venerdì, agosto 03, 2012
Proseguiamo il cammino tra i monasteri clariani e giungiamo al Monastero delle Sorelle Povere di Santa Chiara di Milano, dove suor Chiara Giovanna Cremaschi ci racconta la storia di questa comunità e della sua presenza in quel luogo: chiamate dal Signore nella città.

Con le soppressioni della fine del Settecento è venuta meno la presenza delle clarisse in Milano. Il sogno di un ritorno è nato nell’atmosfera di dolore e d’incertezza della seconda guerra mondiale nel cuore di due frati minori lombardi: il piccolo gruppo di sorelle povere partito da Assisi è giunto nella metropoli lombarda dopo varie peripezie nell’aprile del 1944 e ha iniziato all’insegna della precarietà e dell’abbandono fiducioso nella provvidenza. Quando, dopo un lungo peregrinare in vari luoghi della Brianza, nel 1959 le sorelle si sono stabilite nel nuovo monastero nel quartiere Gorla, hanno scoperto di essere inserite in una storia che ha segnato profondamente tutta la zona. Il bombardamento del 1944 che ha centrato la scuola elementare, situata dove ora c’è la piazza antistante il monastero, provocando la morte di più di 200 bambini e dei loro insegnanti, ha toccato quasi tutte le famiglie. E’ rimasta una vocazione speciale alla pace che coinvolge gli abitanti del quartiere ed è venuta ad inserirsi nelle ragioni specifiche del nostro stare in questo luogo. Costruire la pace, gettare ponti di pace innanzitutto con la nostra vita, attraverso quella tranquillità profonda donata dal dimorare nel Signore è tratto caratteristico della nostra povertà.

Il trovarci immerse in una città tumultuosa, dove tutti hanno fretta di andare, ci chiede di non lasciarci contagiare dal ritmo incalzante per custodire quella dimora di Dio in noi che Francesco e Chiara hanno mirabilmente vissuto e insegnato. D’altra parte non a caso ci è stato donato un luogo di silenzio su misura per noi, con il canale, i verdi prati e gli alberi che ci isolano dal traffico ininterrotto delle vie cittadine. Tanta bellezza, mentre il panorama ci riserva soltanto uno sprazzo di cielo, ci è data per centrarci nella contemplazione del Donatore sommo, il Padre delle misericordie. Mentre la gente ci porta un carico di sofferenze per malattie, lutti, difficoltà economiche, separazioni familiari, siamo chiamate a diffondere speranza, non tanto con le belle parole incapaci di penetrare quando l’angoscia attanaglia i cuori. A donare serenità e fiducia in chi ci ascolta è il nostro consegnarci nelle mani del Padre attraverso l’umile sequela del Figlio amato, con la consapevolezza crescente e serena della nostra piccolezza, del non poter far nulla senza di Lui.

La sosta nella nostra cappella, sempre aperta ad accogliere chi vi si rifugia nell’ora del dolore e della gioia, o desidera condividere la nostra preghiera, rende manifesto all’orante il senso del nostro essere qui. Quando dal nostro coro s’innalzano le lodi di Dio nella Liturgia delle Ore, chi partecipa per scelta o perché di passaggio intuisce il senso di una vita vissuta soltanto per Dio.

Così adempiamo alla nostra missione di rendere presente nella Chiesa, come sorelle, il Figlio diletto povero e umile. Qui si gioca la nostra testimonianza: infatti chi ci accosta scopre facilmente che siamo donne dedite alla preghiera in clausura, ma è difficilmente comprensibile il nostro essere povere. Molti, che si affidano fiduciosi alla nostra preghiera, hanno difficoltà quotidiane per noi impensabili. Allora occorre un cammino di povertà che coinvolga tutta intera la persona, come ce lo insegna il padre san Francesco nelle sue Ammonizioni, e che Chiara, rivolgendosi ad Agnese, sintetizza con queste parole: “Ti vedo soppiantare in modo terribile e impensato le astuzie dello scaltro nemico, la superbia che è rovina dell’umana natura e la vanità che infatua i cuori degli uomini, sostenuta, per così dire, da una mirabile prerogativa di sapienza che proviene dalla bocca di Dio stesso; e ti vedo abbracciare con l’umiltà, la forza della fede e le braccia della povertà il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra colui che dal nulla fece tutte le cose”. La vigile attenzione ai pensieri, ai gesti, ai sentimenti aiuta a vincere le tentazioni che vanno a toccare le nostre passioni. Chiara le sintetizza nella superbia, che ci conduce a mettere noi stessi al centro al posto di Dio, e nella vanità, che ci fa disperdere in mille cose attaccando il cuore a ciò che è effimero, dura un istante, perdendo di vista l’Unico. Ci viene indicata la via della sapienza, che non è soltanto un modo di vita ordinato, ma è Gesù stesso. La perla preziosa, il tesoro nascosto nel campo per il quale si lascia tutto, esige la forza della fede, fiducia totale nel Padre, attraverso la sequela di Gesù, e un cuore povero, libero da ogni attaccamento nella consapevolezza della propria bassezza. E’ un cammino, non una meta raggiunta, che consente pure di manifestare la bellezza dell’essere sorelle, di testimoniare la carità di Cristo che ci unisce.


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