mercoledì, ottobre 17, 2012
Gruppi legati ad Al Qaeda ricevono armi da Arabia saudita e Qatar e rischiano di "radicalizzare" il conflitto. Per l'Onu la loro presenza è "pericolosa" perché "non combattono per la democrazia e la libertà, ma per una loro agenda". I tentativi di Brahimi per una tregua durante la festa di Eid al-Adha. A Damasco si attende la delegazione vaticana, voluta dal papa per esprimere la vicinanza della Chiesa ai cristiani siriani e alla popolazione. L'unica via è "una soluzione politica".

Ginevra, (AsiaNews) - In Siria vi sono centinaia di "islamisti radicali o jihadisti", molto pericolosi, che combattono contro Assad per i loro progetti e non in funzione della democrazia nel Paese. Lo afferma Paulo Sergio Pinheiro, a capo di una Commissione Onu per la verifica sugli abusi dei diritti umani in Siria. Nel primo rapporto dopo un mese di verifiche, egli afferma che vi è "una crescita drammatica di tensioni confessionali" causati da combattenti stranieri. Essi - sottolinea Pinheiro - non sono un grande esercito, ma "non combattono per la democrazia e la libertà, ma per una loro agenda".

Da tempo diverse fonti mettevano in guardia la comunità internazionale sulla presenza in Siria di centinaia di combattenti islamici vicini ad al Qaeda, provenienti da diverse parti del mondo islamico: Iraq, Libia, Egitto, Afghanistan, Cecenia, Ucraina, Mali e Somalia.

Anche il governo di Damasco ha spesso accusato "gruppi terroristi" presenti fra le file del Free Syrian Army, responsabili di molti attentati sanguinari. Secondo il governo ve ne sono almeno migliaia.

Pinheiro ha fatto notare che la presenza di jihadisti "può contribuire alla radicalizzazione... e questa presenza è particolarmente pericolosa" nel conflitto.

Le preoccupazioni dell'Onu avvengono proprio mentre Lakhdar Brahimi, l'inviato Onu per il processo di pace, sta tentando di varare una tregua che coinvolga tutte le parti in lotta e i loro sponsor. La tregua dovrebbe avvenire per la festa di Eid al-Adha, che si celebra alla fine di ottobre. Il timore è che i gruppi jihadisti non rispondano all'appello e continuino a lottare.

Nella comunità internazionale si è pure cauti dopo le rivelazioni del New York Times, secondo cui, molte delle armi che Arabia saudita e Qatar inviano ai ribelli, cadono nelle mani dei jihadisti.

Intanto, fonti di AsiaNews a Damasco, attendono più particolari sull'annuncio del Segretario di Stato card. Tarcisio Bertone sull'invio in Siria di una delegazione vaticana. Ne farebbero parte i cardinali Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa; Joean Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso; Timothy Dolan, arcivescovo di New York. La delegazione sarebbe guidata da mons. Dominique Mamberti, Segretario per i rapporti con gli Stati.

Parlando durante la sessione del Sinodo in corso in Vaticano, il card. Bertone ha spiegato che lo scopo della visita della delegazione è di esprimere la "fraterna solidarietà" del papa e della Chiesa a tutta la popolazione siriana, "con una offerta personale dei Padri Sinodali, oltre che dalla Santa Sede", come pure la vicinanza spirituale "ai nostri fratelli e sorelle cristiani" e "i nostri incoraggiamenti a quanti sono impegnati nella ricerca di un accordo rispettoso dei diritti e dei doveri di tutti, con una particolare attenzione a quanto previsto dal diritto umanitario". "Non possiamo - ha proseguito il porporato - essere semplici spettatori di una tragedia come quella che si sta consumando in Siria".

Per il Segretario di Stato "la soluzione della crisi non può essere che politica" e deve tener conto delle "immani sofferenze della popolazione" e della "sorte degli sfollati" e del "futuro di quella nazione".


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