Una proposta di risoluzione dell'Onu contro le mutilazioni genitali femminili è stata presentata dal gruppo dei Paesi africani.
Radio Vaticana - E’ quanto ha annunciato nelle stesse ore il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, nel corso del Convegno organizzato al Senato dal Gruppo di lavoro parlamentare su salute globale e diritti delle donne. Per capire l’entità del fenomeno nel mondo, Fausta Speranza ha intervistato Rossana Scaricabarozzi dell’Associazione ActionAid, fortemente impegnata contro questa drammatica pratica lesiva dei più basilari diritti umani: ascolta
R. - I dati ufficiali ci dicono che tra i 100 e i 140 milioni di donne hanno subito mutilazioni genitali femminili e tre milioni di bambine ogni anno subiscono questo fenomeno. Ovviamente, questo fenomeno è diffuso soprattutto in Africa e in Medio Oriente ma le stime ci dicono che purtroppo è un problema anche in Europa. I dati del Parlamento europeo ci dicono che circa 500 mila donne in Europa hanno subito mutilazioni genitali femminili. Lo Stato ci dice che 35 mila donne ogni anno le subiscono e che, in Italia, 90 mila donne emigrate che vivono nel nostro Paese hanno subito questo fenomeno.
D. – Parliamo di prevenzione: come prevenire e quali difficoltà si incontrano?
R. - Come ActionAid, operiamo contro le mutilazioni genitali femminili, in particolare in Etiopia Kenya, Liberia e Ghana. Tre di questi Paesi, si sono dotati di una legge contro le mutilazioni genitali femminili. In Etiopia, in particolare, dal ’97 al 2007 si è registrata una diminuzione di questo fenomeno, però è ancora molto diffuso. Per prevenzione la nostra strategia prevede una sensibilizzazione, una denuncia a livello comunitario. Ovviamente, è un fenomeno collegato anche alla povertà. In molti Paesi, molte donne che praticano la mutilazione non hanno altre forme di reddito, quindi si oppongono alla lotta a questa pratica. Ci sono anche altri ostacoli come le culture e le tradizioni di certi Paesi che prescindono dalla religione, perché dipendono dai gruppi etnici: si legano più a tradizioni antichissime che sono molto difficili da sradicare. Quindi, è molto importante agire a livello comunitario e che la comunità stessa comprenda le implicazioni di questo fenomeno in termini di violazione di diritti fondamentali della persona, delle donne in particolare, e che si faccia portatore di un cambiamento a livello comunitario.
D. - Senz’altro, sradicare la credenza per la quale chissà quale valore avrebbe far subire a una bambina una mutilazione genitale ma soprattutto forse anche far sapere i danni dal punto di vista sanitario, psicologico e fisico che le bambine subiscono…
R. - Spesso si nascondono un po’ quali sono le vere conseguenze di queste pratiche, che hanno effetti devastanti dal punto di vista della salute delle bambine e delle donne anche in età avanzata, non soltanto da bambine. Per esempio, possano portare complicazioni durante il parto, perfino alla morte della madre e del bambino stesso al momento del parto. Ovviamente queste conseguenze vengono spesso minimizzate all’interno delle comunità, si dice che non fa così male. Quindi, su questo ovviamente ci vuole una sensibilizzazione ma anche una sensibilizzazione su altre credenze. Per esempio, in alcuni Paesi si pensa che le donne che non sono mutilate siano più propense a tradire il marito. Ci sono stereotipi di genere che vanno destrutturati e questo si fa partendo sempre dalla sensibilizzazione, dal dialogo. Spesso, affrontare anche direttamente la problematica non è poi così efficace. Nella nostra esperienza noi partiamo da altre problematiche, come per esempio la diffusione dell’Hiv e dell’Aids a cui anche la pratica delle mutilazioni genitali femminili contribuisce. Quindi, iniziando a parlare di lotta all’Aids, creando un dialogo iniziale con le comunità, poi si può allargare il discorso più in generale sulle pratiche lesive dei diritti delle donne quali i matrimoni precoci, le mutilazioni genitali… Da lì, si inizia un dibattito più approfondito e si arriva più in profondità, anche guadagnando la fiducia della comunità.
