L’Associazione “Scienza&Vita” sull’obiezione di coscienza del medico nella prescrizione della pillola postcoitale
La non comprensione delle ragioni laiche dell’obiezione di coscienza deriva da un indebolimento dei valori nella coscienza di molti, sommersi dall’onda di piena del relativismo etico
Nel numero di giugno 2012 della Newsletter di “Scienza&Vita”, Lucio Romano, Adriano Fabris e Luciano Eusebi mettevano a fuoco, dal punto di vista antropologico, filosofico e giuridico, il discusso tema della obiezione di coscienza del medico alla prescrizione della pillola postcoitale. “La parola obiezione di coscienza, così come è usata nel linguaggio comune – afferma il prof. Maurizio Faggioni, professore ordinario di Bioetica presso l’Accademia Alfonsiana, di Roma e Consigliere nazionale di Scienza&Vita - ha un significato molto ampio e indica, come vuole l’etimologia latina della parola obiectio, opposizione, il rifiuto posto da un soggetto di fronte a un ordine i cui contenuti e finalità ripugnano alla propria sensibilità morale. La parola coscienza evoca l’intimità della persona, la sua irriducibile soggettività, il suo mondo di persuasioni e di convinzioni”.
La coscienza - come indica la Gaudium et spes - è come il sacrario della persona, quel luogo senza luogo nel quale ciascuno è solo con se stesso, con le sue responsabilità di uomo, di fronte al mistero del bene e del vero e coglie il senso del suo agire nell’orizzonte più ampio della direzione di compimento verso cui si muove la sua esistenza. Se un uomo agisse contro la persuasione della sua coscienza causerebbe una danno letale a se stesso perché, abdicando alla sua libertà e dignità, si lascerebbe condurre da altri autorità o leggi ad agire contro le proprie più profonde convinzioni. “L’obiezione di coscienza che, formalmente, è una deroga a una legge - ha continuato Faggioni - viene talora percepita come una ferita alla legge e alla sua forza obbligante, come se l’obiezione di coscienza mettesse in dubbio la autorevolezza morale della Società e facesse prevalere sul bene comune interessi soggettivi, forzando la Comunità civile a piegarsi a dettami etici ad essa estranei. La Società civile, se il riconoscimento dell’obiezione fosse davvero questo, affermerebbe implicitamente la sua mancanza di autorevolezza morale e si riconoscerebbe subordinata a realtà estranee. A ben vedere, invece, la logica dell’obiezione di coscienza è tutta interna alla Società civile ed è sintonica con i principi di una legislazione intimamente razionale”.
“Il fondamento di ogni sistema giuridico nelle sue diverse articolazioni ed espressioni dovrebbe trovarsi nella salvaguardia dei diritti umani - ha concluso Faggioni - e, quindi, ultimamente, nei valori umani essenziali. La teologia morale è solita affermare, a questo proposito, che ogni legge deve essere conforme alla recta ratio, ad una ragione sana, perché la legge risulta obbligante per la coscienza proprio a motivo della sua ragionevolezza. Si deve riconoscere, infatti, alla ragione umana che ha la capacità di aprirsi a riconoscere, comprendere e attuare i valori essenziali, quei beni umani che sostanziano una vita degna della persona. In caso contrario la legge perderebbe la sua forza obbligante perché - come affermava sant’Agostino - una legge ingiusta non può dirsi legge in senso pieno e anzi come insegnava san Tommaso una legge che andasse contro la ragione non sarebbe una legge, ma la corruzione di una legge e un atto di violenza. A volte la legge cerca un difficile bilanciamento fra valori che sembrano confliggenti e permette che un valore sia tutelato con minor rigore ritenendo spesso erroneamente che questo sia richiesto per l’attuazione di un altro valore giudicato, in quella certa situazione, preminente. È il caso della legge 194 che, pur affermando, in linea di principio, la tutela della vita nascente e della maternità, de facto privilegia la autodeterminazione della madre rispetto alla vita del concepito”.
