La complessità della vicenda industriale che interessa la Fiat in Italia suggerisce di guardare a quanto avviene in Germania con il successo della Volkswagen. Intervista al direttore del Center auto motive research di Diusburg-Essen.
Città Nuova - Di scenari mondiali dell’industria dell’auto e del posto dell’Europa parliamo con Ferdinand Dudenhöffer, professore di economia all'Università di Duisburg-Essen e direttore del Car - Center automotive research della stessa prestigiosa università.
Quanto potrà ancora durare l’industria dell’auto del mondo? Non si arriverà ad una saturazione tale da imporre una riconversione della produzione ?
«È vero che c´è una saturazione del mercato europeo. Ma i mercati del futuro, gli “emerging markets“, cioè Cina, India, Brasile, Thailandia, Indonesia, fanno intravedere per il 2030 un numero di auto vendute in misura doppia rispetto all’attuale. I mercati sono quindi fermi solo in Europa, negli Usa e in Giappone. Nel suo complesso l´industria dell’auto resterà in crescita anche a lungo termine. Sarà necessario saper dirigere questa crescita con attenzione ai temi ecologici, ad esempio con i veicoli ibridi. Anche se stiamo osservando come quelli elettrici stanno per fallire. Avranno importanza sistemi di propulsione alternative per diminuire il consumo del CO2 e del petrolio, perché le risorse sono limitate. Puntare su macchine a gas, molto più diffuse in Italia che in Germania, potrebbe essere una strategia per sviluppare la compatibilità della produzione di auto con le esigenze dell´ambiente».
Considerando perciò strategico il settore della ricerca e sviluppo, vede una differenza degli investimenti tra Germania e Italia?
«La differenza esiste ma non sempre si può considerare voluta. Ad esempio, occorre considerare che i vincoli imposti dalla UE in tema di emissioni di CO2 hanno richiesto maggiori investimenti e avuto maggior incidenza sulla produzione tedesca prevalentemente interessata alle auto di grossa cilindrata. Questa necessità ha finito per rivelarsi un vantaggio competitivo sui mercati, potendo mettere in vendita macchine grandi che consumano sempre meno carburante. Le regole severe, legate ai criteri di compatibilità ambientale, possono stimolare una maggiore competitività» .
Quali altri fattori sono decisivi per il successo sul mercato del modello tedesco? Quanto incide la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda? .
«È sicuramente un aspetto che contribuisce al successo di Volkswagen, ma non è l´unico. Sedendo insieme nei consigli di sorveglianza diventa possibile mirare a traguardi condivisi, capaci di raggiungere le vette del mercato mantenendo i posti di lavoro. Ciò si rivela importante soprattutto nei tempi difficili. Il clima di conflittualità presente in Italia non giova perché conduce a soluzioni che si rivelano sbagliate nel lungo termine. Ma se il modello di cogestione si è rivelato positivo per le imprese, il fattore decisivo si deve rintracciare nella determinazione di una persona, il presidente del gruppo di Wolfsburg, Ferdinand Piëch, che coltiva il sogno di essere il più grande e il miglior produttore di automobili nel mondo. Obiettivo che intende raggiungere investendo i propri soldi. Egli non si ferma ai resoconti quadrimestrali, ma guarda lontano a quanto accadrà a lunga scadenza con la competenza di un ingegnere che mantiene il punto di vista dell’ engineering (cioè della progettazione, produzione e controllo, ndr). Penso che sia questo il motivo principale del successo di Volkswagen basata sulla qualità del prodotto. L’altro motivo risiede nei tempi giusti con i quali si è affrontata la globalizzazione in una strategia che ha coinvolto subito il Sudamerica come la Cina. La Fiat ha avuto, invece, dei tempi troppo lenti davanti al mondo che cambia. Sono queste le due cause del successo, al quale fa da supporto il clima di collaborazione negli stabilimenti».
Quale consiglio darebbe all’industria italiana?
«Se da un lato, come detto, si tratta di insistere su un mercato globalizzato, occorre investire sull’innovazione dei prodotti. Mi rendo conto di quanto sia difficile in questo momento, ma spostare troppo nel tempo l’innovazione dei modelli comporterà dei problemi nel lungo termine».
