domenica, ottobre 07, 2012
Salgono a 54 le “autoimmolazioni”... e non si fermeranno

di Mariagiovanna Scarale

Cina - Ha solo 27 anni Sangay Gyatso, il giovane tibetano che si è dato fuoco nella regione di Tsoe nella provincia di Amdo, nel Tibet orientale, intorno alle 12 (ora locale) davanti al monastero di Dokar. Il grido è sempre lo stesso, la protesta non cambia: la richiesta del ritorno del Dalai Lama e la fine dell’occupazione cinese. Il numero e la frequenza di questi episodi cresce in modo esponenziale. Tre giorni fa l’ultimo caso, che ha coinvolto lo scrittore Gudrup, deceduto. Salgono così a 54 le “autoimmolazioni” tibetane iniziate nel 2009, tra cui 44 morti.

Secondo il Gruppo “Campagna Internazionale per il Tibet” il focolaio delle proteste è dovuto soprattutto a monaci che provengono dal monastero di Kirti, nella zona chiusa della provincia del Sichuan, ma una delle maggiori preoccupazioni è che la protesta possa prendere il sopravvento estendendosi a macchia d’olio.

Il meeting dei tibetani in esilio non ha esitato a lanciare un grido d’accusa alla Cina, ritenuta responsabile per la perdita di queste vite. Inoltre, dimostrando ancora una volta l’unità dei tibetani, il gruppo di esiliati ha sostenuto e assicurato che l’attivismo non cesserà, ma al contrario vedrà altre manifestazioni di protesta.

Dopo l’accaduto, Sangay sarebbe stato portato dalle forze dell’ordine in un luogo segreto e, secondo fonti locali, sarebbe deceduto poco dopo a causa delle ferite riportate. Nelle foto arrivate ai compagni in esilio il ragazzo appare, infatti, completamente ustionato.

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