Film su Maometto. Arresti in Libia, scontri in Pakistan e Afghanistan. Gli Usa richiamano i cittadini da Sudan e Tunisia
Massima allerta per le proteste contro il film statunitense su Maometto, ritenuto blasfemo.
Radio Vaticana - Potenziate le misure di sicurezza in molte sedi diplomatiche del mondo, dopo gli assalti degli ultimi giorni. La Germania ha deciso di ritirare il personale dell’ambasciata di Khartoum, in Sudan; anche gli Usa chiedono ai propri cittadini di rientrare in patria da Tunisia e Sudan. Decine gli arresti in Libia, scontri, ieri, in Pakistan. Massimiliano Menichetti: ascolta
Gas lacrimogeni, idranti, slogan contro l’occidente. Lo scenario questa volta è quello Pakistano, il copione lo stesso da poco meno di una settimana, tensioni e proteste generate dal film su Maometto, ritenuto oltraggioso . Ieri a Karachi, nel sud del Pakistan, una folla inferocita, si è radunata nei pressi del consolato americano scandendo frasi contro gli Stati Uniti. La polizia ha disperso circa mille persone, otto i feriti. Nelle proteste a Hyderabad, proiettili vaganti, hanno ucciso una persona. Tensioni anche a Kabul, in Afghanistan, dove ancora una volta sono state bruciate bandiere americane. Rafforzate le misure di sicurezza nelle rappresentanze diplomatiche di mezzo mondo dopo gli assalti della settimana scorsa. La Germania ha deciso di ritirare il personale dalla sede di Khartoum, in Sudan, anche gli Usa chiedono ai propri cittadini di rientrare in patria da Sudan e Tunisia. E a Tunisi è stato arrestato il leader salafita Mohamed el Bakhti, avrebbe partecipato alla violenta protesta di venerdì scorso contro l'ambasciata americana in cui sono morte quattro persone e oltre 50 sono rimaste ferite. Intanto dalla Libia, dove si registrano ancora manifestazioni, arriva la notizia di decine di arresti per l’attacco a Bengasi in cui sono morti il console statunitense ed altri tre membri dello staff, l’undici settembre scorso. L’amministrazione Usa sottolinea che le “proteste si stanno stabilizzando” e pur riconoscendo “offensiva” la pellicola su Maometto, ribadisce che “i responsabili delle violenze verranno fermati” e “immediata sarà la reazione”, se ci saranno ulteriori fronti di tensione. Per una riflessione sul film anti-islamico e sulla natura delle proteste che ha scatenato, Fabio Colagrande ha intervistato padre Samir Khalil Samir, docente dell’Università Saint Joseph di Beirut: ascolta
R. – Questo film è una provocazione fortissima e trattandosi del fondatore dell’islam certamente è un attacco ai musulmani. D’altra parte, si deve dire che non è ammissibile che un attacco verbale o un film provochi una risposta di violenza fisica, di distruzione. Questo purtroppo sta succedendo troppo spesso nel mondo islamico. Devo notare che, per esempio, in India è successa una cosa simile in questi giorni, ma subito gli imam hanno detto di non reagire con la violenza fisica e ciò vuol dire, quindi, che c’è una presa di coscienza. Infine, un conto è che una persona, un gruppo o un regista abbia fatto una violenza visibile, verbale, non fisica, all’islam, e un conto è dire che l’America stia dietro a tutto. Questo è l’errore che si fa spesso da noi: generalizzare dicendo che sia l’America, che sia l’Europa, che sia l’Occidente oppure i cristiani. Questo appartiene ad una mentalità medievale e il senso della "Primavera araba" è proprio uscire da questa mentalità medievale.
D. – Lei pensa che dietro a questi atti di violenza ci siano anche i piani di qualche organizzazione fondamentalista?
R. – Certamente, perché quando hanno attaccato in Libia, sono venuti con le armi e non si fa per caso. Poi, mi domando se, per il fatto che sia accaduto l’11 settembre, non fosse voluto. La diffusione quasi simultanea di questo movimento dice che c’è un piano dietro: c’è gente pronta ad intervenire. I musulmani dicono: “Noi siamo musulmani, siamo religiosi, ma lasciateci vivere la nostra fede come la intendiamo, non venite ad obbligarci ad essere musulmani a modo vostro, a modo dei fondamentalisti, dei salafiti”.
