mercoledì, agosto 29, 2012
Anche in Italia lo spreco arriva ad altissimi livelli, circa un terzo del cibo viene buttato

Greenreport - Mentre il governo italiano pensa ad una tassa su bibite analcoliche e superalcolici con zuccheri aggiunti e con edulcoranti di 7,16 euro per ogni 100 litri a carico dei produttori di bevande analcoliche e di 50 euro ogni 100 litri per i produttori di superalcolici, da destinare «al finanziamento dell'adeguamento dei livelli essenziali di assistenza», dagli Stati Uniti d'America arrivano i dati di un rapporto (Wasted: How America is Losing Up to 40 Percent of Its Food from Farm To Fork to Landfill ) che fanno pensare che, più che alle tassazioni su consumi devastanti per la salute - fino a diventare emergenze sociali come l'obesità e l'alcolismo - bisognerebbe pensare a politiche urgenti per cambiare un modello di consumo che produce ingiustizia globale e malattie da benessere nemmeno più "percepito".

Secondo un rapporto del Natural resources defense council (Nrdc), «gli americani stanno buttando via il 40% del cibo degli Stati Uniti, l'equivalente di 165 miliardi di dollari in cibo non consumato ogni anno». Il tutto mentre gli stessi americani rischiano di rigettarsi nelle braccia dei neoconservatori accusando Obama di essere colpevole delle diminuzione del loro (altissimo) tenore di vita e di consumi e spreco. Il tutto mentre la siccità che colpisce gli Usa ha portato i prezzi dei generi alimentari alle stelle.

Le stesse percentuali di cibo che finisce nella spazzatura valgono per altri ricchi Paesi anglosassoni: Canada, Australia e Nuova Zelanda, ma anche in Italia le percentuali di questo vergognoso spreco da iperconsumo arrivano intorno al 30%. La Nrdc dice che è necessario ridurre il cibo ed i soldi sprecati nelle fattorie, nei negozi di alimentari e nelle case. L'autrice dello studio, Dana Gunders, responsabile del progetto cibo ed agricoltura dell'Nrdc spiega: «Come paese, stiamo sostanzialmente buttando nel WC la metà del cibo che troviamo lungo il nostro cammino, che è denaro e risorse preziose. Mentre il prezzo del cibo continua a crescere e la siccità mette a repentaglio gli agricoltori a livello nazionale, ora è il momento di accogliere tutte le straordinarie opportunità non sfruttate per ottenere di più dal nostro sistema alimentare. Si può fare di meglio».

Il rapporto analizza gli ultimi studi ed i dati del governo sulle cause e l'entità delle perdite di cibo a tutti i livelli della catena di approvvigionamento alimentare Usa. Vengono anche forniti esempi e consigli per ridurre questo tipo di rifiuti.

I principali risultati indicano che: gli americani buttano ogni anno nella spazzatura il 40% dell'approvvigionamento alimentare, per un valore di circa 165 miliardi di dollari; la famiglia americana media di quattro persone ogni anno finisce per gettare via fino ad un equivalente di 2.275 dollari in prodotti alimentari; i rifiuti alimentari sono il singolo componente più grande dei rifiuti solidi nelle discariche Usa; solo una riduzione del 15% delle perdite dell'approvvigionamento alimentare degli Usa permetterebbe di risparmiare cibo sufficiente per sfamare 25 milioni di americani ogni anno; dagli anni '70 c'è stato un balzo del 50% dei rifiuti alimentari degli Usa.

Quindi i cittadini statunitensi e quelli dei paesi sviluppati pagano già una forte tassa invisibile sul cibo e le bevande: quella dello spreco consumista e del marketing che spinge a comprare prodotti in eccesso.

Il rapporto Ndrc sottolinea che «le cause delle perdite nel nostro sistema alimentare sono complesse, ma ci sono rilevanti aree problematiche. Nel commercio al dettaglio, i negozi di alimentari ed altri venditori stanno perdendo 15 miliardi di dollari all'anno di sole frutta e verdura invendute, con circa la metà dell'attuale fornitura a livello nazionale non consumata. Infatti, i prodotti freschi vanno persi più di qualsiasi altro prodotto alimentare, tra cui pesce, carne, cereali e prodotti lattiero-caseari, in quasi tutte le fasi della catena di approvvigionamento. Alcune di queste perdite sono evitabili. Per esempio, i rivenditori possono porre fine alla pratica dell'inutile abbondanza che mostrano sui loro scaffali, che porta intrinsecamente al deterioramento degli alimenti».

