Il cuore della società della crescita è «la dipendenza dei suoi membri dal consumo», e trova «una spiegazione psicologica nel gioco del bisogno e del desiderio».
Greenreport - È un meccanismo che «tende a produrre infelicità perché si basa sulla continua creazione di desiderio. Ma il desiderio, a differenza dei bisogni, non conosce sazietà. Poiché si rivolge ad un oggetto perduto ed introvabile, dicono gli psicanalisti». Si è chiuso ieri il sipario - dopo esser rimasto spalancato per tre giorni - sulla 12esima edizione del Festivalfilosofia, tra Modena, Carpi e Sassuolo. Sulla rinnovata attenzione che il mondo culturale rivolge a quello dell'economia testimonia già il titolo della kermesse, che più concreto non si può: quest'anno, sarà dedicata alle "cose". I brandelli dell'intervento tenuto al Festival dal filosofo francese Serge Latouche, riportati da la Repubblica, ci aiutano a focalizzare che di "cose" forse ne desideriamo troppe. O meglio, ne desideriamo troppe di quelle che non possiamo permetterci.
«Per usare una metafora - continua Latouche - siamo diventati dei "tossicodipendenti" della crescita. Che ha molte forme, visto che alla bulimia dell'acquisto - siamo tutti "turboconsumatori" - corrisponde il workaholism, la dipendenza dal lavoro». La crisi economica ha rotto il giocattolo, almeno per la stragrande maggioranza degli cittadini occidentali (agli altri, il giocattolo non era ancora arrivato, o l'hanno appena sfiorato): il tossicodipendente è andato in crisi d'astinenza. La scelta è adesso tra provare a guarire dalla dipendenza, o lasciarsi andare alla disperazione in cerca di una nuova dose - che rimane la strada ad oggi più battuta.
Il filosofo francese propone la strada ribattezzata della decrescita. Dopo innumerevoli diatribe sul significato della parola (dopotutto, la crisi non è forse proprio una fase di decrescita?), scavando oltre le sbandate teoriche bagnate di eccessiva utopia, il nocciolo duro e pienamente condivisibile è stato individuato nella necessità dell'a-crescita, intesa come un'uscita dalla religione, dall'ossessione della crescita materiale, non qualificata e ad ogni costo. Per il resto, come scrivono sull'Unità altri due filosofi, Edgar Morin e Mauro Ceruti, è importante «superare la stessa alternativa crescita/decrescita, che è del tutto sterile. Si deve promuovere la crescita dell'economia verde, dell'economia sociale e solidale». Dobbiamo sobbarcarci il peso della scelta, discriminare tra cosa vogliamo riprodurre ed accrescere e cosa no: la crescita economica esponenziale e il ritorno ad una civiltà agreste sono solo due estremi uniti dalla stessa linea.
«Oggi il pensiero politico - scrivono ancora Morin e Ceruti - deve riformularsi sulla base di una diagnosi pertinente del momento storico dell'era planetaria che stiamo vivendo, deve concepire una via di civiltà, e deve di conseguenza trovare un percorso coerente sul piano nazionale, europeo, mondiale»: perfetto sul piano dell'analisi, ma purtroppo lontano dalla realtà quotidiana. D'altronde, chi potrebbe pensare che spetti ai due formulare con precisione la soluzione al problema? Di sicuro, nessuno di buon senso.
Più in generale, e col passare degli anni dall'inizio di questa crisi di civiltà, sembra sempre più evidente che l'attesa del messia il cui arrivo è la fine di tutti i problemi, non fa altro che mantenerci nel limbo dell'attesa e dell'incertezza. Continuando nel mentre a scivolare, come su un piano inclinato.
Un altro relatore al Festivalfilosofia, Carlo Sini, nella sua intervista sul Manifesto sottolinea che «l'individuo è una mediazione tra la natura e la cultura, è un logo. In questo senso, è un abitare, un abitare collettivo, un abitare comunitario». In questo senso, la rinascita dalla società dei consumi può davvero ricalcare simbolicamente quella del tossicodipendente, inserito in una comunità di recupero: per tracciare quella risposta politica che cerchiamo, il primo, grande passo è riconoscere i propri errori.
Nel nostro caso, quelli dell'attuale modello di sviluppo economico. Anche senza l'arrivo di un deus ex machina, sarà possibile non perdersi di nuovo, nel confronto? Prendendo di nuovo a prestito le parole di Morin e Ceruti, le grandi mutazioni «compaiono quando i mezzi dei quali un sistema dispone sono divenuti incapaci di risolvere i suoi problemi all'interno del sistema stesso». Così, nonostante gli ostacoli che talvolta appaiono insormontabili, siamo anche noi inclini a sperare che «la metamorfosi non sia impossibile».
