Riccardo Muti a Reggio Calabria, nella “punta dello Stivale italiano”. «Perché la gamba senza il piede non cammina», ha affermato il Maestro incontrando la stampa.
“Perché sono qui? - risponde il Music Director della prestigiosa Chicago Symphony Orchestra, alla domanda di una giornalista – Perché sono stanco di sentire che il Sud è soltanto malaffare. Perché non ce la faccio più a vedere che l’Italia è diventata il trastullo della stampa internazionale. Perché spero che il concerto dia una sveglia a chi crede che la Calabria sia solo terra di ‘ndrangheta”. E la sveglia l’hanno suonata mille giovani calabresi, mille musicisti rappresentanti di quarantadue orchestre della regione: musica, talento, emozione. Soprattutto nella seconda parte della serata di ieri, quando le note di duecentosettanta strumenti hanno iniziato ad aleggiare nell’aria mosse dalla bacchetta di Muti: una musica che si sentiva con la pelle, non solo con l’udito. I suoni veicolavano l’emozione dei ragazzi, in simbiosi con i loro strumenti, che trepidanti per il Maestro d’eccezione che li dirigeva hanno sciolto l’adrenalina in note magiche facendo arrivare, ad una platea di cinquemila spettatori, talento, professionalità e passione.
Muti lo ha definito “un evento enorme”. «Quello che è avvenuto qui stasera – ha detto il Maestro al termine del concerto – è un esempio per tutta l’Italia». Attraverso la musica la Calabria ha avuto la possibilità di mostrare un’immagine di sé opposta a quella dei luoghi comuni. Il suo vero volto. «Il segno di una forza positiva che esiste in Calabria e in tutto il Sud». «Questo è solo l’inizio perché è una terra che merita», aveva detto d’altronde Muti nel 2006, quando aveva conosciuto in un bellissimo incontro i ragazzi dell’orchestra di Delianuova – paese del reggino che da ieri ha come cittadino onorario proprio il grande Maestro. E il Direttore ha mantenuto la promessa, in una serata di particolare significato emotivo e culturale.
L’esecuzione finale dell’Inno nazionale ha dato a Muti, ancora una volta, lo spunto per difendere il brano di Goffredo Mameli. «Il Nabucco – ha detto il Maestro – non è un inno. È il canto di desolazione e sofferenza di un popolo in esilio, e non mi risulta gli italiani lo siano. A me bastano le prime parole del nostro inno: “Fratelli d’Italia”». Il Maestro ha poi concluso con un forte “Viva la Calabria, Viva l’Italia”, mentre gli orchestrali alzavano i loro strumenti al cielo e dal pubblico scrosciavano applausi infiniti. Un’emozione palpabile, sottolineata dallo sventolare del tricolore. I ragazzi alla fine erano stanchi ma felici. Provenienti da ogni parte della Calabria, alcuni sono rientrati a casa all’alba, portando con sé il ricordo indelebile di una serata magica e delle parole del loro Maestro: «Non si può suonare insieme facendosi la guerra, o dimenticando il collega che ha la controparte: suonare è il fondamento del vivere in una società civile. La musica bisogna sentirla prima di suonarla. La musica è come una preghiera ed ogni suono un’offerta musicale da rivolgere verso l’alto. La musica non è tale senza l’ascolto che produce armonia: ascoltatevi e accompagnatevi l’uno con l’altro. Sempre».
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