lunedì, settembre 24, 2012
Il magistrato Antonio Ingroia, intervistato da La Perfetta Letizia, sottolinea quanto sia urgente ripristinare un concetto condiviso di legalità e giustizia. C’è bisogno di uno sforzo collettivo: alla magistratura tocca stabilire i casi di rilevanza penale, alla politica individuare e correggere le responsabilità storiche della collusione con le mafie.

di Patrizio Ricci

D - Giovanni Falcone nel libro ‘Cose di Cosa Nostra’ dice: "Credo che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda guerra mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione”. In un’intervista sul Messaggero del febbraio 1993 Violante, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, parla di "caratteristica strutturale" circa il rapporto di Cosa nostra con il potere. Le stesse cose sono dette da lei e molti altri magistrati. A 20 anni dalla morte di Falcone e Borsellino e dopo l’indiscusso successo dell’accentramento della lotta alla mafia, qual è secondo lei la situazione oggi?
R - Mah, diciamo che certamente abbiamo ottenuto dei grandi successi. I principali sono stati ottenuti sicuramente sul fronte della mafia militare. Anche sul fronte delle relazioni esterne alla mafia ci sono stati importanti processi e alcune sentenze di condanna che hanno consentito pure di appurare certe collusioni tra mafia, politica e colletti bianchi. Però non c’è stato lo stesso sforzo collettivo su questo fronte…

D - A luglio di quest’anno, in una cerimonia di commemorazione dell’uccisione di Falcone e Borsellino, il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato ha detto che “i potenti che hanno mosso le fila delle stragi sono tra noi , ma noi riusciremo a trascinarli sul banco degli imputati": parole terribili e inquietanti che immancabilmente hanno scatenato un vespaio. Anche lei spesso ha dato fastidio a molti e di conseguenza le sue argomentazioni sono state definite “psicosi degli attacchi”, addirittura peggio dello ‘spread’. Lei ha conosciuto Falcone e Borsellino: essi non avanzavano mai critiche al sistema politico?
R – Ovviamente sì: ci sono stati alcuni momenti in cui sono state fatte anche delle denunce e degli allarmi. Falcone e Borsellino hanno prodotto degli scritti, delle pubbliche interviste. Tuttavia, spesso la storia viene raccontata in modo rovesciato e quindi Falcone e Borsellino vengono rappresentati come magistrati sempre zitti e silenziosi che non intervenivano nel dibattito, mentre invece è vero proprio il contrario.

D - In molte occasioni lei ha detto: «La ragione di Stato è finita per prevalere sulle ragioni del diritto, sulle ragioni della giustizia », arrivando a una «verità dimezzata e negata»; noi ribadiamo che molte volte la verità storica in Italia è stata negata giustificandola con la ragion di stato. Che cosa fare per far prevalere il concetto di ‘bene comune’ sancito dalla Costituzione?
R - Penso che bisogni far riconquistare priorità al concetto di legalità e giustizia. Bisogna far in modo che queste priorità siano condivise dal paese, dalla stragrande maggioranza del paese. Tutto diventerà più facile se si ripristina il primato della ragione della legge, della ragione del diritto, sulla ragione di stato. Se si fanno prevalere le ragioni della verità sulle ragioni dell’opportunità, le ragioni della verità su quelle dell’opportunismo e dei compromessi, il nostro paese potrà tornare su una strada più diritta: si tratta delle componenti della democrazia, senza giustizia non c’è democrazia.

D - Nel luglio ‘93 ci furono le bombe di Roma, che danneggiarono le chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro, a settembre l’omicidio di don Pino Puglisi. E Giovanni Paolo II per la 5^ volta in visita in Sicilia disse: “Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può uomo, nessuna umana agglomerazione, mafia, togliere il diritto divino alla vita... Nel nome di Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è Via, Verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili. Convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio!” Come fu accolto questo grido? E più in generale come vede l’opera della Chiesa in questo contesto?
R – Quell’episodio fu sicuramente una scossa molto forte. Anche perché in passato la chiesa cattolica non sempre si era sempre distinta per un’energica lotta contro la mafia; è stata fin troppo indulgente con la mafia e con i mafiosi. Da quell’importante intervento nacque un segnale di sostegno alla lotta alla mafia, che purtroppo ebbe come tragica reazione l’omicidio di padre Puglisi: il suo assassinio fu un qualche modo una risposta della mafia nei confronti della chiesa più impegnata nel sociale per contrastare il potere mafioso soprattutto nei territori difficili. Negli anni più recenti convivono nella chiesa diversi atteggiamenti, posizioni diverse di maggiore impegno ovvero momenti di maggiore distrazione.

D - Lei non resterà per il processo sulla trattativa stato-mafia, poiché è stato nominato coordinatore di un pool dell'Onu in Guatemala. Molti vedono la sua partenza come un impoverimento del processo. Le saremmo grati di un suo commento in proposito e anche di un cenno al suo compito in Sudamerica.
R - L’incarico che mi è stato affidato dalle Nazioni Unite in Guatemala è un incarico che considero una prosecuzione della mia attività in Italia. E’ come una proiezione a livello internazionale dell’esperienza italiana che cerca di veicolare su scala sovranazionale il metodo della magistratura antimafia italiana. La considero importante perché bisogna rafforzare tutti i momenti di contrasto contro il potere mafioso anche a livello internazionale perché ormai le mafie sono un fenomeno transnazionale.
Per quando riguarda il risvolto relativo a quel processo: certamente si tratta dell’indagine più importante che ho fatto negli ultimi anni anche se in verità in 20 anni ho portato avanti e a conclusione tanti altri processi e con esiti positivi di condanna. In questo caso, credo che il mio ruolo fosse importante soprattutto nella fase delle indagini. Oggi non svolgo più un ruolo di pubblico ministero e sostituto procuratore (che in udienza segue i processi) ma sono il coordinatore di un pool di pubblici ministeri: le indagini sono state chiuse, inizia ora il processo e il dibattimento sarà anche terribilmente non breve. In questo momento è giusto che ‘la palla’ passi ai più giovani colleghi pubblici ministeri e sostituti che seguiranno il processo in dibattimento: insieme ai giudici valuteranno se le prove che abbiamo raccolto siano sufficienti per affermare una sentenza di condanna degli imputati.

Le facciamo i nostri migliori auguri e un grazie sincero per quello che ci ha voluto dire.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Antonio ti reputo persona per bene e ti supplico di non andartene, resta con gli italiani che ancora sperano che ancora ci resti un giudice con la testa sulle spalle
a contrastare questa degenerazione in atto

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