Radio Vaticana - Potenziate le misure di sicurezza in molte sedi diplomatiche del mondo, dopo gli assalti degli ultimi giorni. La Germania ha deciso di ritirare il personale dell’ambasciata di Khartoum, in Sudan; anche gli Usa chiedono ai propri cittadini di rientrare in patria da Tunisia e Sudan. Decine gli arresti in Libia, scontri, ieri, in Pakistan. Massimiliano Menichetti: ascolta
Gas lacrimogeni, idranti, slogan contro l’occidente. Lo scenario questa volta è quello Pakistano, il copione lo stesso da poco meno di una settimana, tensioni e proteste generate dal film su Maometto, ritenuto oltraggioso . Ieri a Karachi, nel sud del Pakistan, una folla inferocita, si è radunata nei pressi del consolato americano scandendo frasi contro gli Stati Uniti. La polizia ha disperso circa mille persone, otto i feriti. Nelle proteste a Hyderabad, proiettili vaganti, hanno ucciso una persona. Tensioni anche a Kabul, in Afghanistan, dove ancora una volta sono state bruciate bandiere americane. Rafforzate le misure di sicurezza nelle rappresentanze diplomatiche di mezzo mondo dopo gli assalti della settimana scorsa. La Germania ha deciso di ritirare il personale dalla sede di Khartoum, in Sudan, anche gli Usa chiedono ai propri cittadini di rientrare in patria da Sudan e Tunisia. E a Tunisi è stato arrestato il leader salafita Mohamed el Bakhti, avrebbe partecipato alla violenta protesta di venerdì scorso contro l'ambasciata americana in cui sono morte quattro persone e oltre 50 sono rimaste ferite. Intanto dalla Libia, dove si registrano ancora manifestazioni, arriva la notizia di decine di arresti per l’attacco a Bengasi in cui sono morti il console statunitense ed altri tre membri dello staff, l’undici settembre scorso. L’amministrazione Usa sottolinea che le “proteste si stanno stabilizzando” e pur riconoscendo “offensiva” la pellicola su Maometto, ribadisce che “i responsabili delle violenze verranno fermati” e “immediata sarà la reazione”, se ci saranno ulteriori fronti di tensione. Per una riflessione sul film anti-islamico e sulla natura delle proteste che ha scatenato, Fabio Colagrande ha intervistato padre Samir Khalil Samir, docente dell’Università Saint Joseph di Beirut: ascolta
R. – Questo film è una provocazione fortissima e trattandosi del fondatore dell’islam certamente è un attacco ai musulmani. D’altra parte, si deve dire che non è ammissibile che un attacco verbale o un film provochi una risposta di violenza fisica, di distruzione. Questo purtroppo sta succedendo troppo spesso nel mondo islamico. Devo notare che, per esempio, in India è successa una cosa simile in questi giorni, ma subito gli imam hanno detto di non reagire con la violenza fisica e ciò vuol dire, quindi, che c’è una presa di coscienza. Infine, un conto è che una persona, un gruppo o un regista abbia fatto una violenza visibile, verbale, non fisica, all’islam, e un conto è dire che l’America stia dietro a tutto. Questo è l’errore che si fa spesso da noi: generalizzare dicendo che sia l’America, che sia l’Europa, che sia l’Occidente oppure i cristiani. Questo appartiene ad una mentalità medievale e il senso della "Primavera araba" è proprio uscire da questa mentalità medievale.
D. – Lei pensa che dietro a questi atti di violenza ci siano anche i piani di qualche organizzazione fondamentalista?
R. – Certamente, perché quando hanno attaccato in Libia, sono venuti con le armi e non si fa per caso. Poi, mi domando se, per il fatto che sia accaduto l’11 settembre, non fosse voluto. La diffusione quasi simultanea di questo movimento dice che c’è un piano dietro: c’è gente pronta ad intervenire. I musulmani dicono: “Noi siamo musulmani, siamo religiosi, ma lasciateci vivere la nostra fede come la intendiamo, non venite ad obbligarci ad essere musulmani a modo vostro, a modo dei fondamentalisti, dei salafiti”.
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