Come si pone la Chiesa di fronte alle notizie di presunte apparizioni? Quale procedura segue per la verifica? Infine, che valore hanno queste apparizioni per il fedele? Si può seriamente accusare la Chiesa di abuso della credulità popolare?
Tra tutte le manifestazioni soprannaturali della beata vergine Maria (dette anche “mariofanie” in linguaggio teologico), le apparizioni sono senza dubbio le più prodigiose e al tempo stesso le più significative, in quanto si accompagnano a fenomeni di percezione sensoriale della mistica presenza da parte dei destinatari diretti (i cosiddetti “veggenti”) di un messaggio che la Vergine vuole sia trasmesso al mondo intero. Si tratta di messaggi riconducibili a quelle che comunemente vengono definite “rivelazioni private” per distinguerle dall’unica vera “rivelazione pubblica”, che Cristo ha portato a definitivo compimento e che attinge invece le sue fonti nelle Sacre Scritture e nella Sacra Tradizione. I messaggi della Vergine, quindi, non aggiungono nulla alla sacra rivelazione, ma svolgono una funzione “servente”, ossia di conferma della verità rivelata dal Cristo, esprimendo quella particolare sollecitudine per l’umanità e quell’amore per il popolo di Dio che connotano immancabilmente la missione di Maria nel storia della Chiesa.
Le apparizioni mariane non sono certo una novità degli ultimi secoli e per di più hanno un loro innegabile fondamento teologico, oltre che una grande utilità (ove autentiche) per il popolo cristiano. Non c’è dubbio, però, che nell’ultimo secolo le notizie di eventi mariofanici si siano notevolmente moltiplicate rispetto al passato, complici soprattutto i mezzi di comunicazione di massa, che consentono una diffusione repentina di tali notizie (vere o false che siano) in tutto il globo. Maggiori sono inoltre rispetto al passato le possibilità di spostamento che i moderni mezzi di trasporto mettono a disposizione dei numerosi pellegrini che con gran celerità sono soliti riversarsi nei luoghi delle presunte apparizioni, spesso ancor prima che le autorità ecclesiastiche abbiano avuto modo di svolgere le indagini del caso e di pronunciarsi anche solo in via provvisoria. Nonostante le dimensioni spropositate assunte dal fenomeno negli ultimi tempi, la Chiesa continua nella sua opera di scrupoloso discernimento, fedele all’insegnamento di san Paolo di “esaminare ogni cosa e tenere ciò che è buono”, senza nulla a priori rifiutare delle manifestazioni, anche straordinarie, dello Spirito. Le cifre parlano da sole e consentono di fugare con estrema facilità quell’accusa di abuso della credulità popolare che spesso viene rivolta alla Chiesa da parte degli scettici, se è vero – come è vero – che dal 1900 al 2010, a fronte di centinaia di fenomeni straordinari alla stessa segnalati, l’autorità ecclesiastica ha riconosciuto come vere in tutto solo 11 apparizioni.
La rigorosa procedura di verifica seguita dall’autorità ecclesiastica è delineata con estrema precisione da un documento molto importante, anche se poco conosciuto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori: si tratta delle “Norme della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede sul modo di procedere nel giudicare presunte apparizioni e rivelazioni”, approvate da Paolo VI nel febbraio del 1978 e tuttora in vigore. Secondo le “Norme” il primo e principale protagonista della verifica ecclesiale di presunte apparizioni e mariofanie rimane l’Ordinario del luogo, cioè il vescovo diocesano, potendo la Conferenza episcopale regionale o nazionale e la Congregazione per la dottrina della fede intervenire in casi eccezionali e, normalmente, col consenso dello stesso Ordinario. Il processo di verifica si articola in tre fasi. Dapprima l’autorità ecclesiastica competente procede all’esame dei fatti, valendosi del contributo di commissioni di teologi e di cultori delle scienze umane, alla stregua di alcuni criteri (“positivi” e “negativi”) indicati nelle stesse “Norme” anche se in via non tassativa. I criteri “positivi” sono diretti a stabilire la certezza o, quantomeno, la probabilità del fatto, attraverso un attento esame delle qualità personali del soggetto o dei soggetti (equilibrio psichico, onestà, rettitudine morale), del contenuto della presunta rivelazione (che non può naturalmente venire dall’alto se contiene errori dottrinali, stante il carattere servente delle rivelazioni private rispetto all’ unica “rivelazione pubblica” del Cristo) nonché dei frutti spirituali (ad esempio, spirito di preghiera, conversione, testimonianza di carità) seguiti al fenomeno straordinario di cui si accerta la natura.
I criteri “negativi”, per converso, sono volti ad escludere la presenza di errori, inganni e macchinazioni. Tra questi ricordiamo: l’errore manifesto riguardante il fatto; errori dottrinali che si attribuiscono a Maria, ai santi o a Dio stesso nel loro manifestarsi; l’evidente ricerca di lucro strettamente connesso con il fatto; atti gravemente immorali commessi in occasione del fatto dal soggetto o dai suoi seguaci; da ultimo, malattie psichiche o tendenze psicopatiche del soggetto che con certezza abbiano influenzato il fatto stesso, o una psicosi o un isterismo collettivo o altre suggestioni dello stesso genere.
