martedì, ottobre 30, 2012
Il 12 ottobre 1997 moriva mons. Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas diocesana di Roma.  

Radio Vaticana - A quindici anni dalla scomparsa, la Fondazione che porta il suo nome ha presentato la prima biografia completa del religioso. Edita da "Il Mulino", si intitola "Carità e Giustizia" e ne è autore don Maurilio Guasco, professore emerito dell'Università del Piemonte Orientale e docente al seminario di Alessandria. Davide Maggiore lo ha intervistato: ascolta  
R. - Io credo ci sia un filo conduttore proprio nell’esperienza di quest’uomo che non ha mai fatto le cose singole, ha vissuto tutta una vita attraverso un filo che lo seguiva: l’attenzione all’emarginato e al povero. Tutte le attività di don Luigi, gli ostelli, i malati di Aids, gli immigrati hanno a monte l’idea che bisogna creare una società più solidale. Questo tema è costante nella sua vita e ciò che ha mosso don Luigi è la convinzione che c’è un mondo da recuperare. Per lui parlare di immigrati, di ammalati, era un po’ analogo, le persone erano diverse ma la sua preoccupazione era la stessa.

D. - In questa chiave è impossibile non pensare all’attività di don Luigi Di Liegro come fondatore e come direttore della Caritas diocesana di Roma. A questo proposito lui parlava di pensare in grande alla carità, cosa significa?

R. - Il passaggio dal concetto della carità come elemosina, che è un dato assolutamente positivo, alla carità come riorganizzazione dei servizi in funzione ancora una volta del povero. Pensare in grande per lui significava non pensare che la carità è prima di tutto l’elemosina, è anche l’elemosina, ma è creare una società dove ci sia una maggiore giustizia. Don Luigi dice: finché agiamo sulle conseguenze e non pensiamo alle premesse raccogliamo i cocci di una società che provoca cocci. Noi vogliamo creare una società che non provochi più cocci e forse questo è proprio pensare in grande alla carità.

D. - E’ una visione questa che non si sostanzia solo nell’azione ma trae origine da una ben precisa spiritualità…

R. - Questo è un aspetto cui tengo molto perché don Luigi è l’uomo dell’azione. Sembra che passi la vita ad agire, don Luigi spesso dice: se io al mattino non dedico almeno un’ora alla preghiera non combino più niente! Don Luigi è un uomo di una profondissima spiritualità e credo che molte delle cose che fa le fa perché ha una coscienza acuta della presenza del Signore in lui: cioè, l’idea che se non siamo mossi dallo Spirito Santo e da una coscienza forte, da una spiritualità forte, rischiamo, come dice San Paolo, di essere campane che fanno tanto rumore ma vuote dentro. Don Luigi non era vuoto dentro, faceva rumore, è vero, ma lo faceva perché era ricchissimo di spiritualità.

D. - Sono passati 15 anni dalla scomparsa di don Di Liegro: cosa ci lascia idealmente oggi questa figura?

R. - Indubbiamente ci lascia l’eredità delle cose che ha fatto. L’ostello, i luoghi di incontri, le case per malati di Aids, sono pure un’eredità, cose che ha fatto. Ci ha insegnato un modello per affrontare i problemi della società con le sue realizzazioni. Quindi da un lato c’è un’eredità attiva, le cose che ha fatto rimangono ancora oggi; dall’altra ci ha lasciato un esempio da seguire, cioè in un tempo determinato lui ha fatto certe cose, ha imparato a rispondere ai bisogni del momento. La verità maggiore è sempre questa: sapere rispondere ai bisogni che la società ci propone di volta in volta.


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