La Cassazione condanna l'ex segretario comunale di Rivarolo Canavese, in provincia di Torino, per essere venuto a patti con la mafia
Liberainformazione - Una sentenza che potrebbe essere definita storica nell’ambito della lotta alla mafia. La prima corte penale della Cassazione sancisce che il voto di scambio, per essere perseguito, non necessita di soldi o altre utilità, ma basta la promessa che dei soldi verranno dati. Scrive la Cassazione che è sufficiente la disponibilità a venire a patti con la consorteria” mafiosa, anche solo nelle forme della “promessa reciproca”. La sentenza (32820/12, depositata il 21 agosto) conferma così la condanna di custodia cautelare in carcere per l’ex segretario comunale di Rivarolo Canavese, comune in provincia Torino .
L’uomo era accusato di aver concluso accordi, tra gli altri, con il gestore di un bar del posto che si impegnava a convogliare sul primo cittadino i voti controllati da componenti della ‘ndrangheta locale, in cambio di 20mila euro per il disturbo. Il segretario, arrestato su ordine del Gip di Torino nel giugno dello scorso anno, dopo la conferma del Riesame si è rivolto alla Cassazione opponendo il mancato incasso del “premio” (circostanza peraltro pacifica) che secondo la difesa farebbe cadere l’accusa. E invece no.
La Cassazione non solo gli ha dato torto ma lo anche condannato al pagamento delle spese. Scrive ArticoloTre , riprendendo quanto scritto dal relatore della sentenza che “pur se è vero che nell’ambito di una formulazione della norma incriminatrice (articolo 416-ter del codice penale, ndr) ritenuta da autorevoli commentatori‘largamente insufficiente se non addirittura velleitaria, non sono mancate interpretazioni variegate ma è ormai prevalente l’opinione secondo cui ‘il reato di scambio elettorale politico–mafioso si perfeziona al momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente dalla loro realizzazione, essendo rilevante, per quanto riguarda la condotta dell’uomo politico, la sua disponibilità di venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale’”.
Secondo la Corte, la nuova fattispecie di reato “ha avuto l’effetto di anticipare la tutela penale della libertà di voto e dell’ordine pubblico, dal momento che il reato di consuma con la semplice stipula del patto di scambio (promessa di voti contro l’erogazione di denaro) senza necessità che l’accordo trovi poi realmente esecuzione. La dazione di denaro in questo modo diverrebbe solo un dato di rilevanza solo probatoria rispetto all’avvenuta definizione del patto”.
La sentenza idealmente risponde a quanto proposto da Gaetano Paci, presidente della Fondazione Progetto e Legalità, che lo scorso maggio ha proposto all’attenzione del Governo e dei componenti delle Camere una riformulazione del 416 ter del codice penale nella seguente maniera: “La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della promessa di denaro o di altre utilità per sé o per un terzo”. La legge, già ribattezzata “legge Borsellino”, trova in questa sentenza un precedente giuridico che potrebbe favorirne una formulazione nelle aule del Parlamento, che si spera non resteranno sorde.
* Narcomafie.it
Liberainformazione - Una sentenza che potrebbe essere definita storica nell’ambito della lotta alla mafia. La prima corte penale della Cassazione sancisce che il voto di scambio, per essere perseguito, non necessita di soldi o altre utilità, ma basta la promessa che dei soldi verranno dati. Scrive la Cassazione che è sufficiente la disponibilità a venire a patti con la consorteria” mafiosa, anche solo nelle forme della “promessa reciproca”. La sentenza (32820/12, depositata il 21 agosto) conferma così la condanna di custodia cautelare in carcere per l’ex segretario comunale di Rivarolo Canavese, comune in provincia Torino .
L’uomo era accusato di aver concluso accordi, tra gli altri, con il gestore di un bar del posto che si impegnava a convogliare sul primo cittadino i voti controllati da componenti della ‘ndrangheta locale, in cambio di 20mila euro per il disturbo. Il segretario, arrestato su ordine del Gip di Torino nel giugno dello scorso anno, dopo la conferma del Riesame si è rivolto alla Cassazione opponendo il mancato incasso del “premio” (circostanza peraltro pacifica) che secondo la difesa farebbe cadere l’accusa. E invece no.
La Cassazione non solo gli ha dato torto ma lo anche condannato al pagamento delle spese. Scrive ArticoloTre , riprendendo quanto scritto dal relatore della sentenza che “pur se è vero che nell’ambito di una formulazione della norma incriminatrice (articolo 416-ter del codice penale, ndr) ritenuta da autorevoli commentatori‘largamente insufficiente se non addirittura velleitaria, non sono mancate interpretazioni variegate ma è ormai prevalente l’opinione secondo cui ‘il reato di scambio elettorale politico–mafioso si perfeziona al momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente dalla loro realizzazione, essendo rilevante, per quanto riguarda la condotta dell’uomo politico, la sua disponibilità di venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale’”.
Secondo la Corte, la nuova fattispecie di reato “ha avuto l’effetto di anticipare la tutela penale della libertà di voto e dell’ordine pubblico, dal momento che il reato di consuma con la semplice stipula del patto di scambio (promessa di voti contro l’erogazione di denaro) senza necessità che l’accordo trovi poi realmente esecuzione. La dazione di denaro in questo modo diverrebbe solo un dato di rilevanza solo probatoria rispetto all’avvenuta definizione del patto”.
La sentenza idealmente risponde a quanto proposto da Gaetano Paci, presidente della Fondazione Progetto e Legalità, che lo scorso maggio ha proposto all’attenzione del Governo e dei componenti delle Camere una riformulazione del 416 ter del codice penale nella seguente maniera: “La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416 bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416 bis in cambio della promessa di denaro o di altre utilità per sé o per un terzo”. La legge, già ribattezzata “legge Borsellino”, trova in questa sentenza un precedente giuridico che potrebbe favorirne una formulazione nelle aule del Parlamento, che si spera non resteranno sorde.
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