Greenreport - È un meccanismo che «tende a produrre infelicità perché si basa sulla continua creazione di desiderio. Ma il desiderio, a differenza dei bisogni, non conosce sazietà. Poiché si rivolge ad un oggetto perduto ed introvabile, dicono gli psicanalisti». Si è chiuso ieri il sipario - dopo esser rimasto spalancato per tre giorni - sulla 12esima edizione del Festivalfilosofia, tra Modena, Carpi e Sassuolo. Sulla rinnovata attenzione che il mondo culturale rivolge a quello dell'economia testimonia già il titolo della kermesse, che più concreto non si può: quest'anno, sarà dedicata alle "cose". I brandelli dell'intervento tenuto al Festival dal filosofo francese Serge Latouche, riportati da la Repubblica, ci aiutano a focalizzare che di "cose" forse ne desideriamo troppe. O meglio, ne desideriamo troppe di quelle che non possiamo permetterci.
«Per usare una metafora - continua Latouche - siamo diventati dei "tossicodipendenti" della crescita. Che ha molte forme, visto che alla bulimia dell'acquisto - siamo tutti "turboconsumatori" - corrisponde il workaholism, la dipendenza dal lavoro». La crisi economica ha rotto il giocattolo, almeno per la stragrande maggioranza degli cittadini occidentali (agli altri, il giocattolo non era ancora arrivato, o l'hanno appena sfiorato): il tossicodipendente è andato in crisi d'astinenza. La scelta è adesso tra provare a guarire dalla dipendenza, o lasciarsi andare alla disperazione in cerca di una nuova dose - che rimane la strada ad oggi più battuta.
Il filosofo francese propone la strada ribattezzata della decrescita. Dopo innumerevoli diatribe sul significato della parola (dopotutto, la crisi non è forse proprio una fase di decrescita?), scavando oltre le sbandate teoriche bagnate di eccessiva utopia, il nocciolo duro e pienamente condivisibile è stato individuato nella necessità dell'a-crescita, intesa come un'uscita dalla religione, dall'ossessione della crescita materiale, non qualificata e ad ogni costo. Per il resto, come scrivono sull'Unità altri due filosofi, Edgar Morin e Mauro Ceruti, è importante «superare la stessa alternativa crescita/decrescita, che è del tutto sterile. Si deve promuovere la crescita dell'economia verde, dell'economia sociale e solidale». Dobbiamo sobbarcarci il peso della scelta, discriminare tra cosa vogliamo riprodurre ed accrescere e cosa no: la crescita economica esponenziale e il ritorno ad una civiltà agreste sono solo due estremi uniti dalla stessa linea.
«Oggi il pensiero politico - scrivono ancora Morin e Ceruti - deve riformularsi sulla base di una diagnosi pertinente del momento storico dell'era planetaria che stiamo vivendo, deve concepire una via di civiltà, e deve di conseguenza trovare un percorso coerente sul piano nazionale, europeo, mondiale»: perfetto sul piano dell'analisi, ma purtroppo lontano dalla realtà quotidiana. D'altronde, chi potrebbe pensare che spetti ai due formulare con precisione la soluzione al problema? Di sicuro, nessuno di buon senso.
Più in generale, e col passare degli anni dall'inizio di questa crisi di civiltà, sembra sempre più evidente che l'attesa del messia il cui arrivo è la fine di tutti i problemi, non fa altro che mantenerci nel limbo dell'attesa e dell'incertezza. Continuando nel mentre a scivolare, come su un piano inclinato.
Un altro relatore al Festivalfilosofia, Carlo Sini, nella sua intervista sul Manifesto sottolinea che «l'individuo è una mediazione tra la natura e la cultura, è un logo. In questo senso, è un abitare, un abitare collettivo, un abitare comunitario». In questo senso, la rinascita dalla società dei consumi può davvero ricalcare simbolicamente quella del tossicodipendente, inserito in una comunità di recupero: per tracciare quella risposta politica che cerchiamo, il primo, grande passo è riconoscere i propri errori.
Nel nostro caso, quelli dell'attuale modello di sviluppo economico. Anche senza l'arrivo di un deus ex machina, sarà possibile non perdersi di nuovo, nel confronto? Prendendo di nuovo a prestito le parole di Morin e Ceruti, le grandi mutazioni «compaiono quando i mezzi dei quali un sistema dispone sono divenuti incapaci di risolvere i suoi problemi all'interno del sistema stesso». Così, nonostante gli ostacoli che talvolta appaiono insormontabili, siamo anche noi inclini a sperare che «la metamorfosi non sia impossibile».
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