Radio Vaticana - E’ quanto ha annunciato nelle stesse ore il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, nel corso del Convegno organizzato al Senato dal Gruppo di lavoro parlamentare su salute globale e diritti delle donne. Per capire l’entità del fenomeno nel mondo, Fausta Speranza ha intervistato Rossana Scaricabarozzi dell’Associazione ActionAid, fortemente impegnata contro questa drammatica pratica lesiva dei più basilari diritti umani: ascolta
R. - I dati ufficiali ci dicono che tra i 100 e i 140 milioni di donne hanno subito mutilazioni genitali femminili e tre milioni di bambine ogni anno subiscono questo fenomeno. Ovviamente, questo fenomeno è diffuso soprattutto in Africa e in Medio Oriente ma le stime ci dicono che purtroppo è un problema anche in Europa. I dati del Parlamento europeo ci dicono che circa 500 mila donne in Europa hanno subito mutilazioni genitali femminili. Lo Stato ci dice che 35 mila donne ogni anno le subiscono e che, in Italia, 90 mila donne emigrate che vivono nel nostro Paese hanno subito questo fenomeno.
D. – Parliamo di prevenzione: come prevenire e quali difficoltà si incontrano?
R. - Come ActionAid, operiamo contro le mutilazioni genitali femminili, in particolare in Etiopia Kenya, Liberia e Ghana. Tre di questi Paesi, si sono dotati di una legge contro le mutilazioni genitali femminili. In Etiopia, in particolare, dal ’97 al 2007 si è registrata una diminuzione di questo fenomeno, però è ancora molto diffuso. Per prevenzione la nostra strategia prevede una sensibilizzazione, una denuncia a livello comunitario. Ovviamente, è un fenomeno collegato anche alla povertà. In molti Paesi, molte donne che praticano la mutilazione non hanno altre forme di reddito, quindi si oppongono alla lotta a questa pratica. Ci sono anche altri ostacoli come le culture e le tradizioni di certi Paesi che prescindono dalla religione, perché dipendono dai gruppi etnici: si legano più a tradizioni antichissime che sono molto difficili da sradicare. Quindi, è molto importante agire a livello comunitario e che la comunità stessa comprenda le implicazioni di questo fenomeno in termini di violazione di diritti fondamentali della persona, delle donne in particolare, e che si faccia portatore di un cambiamento a livello comunitario.
D. - Senz’altro, sradicare la credenza per la quale chissà quale valore avrebbe far subire a una bambina una mutilazione genitale ma soprattutto forse anche far sapere i danni dal punto di vista sanitario, psicologico e fisico che le bambine subiscono…
R. - Spesso si nascondono un po’ quali sono le vere conseguenze di queste pratiche, che hanno effetti devastanti dal punto di vista della salute delle bambine e delle donne anche in età avanzata, non soltanto da bambine. Per esempio, possano portare complicazioni durante il parto, perfino alla morte della madre e del bambino stesso al momento del parto. Ovviamente queste conseguenze vengono spesso minimizzate all’interno delle comunità, si dice che non fa così male. Quindi, su questo ovviamente ci vuole una sensibilizzazione ma anche una sensibilizzazione su altre credenze. Per esempio, in alcuni Paesi si pensa che le donne che non sono mutilate siano più propense a tradire il marito. Ci sono stereotipi di genere che vanno destrutturati e questo si fa partendo sempre dalla sensibilizzazione, dal dialogo. Spesso, affrontare anche direttamente la problematica non è poi così efficace. Nella nostra esperienza noi partiamo da altre problematiche, come per esempio la diffusione dell’Hiv e dell’Aids a cui anche la pratica delle mutilazioni genitali femminili contribuisce. Quindi, iniziando a parlare di lotta all’Aids, creando un dialogo iniziale con le comunità, poi si può allargare il discorso più in generale sulle pratiche lesive dei diritti delle donne quali i matrimoni precoci, le mutilazioni genitali… Da lì, si inizia un dibattito più approfondito e si arriva più in profondità, anche guadagnando la fiducia della comunità.
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