giovedì, ottobre 04, 2012
Quando la difesa della religione e la libertà di espressione a tutti i costi la fanno da padrone
di Mariangela Laviano

Gli avvenimenti della primavera araba avevano fatto germogliare tra gli osservatori internazionali la speranza di un capovolgimento positivo nella vita politica dei paesi protagonisti del Secondo Risveglio arabo. Purtroppo però, in seguito agli ultimi episodi di inaudita violenza, la reazione più naturale è quella di pensare che non ci sarà mai una democrazia nei paesi arabi, che lo scontro di civiltà è un dato di fatto ineluttabile e che l’antiamericanismo è un ottimo strumento per l’indignazione di massa.

La lettura degli eventi così come proposta è necessariamente superficiale, poiché i produttori del ben noto film diffamatorio e gli autori delle vignette satiriche, invocando un discutibile concetto di libertà di espressione e di parola, hanno inficiato quel precario equilibrio che aveva consentito la parziale stabilizzazione dei paesi coinvolti dalle rivolte.

Tareq Oubrou, Rettore della moschea di Bordeaux, ci offre una chiave di lettura autentica sugli episodi di violenza spiegando, nel suo articolo dal titolo “Résister à l'esprit complotiste et victimaire” pubblicato su Le Monde, la differenza che esiste tra le libertà individuali nel mondo occidentale e democratico e quelle nel mondo arabo, dove il potere temporale e quello secolare coincidono. Mentre in Occidente il concetto di libertà è molto forte e secolarizzato e le libertà individuali spettano, appunto, all’individuo e non allo Stato a cui appartiene, nel mondo arabo la nozione dell’IO rimane unito al NOI e, di conseguenza, la confusione tra il cittadino e lo Stato è totale. A motivo di ciò, l’attacco al consolato americano da parte di un gruppo di fondamentalisti che ha procurato la morte dell’ambasciatore Christopher Stevens e di altri funzionari è di riflesso un attacco allo stato americano poiché complice della diffusione del film spazzatura “Innocence of muslims”. Non è certo questo un tentativo da parte di Oubrou di giustificare le violenze e le morti di innocenti ma è sicuramente una interpretazione che in futuro dovrà far riflettere su alcune prese di posizione.

Del resto, le proteste e le condanne di libri o film ritenuti offensivi per l’Islam sono diventate un pretesto facile nelle mani degli estremisti e di qualche governo “laico” già da diversi anni. Nel 1989 l’ayatollah Khomeini lanciò una fatwa che decretò la condanna dello scrittore Salman Rushdie per il suo libro “I versi satanici”. La conseguenza di ciò fu che in tutto il mondo si scatenarono ondate di violenza e ancora oggi sulla testa di Rushdie pende una taglia di milioni di dollari. Nel 2000, i Fratelli musulmani egiziani portarono avanti una campagna contro il romanzo “Banchetto per alghe” (titolo originale Walimah li A'ashab al-Bahr) del siriano Haidar Haidar, che fu accusato di eresia e di offesa all’Islam. Dopo quattro anni, l’artista olandese Theo Van Gogh è stato assassinato a causa del suo cortometraggio “Submission” in cui si vede una donna musulmana sul cui corpo nudo sono dipinti testi coranici sulla castità e la sottomissione. Un anno dopo, nel 2005, il quotidiano danese Jyllands-Posten scatenò una serie di violenti proteste dopo la pubblicazione di dodici caricature di Maometto e migliaia di persone manifestarono contro la rappresentazione blasfema del Profeta. In quello stesso periodo, o poco prima, i soldati statunitensi nelle carceri di Guantanamo avevano torturato e umiliato i detenuti musulmani. Insomma, una sorta di legge del taglione…

La difesa dell’Islam diventa il punto cruciale di una battaglia che se da un lato si riflette all’esterno dall’altro è interna al fronte islamista. E’ ben noto che i fondamentalisti islamici sono dei veri maestri nel trasformare un’offesa ricevuta in una battaglia politica, e in questo periodo più che mai il loro intento è di difendere la fede e l’identità nei paesi arabi nel pieno della transizione democratica, e di diventare quindi i soli portavoce dell’Islam ufficiale.

Secondo uno degli intellettuali musulmani più noti in Europa, Tariq Ramadan, la sfida più importante per i paesi a maggioranza musulmana è quella della “credibilità religiosa”. Nel senso che gli stessi Fratelli musulmani in Libia, in Egitto e nello Yemen stanno subendo le pressioni della fascia più estremista, quella dei salafiti, la quale mira ad accaparrarsi questa “credibilità” sia per il consenso interno sia per la gestione del potere.

Il tutto si consuma sulla scia della nuova politica estera americana voluta nel 2009 da Obama che aveva puntato proprio sul superamento dell’equazione “Islam uguale terrorismo”. Viene da chiedersi allora, nell’anno elettorale, quanto questa politica estera potrà ancora reggere sotto le tensioni del perenne conflitto israelo-palestinese, quanto influirà “l’affaire libico” e come verrà gestita, in caso di rielezione, la crisi con l’Iran.

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