Se l’esame così condotto dà esito positivo, l’autorità ecclesiastica autorizzerà provvisoriamente alcune manifestazioni pubbliche di culto o di devozione, pronunciando la formula “per il momento nulla osta”. Infine, alla luce del tempo trascorso e dell’esperienza, stilerà, se è il caso, un giudizio sulla veridicità e soprannaturalità dei fatti, utilizzando le formule “constat de supernaturalitate” (ossia l’evento è soprannaturale) o “de non supernaturalitate” (ossia non risulta nulla di soprannaturale) ovvero “non constat de supernaturalitate” (ossia, l’evento rimane nell’ambito dell’ordinario, anche se non si esclude che in futuro possano emergere elementi idonei a portare ad un giudizio di soprannaturalità: è il cosiddetto criterio “attendista”). Anche se non espressamente indicato nelle “Norme”, l’autorità ecclesiastica nella prassi ricorre al criterio attendista quando non intende mettere la parola fine all’intera questione, sperando nella futura sopravvenienza di ulteriori elementi che valgano a chiarire meglio la reale natura del fenomeno.
Ma è bene ricordare che, anche nel caso in cui la Chiesa si pronunci per il carattere soprannaturale del fenomeno (cosa che, come sopra anticipato, fa molto di rado), vige il principio della “libertà di adesione”: i fedeli, cioè, non sono tenuti a dare il loro assenso all’apparizione, quand’anche riconosciuta dall’autorità ecclesiastica, proprio perché si tratta di rivelazioni private e non di verità di fede e la Chiesa non intende impegnare il suo magistero nel qualificare tali manifestazioni straordinarie. Come felicemente spiegato da Prospero Lambertini (futuro papa Benedetto XIV), “si può dunque rifiutare il proprio assenso a dette rivelazioni e non prenderle in considerazione, purché lo si faccia con l’opportuno riserbo, per delle buone ragioni e senza sentimenti di disprezzo”. Contrario alla fede sarebbe invece l’atteggiamento del fedele che rifiuti di credere nella veridicità di un’apparizione autenticata dalla Chiesa non a causa di “un dubbio legittimo” che possa nutrire verso l’apparizione considerata, ma perché ritenga in generale non possibili o contrari al Vangelo fenomeni di questo tipo.
di Bartolo Salone
Tra tutte le manifestazioni soprannaturali della beata vergine Maria (dette anche “mariofanie” in linguaggio teologico), le apparizioni sono senza dubbio le più prodigiose e al tempo stesso le più significative, in quanto si accompagnano a fenomeni di percezione sensoriale della mistica presenza da parte dei destinatari diretti (i cosiddetti “veggenti”) di un messaggio che la Vergine vuole sia trasmesso al mondo intero. Si tratta di messaggi riconducibili a quelle che comunemente vengono definite “rivelazioni private” per distinguerle dall’unica vera “rivelazione pubblica”, che Cristo ha portato a definitivo compimento e che attinge invece le sue fonti nelle Sacre Scritture e nella Sacra Tradizione. I messaggi della Vergine, quindi, non aggiungono nulla alla sacra rivelazione, ma svolgono una funzione “servente”, ossia di conferma della verità rivelata dal Cristo, esprimendo quella particolare sollecitudine per l’umanità e quell’amore per il popolo di Dio che connotano immancabilmente la missione di Maria nel storia della Chiesa.
Le apparizioni mariane non sono certo una novità degli ultimi secoli e per di più hanno un loro innegabile fondamento teologico, oltre che una grande utilità (ove autentiche) per il popolo cristiano. Non c’è dubbio, però, che nell’ultimo secolo le notizie di eventi mariofanici si siano notevolmente moltiplicate rispetto al passato, complici soprattutto i mezzi di comunicazione di massa, che consentono una diffusione repentina di tali notizie (vere o false che siano) in tutto il globo. Maggiori sono inoltre rispetto al passato le possibilità di spostamento che i moderni mezzi di trasporto mettono a disposizione dei numerosi pellegrini che con gran celerità sono soliti riversarsi nei luoghi delle presunte apparizioni, spesso ancor prima che le autorità ecclesiastiche abbiano avuto modo di svolgere le indagini del caso e di pronunciarsi anche solo in via provvisoria. Nonostante le dimensioni spropositate assunte dal fenomeno negli ultimi tempi, la Chiesa continua nella sua opera di scrupoloso discernimento, fedele all’insegnamento di san Paolo di “esaminare ogni cosa e tenere ciò che è buono”, senza nulla a priori rifiutare delle manifestazioni, anche straordinarie, dello Spirito. Le cifre parlano da sole e consentono di fugare con estrema facilità quell’accusa di abuso della credulità popolare che spesso viene rivolta alla Chiesa da parte degli scettici, se è vero – come è vero – che dal 1900 al 2010, a fronte di centinaia di fenomeni straordinari alla stessa segnalati, l’autorità ecclesiastica ha riconosciuto come vere in tutto solo 11 apparizioni.