Il discorso sulla pillola postcoitale s’inserisce su quello più vasto dell’aborto e sulla legge che ne consente l’attuazione. L’attuale legge 194, quella relativa all’interruzione di gravidanza, è a mio avviso troppo permissiva perché gli articoli 2 e 5, messi proprio perché ci sia un ripensamento, una dissuasione e poi un sostegno nei confronti della donna, di fatto sono poi puntualmente disattesi e regolarmente assenti nel percorso terapeutico previsto dalla legge. Tutte le buone intenzioni del legislatore sono sempre andate a “farsi benedire”: estrapolando i principi animatori della 194, si vede benissimo come siano tutti falliti. Eccone alcuni: “Lo Stato tutela la vita umana sin dal suo inizio”; “L’interruzione volontaria della gravidanza non deve essere il mezzo per il controllo delle nascite”; e poi che l’aborto è ammesso solo “quando la gravidanza mette in serio pericolo la salute fisica o psichica della madre”, e ancora “che a tutte le donne che desiderano abortire dovrebbero essere garantite l’assistenza e gli aiuti opportuni per far loro superare le difficoltà che le inducono ad interrompere la loro maternità”. Tutti questi principi sono stati disattesi e chi dichiara che questa legge è buona lo dice soltanto per non creare tensioni politiche, per non inimicarsi il popolo delle donne, per non rimettere in discussione dei principi validi solo sulla carta, la cui mancata applicazione rende la legge sostanzialmente permissiva. La verità e che la legge 194 non ha diminuito gli aborti, come da più parti si afferma, ma li ha aumentati rispetto a quelli possibili prima del 1978, cioè quelli clandestini, che erano circa 25-30mila ogni anno. Si, è vero che sono diminuiti rispetto ai primi anni dell’istituzione della legge, quando erano 240mila (e ora sono “soltanto” 130mila”, ma non certo per merito della legge, che rende gli aborti, in tutti i casi, liberi, facili e gratuitamente rapidi. Piuttosto la loro diminuzione dipende da altri fattori: per esempio dal maggior ricorso ai contraccettivi e dall’uso sempre più diffuso della “pillola del giorno dopo” (ne sono state vendute nel 2007 circa 350mila confezioni), che è stata l’antesignana della RU486, in quanto è anch’essa abortiva se la donna avesse prima concepito.
La laicità dello Stato in questo caso sembra un totem, un idolo su cui sacrificare ben 127mila vite umane e il Magistero della Chiesa nulla ha potuto fare per evitare questo misfatto. Oltre tutto, ogni volta che i vescovi si pronunciano su questioni che riguardano la tutela della vita umana, immancabilmente vengono tacitati e tacciati dell’orrendo delitto di ingerenza! Ora con l’introduzione della pillola abortiva RU486 si è data un’ulteriore facilitazione e permissività all’aborto “terapeutico”, senza che nessuno lo impedisca o lo voglia impedire.
di Carlo Mafera
Nel numero di giugno 2012 della Newsletter di “Scienza&Vita”, Lucio Romano, Adriano Fabris e Luciano Eusebi mettevano a fuoco, dal punto di vista antropologico, filosofico e giuridico, il discusso tema della obiezione di coscienza del medico alla prescrizione della pillola postcoitale. “La parola obiezione di coscienza, così come è usata nel linguaggio comune – afferma il prof. Maurizio Faggioni, professore ordinario di Bioetica presso l’Accademia Alfonsiana, di Roma e Consigliere nazionale di Scienza&Vita - ha un significato molto ampio e indica, come vuole l’etimologia latina della parola obiectio, opposizione, il rifiuto posto da un soggetto di fronte a un ordine i cui contenuti e finalità ripugnano alla propria sensibilità morale. La parola coscienza evoca l’intimità della persona, la sua irriducibile soggettività, il suo mondo di persuasioni e di convinzioni”.
La coscienza - come indica la Gaudium et spes - è come il sacrario della persona, quel luogo senza luogo nel quale ciascuno è solo con se stesso, con le sue responsabilità di uomo, di fronte al mistero del bene e del vero e coglie il senso del suo agire nell’orizzonte più ampio della direzione di compimento verso cui si muove la sua esistenza. Se un uomo agisse contro la persuasione della sua coscienza causerebbe una danno letale a se stesso perché, abdicando alla sua libertà e dignità, si lascerebbe condurre da altri autorità o leggi ad agire contro le proprie più profonde convinzioni. “L’obiezione di coscienza che, formalmente, è una deroga a una legge - ha continuato Faggioni - viene talora percepita come una ferita alla legge e alla sua forza obbligante, come se l’obiezione di coscienza mettesse in dubbio la autorevolezza morale della Società e facesse prevalere sul bene comune interessi soggettivi, forzando la Comunità civile a piegarsi a dettami etici ad essa estranei. La Società civile, se il riconoscimento dell’obiezione fosse davvero questo, affermerebbe implicitamente la sua mancanza di autorevolezza morale e si riconoscerebbe subordinata a realtà estranee. A ben vedere, invece, la logica dell’obiezione di coscienza è tutta interna alla Società civile ed è sintonica con i principi di una legislazione intimamente razionale”.
