? Siamo ancora lì, i progetti di sviluppo si sono scontrati contro la rigidità di un Paese che stenta a trovare la sua strada e la gente si stanca e se ne va. È un Paese difficile.
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