La rigorosa procedura di verifica seguita dall’autorità ecclesiastica è delineata con estrema precisione da un documento molto importante, anche se poco conosciuto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori: si tratta delle “Norme della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede sul modo di procedere nel giudicare presunte apparizioni e rivelazioni”, approvate da Paolo VI nel febbraio del 1978 e tuttora in vigore. Secondo le “Norme” il primo e principale protagonista della verifica ecclesiale di presunte apparizioni e mariofanie rimane l’Ordinario del luogo, cioè il vescovo diocesano, potendo la Conferenza episcopale regionale o nazionale e la Congregazione per la dottrina della fede intervenire in casi eccezionali e, normalmente, col consenso dello stesso Ordinario. Il processo di verifica si articola in tre fasi. Dapprima l’autorità ecclesiastica competente procede all’esame dei fatti, valendosi del contributo di commissioni di teologi e di cultori delle scienze umane, alla stregua di alcuni criteri (“positivi” e “negativi”) indicati nelle stesse “Norme” anche se in via non tassativa. I criteri “positivi” sono diretti a stabilire la certezza o, quantomeno, la probabilità del fatto, attraverso un attento esame delle qualità personali del soggetto o dei soggetti (equilibrio psichico, onestà, rettitudine morale), del contenuto della presunta rivelazione (che non può naturalmente venire dall’alto se contiene errori dottrinali, stante il carattere servente delle rivelazioni private rispetto all’ unica “rivelazione pubblica” del Cristo) nonché dei frutti spirituali (ad esempio, spirito di preghiera, conversione, testimonianza di carità) seguiti al fenomeno straordinario di cui si accerta la natura.
I criteri “negativi”, per converso, sono volti ad escludere la presenza di errori, inganni e macchinazioni. Tra questi ricordiamo: l’errore manifesto riguardante il fatto; errori dottrinali che si attribuiscono a Maria, ai santi o a Dio stesso nel loro manifestarsi; l’evidente ricerca di lucro strettamente connesso con il fatto; atti gravemente immorali commessi in occasione del fatto dal soggetto o dai suoi seguaci; da ultimo, malattie psichiche o tendenze psicopatiche del soggetto che con certezza abbiano influenzato il fatto stesso, o una psicosi o un isterismo collettivo o altre suggestioni dello stesso genere.
Se l’esame così condotto dà esito positivo, l’autorità ecclesiastica autorizzerà provvisoriamente alcune manifestazioni pubbliche di culto o di devozione, pronunciando la formula “per il momento nulla osta”. Infine, alla luce del tempo trascorso e dell’esperienza, stilerà, se è il caso, un giudizio sulla veridicità e soprannaturalità dei fatti, utilizzando le formule “constat de supernaturalitate” (ossia l’evento è soprannaturale) o “de non supernaturalitate” (ossia non risulta nulla di soprannaturale) ovvero “non constat de supernaturalitate” (ossia, l’evento rimane nell’ambito dell’ordinario, anche se non si esclude che in futuro possano emergere elementi idonei a portare ad un giudizio di soprannaturalità: è il cosiddetto criterio “attendista”). Anche se non espressamente indicato nelle “Norme”, l’autorità ecclesiastica nella prassi ricorre al criterio attendista quando non intende mettere la parola fine all’intera questione, sperando nella futura sopravvenienza di ulteriori elementi che valgano a chiarire meglio la reale natura del fenomeno.
Ma è bene ricordare che, anche nel caso in cui la Chiesa si pronunci per il carattere soprannaturale del fenomeno (cosa che, come sopra anticipato, fa molto di rado), vige il principio della “libertà di adesione”: i fedeli, cioè, non sono tenuti a dare il loro assenso all’apparizione, quand’anche riconosciuta dall’autorità ecclesiastica, proprio perché si tratta di rivelazioni private e non di verità di fede e la Chiesa non intende impegnare il suo magistero nel qualificare tali manifestazioni straordinarie. Come felicemente spiegato da Prospero Lambertini (futuro papa Benedetto XIV), “si può dunque rifiutare il proprio assenso a dette rivelazioni e non prenderle in considerazione, purché lo si faccia con l’opportuno riserbo, per delle buone ragioni e senza sentimenti di disprezzo”. Contrario alla fede sarebbe invece l’atteggiamento del fedele che rifiuti di credere nella veridicità di un’apparizione autenticata dalla Chiesa non a causa di “un dubbio legittimo” che possa nutrire verso l’apparizione considerata, ma perché ritenga in generale non possibili o contrari al Vangelo fenomeni di questo tipo.
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