Non si arresta l’esplorazione di nuove terre alla conquista dell’oro nero. Fra le prime mete spicca il Polo Nord, ricco di giacimenti di gas e di petrolio.
di Paola Bisconti
Dai freddi ghiacciai del Polo Nord fino alle calde terre africane attraversate dall’Equatore è sempre aperta la corsa all’oro nero: i nuovi eldorado fanno sfregare le mani ai potenti imprenditori ma anche ai politici che rilasciano loro le concessioni esplorative. Meno entusiasta delle nuove strategie di ricerca petrolifera è la popolazione mondiale, costretta ad assistere a tanti disastri ambientali. Questo è uno dei rischi che comporterà l’estrazione di gas e di petrolio nell’Artico, dove, fra l’altro, gli studiosi riconoscono di avere profonde lacune riguardo la conoscenza dell’ecosistema nelle acque glaciali. L’habitat naturale degli orsi polari, delle balene e di 45 specie di uccelli migratori sarà invaso dalle piattaforme che la Shell installerà sul territorio artico: il progetto prevede la perforazione di 6 pozzi nel mare di Chukchi, in una zona distante 70 miglia dalla costa e a 140 m di profondità. Le trivellazioni dovranno essere obbligatoriamente effettuate nel periodo estivo, entro il 1° novembre, prima che si riformi il ghiaccio. La multinazionale sembra non temere le difficoltà che comporterà l’esplorazione di questa terra ed è pronta ad affrontare le tempeste e i lunghi mesi di buio invernale pur di “invadere” uno degli ambienti più incontaminati del mondo.
Le associazioni ambientaliste, tuttavia, si stanno prodigando affinché non venga deturpato questo tesoro mondiale. Ma poco distante dalle coste dove si accoppiano e si riproducono gli orsi, nel mare di Barents, è già stata installata la prima piattaforma dell’Artico, la Prirazlomnaya, appartenente alla Gazprom, azienda russa sostenuta da Vladimir Putin, che ha dichiarato senza alcuna esitazione che “i giacimenti nell’Artico sono le nostre riserve strategiche del ventunesimo secolo”.
Dall’Alaska all’Africa non c’è pace per i popoli che vivono in questi luoghi di particolare bellezza. Che il continente a sud del mondo sia sempre stato sfruttato dai colonizzatori non è certo una novità, ma la prepotenza con la quale si distrugge l’ambiente con il solo scopo di arricchire le già potenti società multinazionali sorprende sempre. La francese Total e l’italiana Eni sono convinte di trovare un “bottino” inestimabile nel territorio dei Monti Viruga, nel Congo, ossia nel parco nazionale più antico dell’Africa, dove si trivellerà ma soprattutto si inquinerà. Il progetto della Total che ha siglato un accordo con l’azienda sudafricana SacOil e sembra stia per coinvolgere anche l’italiana Eni è stato ritenuto illecito in quanto una legge congolese emanata nel 1969 vieta l’esplorazione minerarie e petrolifere nei parchi nazionali. Nonostante l’importanza di questo decreto, 41 parlamentari del Nord Kivu hanno precisato a Josè Endundo Bononge, ministro dell’ambiente, che attraverso la risoluzione Onu n° 1514 si proclama il diritto dei popoli a disporre delle loro risorse naturali. Raggirare un concetto con l’obiettivo di speculare è ciò che riesce meglio ai responsabili di alcuni scempi davvero clamorosi.
È quello che sta accadendo per esempio anche a Sumatra, in Indonesia, dove la multinazionale AP&P (Asia Pulp and Paper) sta provocando il disboscamento delle foreste per produrre il packaging di giocattoli per altre multinazionali come la Disney e la Mattel. Ogni anno vengono distrutti 1600 km di foresta e gli alberi sono poi impiegati per produrre polpa di cellulosa e olio di palma; gran parte di questo è destinato anche a numerose aziende italiane. La deforestazione costringe le tigri a cercare un nuovo habitat naturale, spesso vicino alle città, dove vengono catturate, intrappolate e spesso fatte morire lentamente a causa delle sofferenze.
Greenpeace, WWF, GreenWatch, Asoquimbo e molti sostenitori degli ecologisti si ribellano costantemente contro i progetti di devastazione ambientale, spesso tramite petizioni e manifestazioni con cui gridano il proprio no all’inquinamento e allo sfruttamento della Terra. Ma può accadere anche che la contestazione, seppur pacifica, subisca delle repressioni violente da parte delle forze dell’ordine. In Colombia per esempio l’impresa spagnola Emgesa, controllata dall’italiana Enel, costruirà una mega diga nel fiume Magdalena. Si tratta di un’arteria idrica lunga 1500 km che consente il sostentamento alle persone che vivono nelle 18 regioni bagnate dal fiume (leggi il nostro articolo). Il video realizzato dai due giornalisti Vladimir Sànchez, costretto all’esilio, e Federico Bruno, trattenuto per svariate ore in questura dalla polizia, dimostra con quanta violenza è stata repressa la manifestazione da parte degli squadroni antisommossa dell’Esmad.
La gravità dei progetti disseminati nei vari continenti da una parte fa scaturire un profondo dissenso nei cittadini e dall’altra fa aumentare la consapevolezza di quanto si può essere impotenti di fronte ai colossi economici e politici, che pur di vincere la loro partita e riempirsi le tasche di denaro sono pronti a mettere a tacere chi esprime il proprio disappunto, a ignorare gli appelli e a bendarsi gli occhi.
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