“Il fondamento di ogni sistema giuridico nelle sue diverse articolazioni ed espressioni dovrebbe trovarsi nella salvaguardia dei diritti umani - ha concluso Faggioni - e, quindi, ultimamente, nei valori umani essenziali. La teologia morale è solita affermare, a questo proposito, che ogni legge deve essere conforme alla recta ratio, ad una ragione sana, perché la legge risulta obbligante per la coscienza proprio a motivo della sua ragionevolezza. Si deve riconoscere, infatti, alla ragione umana che ha la capacità di aprirsi a riconoscere, comprendere e attuare i valori essenziali, quei beni umani che sostanziano una vita degna della persona. In caso contrario la legge perderebbe la sua forza obbligante perché - come affermava sant’Agostino - una legge ingiusta non può dirsi legge in senso pieno e anzi come insegnava san Tommaso una legge che andasse contro la ragione non sarebbe una legge, ma la corruzione di una legge e un atto di violenza. A volte la legge cerca un difficile bilanciamento fra valori che sembrano confliggenti e permette che un valore sia tutelato con minor rigore ritenendo spesso erroneamente che questo sia richiesto per l’attuazione di un altro valore giudicato, in quella certa situazione, preminente. È il caso della legge 194 che, pur affermando, in linea di principio, la tutela della vita nascente e della maternità, de facto privilegia la autodeterminazione della madre rispetto alla vita del concepito”.
Il discorso sulla pillola postcoitale s’inserisce su quello più vasto dell’aborto e sulla legge che ne consente l’attuazione. L’attuale legge 194, quella relativa all’interruzione di gravidanza, è a mio avviso troppo permissiva perché gli articoli 2 e 5, messi proprio perché ci sia un ripensamento, una dissuasione e poi un sostegno nei confronti della donna, di fatto sono poi puntualmente disattesi e regolarmente assenti nel percorso terapeutico previsto dalla legge. Tutte le buone intenzioni del legislatore sono sempre andate a “farsi benedire”: estrapolando i principi animatori della 194, si vede benissimo come siano tutti falliti. Eccone alcuni: “Lo Stato tutela la vita umana sin dal suo inizio”; “L’interruzione volontaria della gravidanza non deve essere il mezzo per il controllo delle nascite”; e poi che l’aborto è ammesso solo “quando la gravidanza mette in serio pericolo la salute fisica o psichica della madre”, e ancora “che a tutte le donne che desiderano abortire dovrebbero essere garantite l’assistenza e gli aiuti opportuni per far loro superare le difficoltà che le inducono ad interrompere la loro maternità”. Tutti questi principi sono stati disattesi e chi dichiara che questa legge è buona lo dice soltanto per non creare tensioni politiche, per non inimicarsi il popolo delle donne, per non rimettere in discussione dei principi validi solo sulla carta, la cui mancata applicazione rende la legge sostanzialmente permissiva. La verità e che la legge 194 non ha diminuito gli aborti, come da più parti si afferma, ma li ha aumentati rispetto a quelli possibili prima del 1978, cioè quelli clandestini, che erano circa 25-30mila ogni anno. Si, è vero che sono diminuiti rispetto ai primi anni dell’istituzione della legge, quando erano 240mila (e ora sono “soltanto” 130mila”, ma non certo per merito della legge, che rende gli aborti, in tutti i casi, liberi, facili e gratuitamente rapidi. Piuttosto la loro diminuzione dipende da altri fattori: per esempio dal maggior ricorso ai contraccettivi e dall’uso sempre più diffuso della “pillola del giorno dopo” (ne sono state vendute nel 2007 circa 350mila confezioni), che è stata l’antesignana della RU486, in quanto è anch’essa abortiva se la donna avesse prima concepito.
La laicità dello Stato in questo caso sembra un totem, un idolo su cui sacrificare ben 127mila vite umane e il Magistero della Chiesa nulla ha potuto fare per evitare questo misfatto. Oltre tutto, ogni volta che i vescovi si pronunciano su questioni che riguardano la tutela della vita umana, immancabilmente vengono tacitati e tacciati dell’orrendo delitto di ingerenza! Ora con l’introduzione della pillola abortiva RU486 si è data un’ulteriore facilitazione e permissività all’aborto “terapeutico”, senza che nessuno lo impedisca o lo voglia impedire.
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