venerdì, ottobre 19, 2012
Mezzo secolo di conflitto cosa ha lasciato alla Colombia?

Misna - Le cause storiche e sociali sono in parte cambiate, ma i tempi, le circostanze ed i personaggi sono totalmente diversi. L’esclusione politica e sociale, una delle cause del conflitto, non è più la stessa, ma sussistono grandi limitazioni alla democrazia e alla giustizia in Colombia. Le Farc nacquero di fronte all’intolleranza e l’esclusione politica dopo tempi di violenza negli anni ’50 legati alla lotta tra i due partiti storici colombiani che produssero migliaia di morti e massicci spostamenti di persone, con la conseguente perdita delle terre per vasti settori contadini e una concentrazione sempre più grande nelle mani dei latifondisti.

Questa spoliazione continua ad essere un grande problema, aggravato da nuovi ‘desplazamientos’ (spostamenti forzati) che negli ultimi anni hanno coinvolto oltre 4 milioni di ‘campesinos’ comportando la perdita, stimata, di 5 milioni di ettari di terre. La Colombia è oggi il terzo paese più ‘ingiusto’ del pianeta, ovvero l’ingiustizia sociale è il suo principale problema. Ma le guerriglie non hanno dato una risposta per superare in alcun modo questa situazione; le loro azioni non sono che azioni di guerriglia e le loro pratiche oggi sono più legate al narcotraffico, alle estorsioni, ai sequestri. Nelle zone rurali i contadini temono che i loro figli siano reclutati con la forza: una delle principali cause dell’emigrazione dai campi alle città. Il sistema democratico è sempre stato fragile in Colombia. Il passato è stato dominato da due grandi partiti alternatisi al potere con capi che perpetuavano i loro incarichi sostenuti dai settori economici potenti vincolati alla terra, all’impresa o all’industria. La compravendita di voti, pratica che continua ad essere trasmessa da padre in figlio, ha creato una casta politica aliena agli interessi delle maggioranze. Nel campo della giustizia ci sono naturalmente anche congressisti indipendenti e onesti, principalmente legati ai settori progressisti e della sinistra. Durante il precedente governo di Uribe (2002-2010) si è arrivati ad avere il 30% del Congresso in mano ai cosiddetti ‘para-politici’ – ovvero parlamentari eletti grazie agli interessi e all’appoggio del paramilitarismo – e sebbene la portata di questo fenomeno sia diminuita, sussiste, anche se in modo più discreto. Ciononostante, abbiamo una Costituzione elaborata nel 1991 con un grande significato sociale e di inclusione politica che dà spazio a una maggiore partecipazione cittadina e tutela i diritti in modo più efficace. Purtroppo, alcune riforme promosse dai governi successivi e dal Congresso stesso hanno limitato questi aspetti. Il rifiuto del terrorismo, nel quale, in modo assurdo, hanno fatto incursione le Farc colpendo la popolazione civile, è il rifiuto di un gruppo che si propone come una scelta per i settori popolari e poi li colpisce nella loro vita, nei loro beni. Le bombe artigianali, le mine antipersona, gli attentati ai ponti, il reclutamento dei bambini sono pratiche che hanno allontanato sempre di più la guerriglia dalla popolazione. Per la Colombia è una lezione l’esperienza di paesi vicini come Venezuela, Ecuador, Brasile (dove la presidente è stata guerrigliera), Uruguay (anch’esso con un presidente ex guerrigliero), che sono riusciti ad avere presidenti di sinistra con strumenti democratici.

 Cosa significa oggi la parola “pace” in Colombia? La pace è molto di più che negoziare il conflitto. Trattare per la fine della guerra contribuirà certamente a far sì che la Colombia avanzi sulla strada della pace, ridurrà il numero delle vittime, i sequestri, le estorsioni. Ci sarà maggiore sicurezza nel muoversi attraverso il paese, lavorare e investire per lo sviluppo. Come frutto di questo negoziato ci si attende che i partiti di sinistra e quello che nascerà dalle Farc abbiano una presenza al Congresso e negli incarichi pubblici a elezione popolare, dando dinamismo alla democrazia e lavorando per una maggiore equità. Ma la pace implica anche l’abbandono delle armi da parte di un buon numero di colombiani – i guerriglieri – la ricerca per ridurre il divario scandaloso tra ricchi e poveri, la correttezza nell’esercizio della politica e nella gestione della cosa pubblica, il miglioramento del sistema giudiziario, dove persiste una forte impunità. Occorre avanzare in molti ambiti per il benessere comune, ma in questo cammino la fine del conflitto armato è un passo gigantesco. I grandi investimenti in campo bellico, in materiali e mantenimento delle truppe o nella ricostruzione dei centri colpiti, potranno essere destinati allo sviluppo del paese, auspicando che siano diretti soprattutto a combattere l’ingiustizia sociale. E’ anche necessario trattare con l’Eln, anche se è una guerriglia più debole (1500 uomini) e meno violenta, mentre il tema pendente resta quello del paramilitarismo che continua a sussistere dopo un negoziato non propriamente felice con questi gruppi che sono stati i principali portatori di morte, distruzione e spostamento forzato di civili. Il narcotraffico resta il loro principale carburante.

Cosa chiede la società civile? Più che chiedere qualcosa, ora la società civile deve esigere sia dal governo che dalla guerriglia che arrivino a un negoziato positivo e accettabile. Per la guerriglia, questa è l’opportunità per influire in qualche modo in cambiamenti sociali e politici per il bene delle maggioranze, prima di perdere totalmente la sua natura politica e prima che la storia la giudichi come una causa persa con una sola eredità di morte e dolore. Per lo Stato colombiano, è l’opportunità per avere il controllo delle armi e promuovere la sicurezza cittadina in un paese dissanguato ogni anno da alti indici di omicidi e violenza. Anche lo Stato ha giocato un ruolo nefasto in questa guerra: collusioni di ampi settori dell’esercito e della polizia con il mondo paramilitare (anche di politici, imprenditori, sindaci, governatori), violazioni dei diritti umani, falsi positivi (civili uccisi e camuffati da guerriglieri morti in combattimento, ndr), persecuzione dei dirigenti sociali bollati come collaboratori della guerriglia, criminalizzazione delle proteste sociali, uccisioni di ‘campesinos’ e persone innocenti. Non sarà un negoziato facile per nessuno: il governo troverà l’opposizione dei settori della destra, mentre la guerriglia è frammentata da interessi, anche economici, che hanno isolato i diversi fronti in cui perdono influenza i grandi leader. La guerriglia isolata nella foresta ha perso il contatto con il mondo e le sue dinamiche: è una guerriglia soprattutto rurale, con pochi ‘quadri’ intellettuali, di fronte a una popolazione colombiana principalmente urbana e con un’economica in crescita, nonostante il grande divario sociale. La società civile non può e non vuole lasciare un portavoce al tavolo del dialogo, la guerriglia non la rappresenta né spetta a questa chiedere o promuovere le istanze sociali che devono essere invece portate avanti dall’azione organizzata della stessa società civile e attraverso la sua partecipazione alla vita politica del paese. La guerriglia, di sua sponte e a viso aperto di fronte alla società, dovrà proporre al paese e al governo aspetti di interesse generale nell’ambito di un’agenda precisa, come in merito al tema del possesso della terra o al suo ingresso nella vita civile e politica, e anche rispetto al narcotraffico. Ma includere nell’agenda altre questioni sociali, politiche o economiche non è opportuno e neanche democratico.

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