Ma è l'ultimo anello della catena, il consumatore medio, che è una delle principali cause del problema, dato che la maggior parte dello spreco di cibo si verifica nei ristoranti e nelle cucine delle abitazioni. «Una significativa ragione di ciò sono le grandi porzioni, così come gli avanzi non consumati - scrive l'Nrdc - Oggi, le porzioni sono da due a otto volte più grandi delle dimensioni standard previste dagli standard serving sizes».

Sprecare il cibo significa anche sprecare risorse naturali, acqua, energia e più terreni agricoli necessari per far crescere prodotti che finiranno nella spazzatura. Significa più trasporti e supermercati. «Circa la metà di tutte le terre degli Usa va all'agricoltura - evidenzia il rapporto - e circa il 25% di tutta l'acqua dolce consumata in questo Paese, con il 4% del petrolio, va nella produzione di alimenti che non vengono mai mangiati. Inoltre, il cibo non consumato racchiude il 23% di tutte le emissioni di metano negli Usa, un potente inquinante del cambiamento climatico».

Cifre che delineano la follia di cosa ci stiamo combinando e di come questa economia drogata ci abbia portato alla crisi economica da iperconsumo ed a quella ecologica. Vista dalle pagine del rapporto Ndrc ogni esortazione politica alla crescita dei consumi non appare solo indecente, ma anche pericolosa.

Bisogna trovare altre strade, come quella di aumentare l'efficienza del nostro sistema alimentare, ma come dice Gunders, «è un soluzione triple-bottom-line, soluzione che richiede sforzi di collaborazione da parte del business, dei governi e dei consumatori».

Secondo l'Ndrc, il governo Usa dovrebbe condurre uno studio completo sulle perdite nel nostro sistema alimentare e fissare obiettivi nazionali per la riduzione dei rifiuti. Questo può richiedere passaggi come chiarire nelle etichette la data di scadenza del cibo, incoraggiando il recupero di cibo e sensibilizzando l'opinione pubblica sui modi per sprecare meno. Anche i governi statali e locali, possono guidare il processo fissando obiettivi simili. Il business deve cogliere le opportunità di razionalizzare le sue operazioni, ridurre le perdite alimentari e risparmiare denaro. La catena di drogherie Stop and Shop lo sta già facendo con successo, risparmiando una cifra stimata in 100 milioni di dollari all'anno, dopo l'analisi di freschezza, degli sprechi e della soddisfazione dei cliente nel loro reparto deperibili. Altri dovrebbero seguire l'esempio. I consumatori possono sprecare meno cibo facendo shopping con saggezza, sapendo quando il cibo va a male, acquistando prodotti che sono perfettamente commestibili anche se meno esteticamente attraenti, cucinando solo la quantità di cibo di cui hanno bisogno, e mangiando i loro avanzi».

Gli Usa sono così messi mali da guardare all'Europa come continente all'avanguardia nella riduzione dei rifiuti alimentari. In effetti lo scorso gennaio il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per ridurre, (entro il 2020) del 50% i rifiuti alimentari ed ha designato il 2014 come "Anno europeo contro gli sprechi alimentari". La Gran Bretagna ha avviato un'ampia campagna di sensibilizzazione quinquennale chiamata "Food Love Hate Waste" che ha contribuito a ridurre del 18% i rifiuti alimentari "evitabili". Lo studio cita anche l'Italia come esempio di business virtuoso: «53 dei principali rivenditori di generi alimentari e dei marchi italiani hanno adottato impegni di riduzione dei rifiuti».

La Gunders conclude: «Non importa quanto sia sostenibile la coltivazione e l'allevamento del nostro cibo, se non viene mangiato non è un buon utilizzo delle risorse. Per fortuna, ci sono modi per affrontare il problema dei rifiuti alimentari, e tutti possono svolgere un ruolo».

Insomma, come deterrente possono anche andar bene le tasse, ma di fronte ad uno spreco di queste dimensioni per le tasche ed il benessere dei cittadini e del pianeta sarebbe meglio un'educazione al consumo che inneschi il radicale cambiamento della società dello spreco.

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