venerdì, agosto 31, 2012
Giovani di Vidor (Treviso) e dintorni in una navigazione di quattro giorni a Londra

di Elena Patassini

Sì, il termine marittimo inglese “crew” siamo proprio noi. La sua traduzione è “squadra, gruppo o equipaggio.” Ed è stata la nostra storia di quattro giorni a Londra. Ci siamo imbarcati per conoscere la metropoli più multirazziale al mondo, sull’onda dello spirito delle olimpiadi che si erano appena concluse due giorni prima. Crew indica un gruppo di persone con competenze tecniche diverse, ma che lavora insieme per un progetto comune. Termine bello e azzeccatissimo. Sembrava fatto proprio per noi. Guidati dal nostro captain Don Marco, il nostro equipaggio lo è, infatti, per tutto l’anno. A servizio della crescita umana e cristiana dei giovani della nostra unità pastorale: le parrocchie di Vidor, Colbertaldo, Moriago e Mosnigo. A fine anno, come animatori, ci siamo decisi finalmente per una navigata breve, ma favolosa in un caldissimo agosto... Sapendo che “il primo passo è sempre quello più lungo” come dicono i cinesi. Punto di arrembaggio la comunità scalabriniana di Brixton Road, a Londra. Ci attendevano i missionari per i migranti in una parrocchia italiana, che accoglie anche una comunità di portoghesi e una di filippini. Ma l’accoglienza dell’altro in questa terra è una grande tradizione.

E abbiamo cominciato a respirare aria di mare. Quella che spiega la situazione multiculturale e multireligiosa che si respira nella città di Londra. Come le vele della Cutty Sark, l’imbarcazione per trasportare tè più veloce al mondo tra Pechino e Londra, che contemplavamo appena arrivati, immobile ormai e magnifica sulla riva. Questa metropoli, infatti, è luogo dove popoli di molte e diversissime nazioni vivono insieme, mostrando la bellezza e la ricchezza dell’incontro delle diversità. Tolleranza e accoglienza sembrano qui un’abitudine, dopo secoli di dominio sui mari. Così, si incrociano ogni giorno pakistani, indiani, spagnoli, gente dal Caraibi, dell’Africa, dell’Asia... Da noi, invece, troppo spesso la differenza dell’altro è sinonimo di ostacolo, di difficoltà o di pregiudizio. Frutto forse del nostro campanilismo, cioè del campanile che tiene ben stretti “i suoi”. Qui, invece, si naviga in un altro mondo. In mare aperto.

Così, abbiamo esplorato l’immensità di Londra. Immensità culturale, storica, religiosa, politica, architettonica, commerciale e finanziaria. Si accavallavano gli incontri con la British Library, i Docklands, Westminster Abbey e il suo charme di antica abbazia, St. Paul Cathedral e la sua maestosità, St. Martin in the Fields e un sorprendente ristorante proprio sotto, nella cripta. Inoltre la National Gallery, il Parlamento, Trafalgar square e il National Maritime Museum. Non mancavano delle promenades nei verdissimi Hyde Park e St. James Park, una vera passione per i londinesi. Ma anche le incursioni a Camden Town e al suo mondo affascinante oppure al curioso Hard Rock cafè. Il nostro team avanzava instancabile con spirito unito e attento, remando con entusiasmo intorno al mondo. Inspired generation, ci avrebbero chiamato i giornali inglesi con un’etichetta che mettevano dappertutto per la loro squadra olimpionica. “Da soli si va più in fretta, ma insieme si va più lontanto,” ci trottava in mente, continuamente, questa massima.

Londra è tanto immensa che a volte suscita la sensazione di sentirsi persi per davvero. Ma l’essere “crew” ci ha permesso sempre di ritrovarci e di vivere quella ricchezza che si respira quando si è insieme e diversi. Sì, abbiamo respirato a pieni polmoni quello spirito di condivisione che è alla base di ogni relazione e dell’incontro fra i popoli. E abbiamo capito, in fondo, che “viaggiare non è scoprire nuove terre, ma avere nuovi occhi” come ricordava Proust. Straordinaria scoperta, per noi che tornavamo a casa, l’aver vissuto per qualche istante il senso del mondo. God save the Queen!

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