Città Nuova - Di scenari mondiali dell’industria dell’auto e del posto dell’Europa parliamo con Ferdinand Dudenhöffer, professore di economia all'Università di Duisburg-Essen e direttore del Car - Center automotive research della stessa prestigiosa università.
Quanto potrà ancora durare l’industria dell’auto del mondo? Non si arriverà ad una saturazione tale da imporre una riconversione della produzione ?
«È vero che c´è una saturazione del mercato europeo. Ma i mercati del futuro, gli “emerging markets“, cioè Cina, India, Brasile, Thailandia, Indonesia, fanno intravedere per il 2030 un numero di auto vendute in misura doppia rispetto all’attuale. I mercati sono quindi fermi solo in Europa, negli Usa e in Giappone. Nel suo complesso l´industria dell’auto resterà in crescita anche a lungo termine. Sarà necessario saper dirigere questa crescita con attenzione ai temi ecologici, ad esempio con i veicoli ibridi. Anche se stiamo osservando come quelli elettrici stanno per fallire. Avranno importanza sistemi di propulsione alternative per diminuire il consumo del CO2 e del petrolio, perché le risorse sono limitate. Puntare su macchine a gas, molto più diffuse in Italia che in Germania, potrebbe essere una strategia per sviluppare la compatibilità della produzione di auto con le esigenze dell´ambiente».
Considerando perciò strategico il settore della ricerca e sviluppo, vede una differenza degli investimenti tra Germania e Italia?
«La differenza esiste ma non sempre si può considerare voluta. Ad esempio, occorre considerare che i vincoli imposti dalla UE in tema di emissioni di CO2 hanno richiesto maggiori investimenti e avuto maggior incidenza sulla produzione tedesca prevalentemente interessata alle auto di grossa cilindrata. Questa necessità ha finito per rivelarsi un vantaggio competitivo sui mercati, potendo mettere in vendita macchine grandi che consumano sempre meno carburante. Le regole severe, legate ai criteri di compatibilità ambientale, possono stimolare una maggiore competitività» .
Quali altri fattori sono decisivi per il successo sul mercato del modello tedesco? Quanto incide la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda? .
«È sicuramente un aspetto che contribuisce al successo di Volkswagen, ma non è l´unico. Sedendo insieme nei consigli di sorveglianza diventa possibile mirare a traguardi condivisi, capaci di raggiungere le vette del mercato mantenendo i posti di lavoro. Ciò si rivela importante soprattutto nei tempi difficili. Il clima di conflittualità presente in Italia non giova perché conduce a soluzioni che si rivelano sbagliate nel lungo termine. Ma se il modello di cogestione si è rivelato positivo per le imprese, il fattore decisivo si deve rintracciare nella determinazione di una persona, il presidente del gruppo di Wolfsburg, Ferdinand Piëch, che coltiva il sogno di essere il più grande e il miglior produttore di automobili nel mondo. Obiettivo che intende raggiungere investendo i propri soldi. Egli non si ferma ai resoconti quadrimestrali, ma guarda lontano a quanto accadrà a lunga scadenza con la competenza di un ingegnere che mantiene il punto di vista dell’ engineering (cioè della progettazione, produzione e controllo, ndr). Penso che sia questo il motivo principale del successo di Volkswagen basata sulla qualità del prodotto. L’altro motivo risiede nei tempi giusti con i quali si è affrontata la globalizzazione in una strategia che ha coinvolto subito il Sudamerica come la Cina. La Fiat ha avuto, invece, dei tempi troppo lenti davanti al mondo che cambia. Sono queste le due cause del successo, al quale fa da supporto il clima di collaborazione negli stabilimenti».
Quale consiglio darebbe all’industria italiana?
«Se da un lato, come detto, si tratta di insistere su un mercato globalizzato, occorre investire sull’innovazione dei prodotti. Mi rendo conto di quanto sia difficile in questo momento, ma spostare troppo nel tempo l’innovazione dei modelli comporterà dei problemi nel lungo termine».
di Clemens Behr
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