In una sentenza pubblicata solo qualche giorno fa, la Cassazione riconosce anche al disabile e ai fratelli di lui il diritto al risarcimento del danno “da nascita indesiderata”, con motivazioni che hanno del sorprendente. Una sentenza choc che non può non far discutere. Anche perché ispirata ad un modello insano di famiglia, certo non voluto dal nostro legislatore e, ancor prima, dalla Costituzione, ispirata al contrario a principi di solidarietà sociale e familiare.
Il dibattito, che per il momento pare confinato presso il mondo accademico, ma che rischia di esorbitare in ambito politico, riguarda la sentenza della terza sezione civile n. 16754 del 2 ottobre 2012, con cui la Corte di Cassazione cerca di fare il punto della situazione su una questione alquanto controversa: l’esistenza o meno del diritto per un minore affetto da malformazioni congenite di domandare il risarcimento del danno per la sua condizione di disabilità al sanitario che, omettendo gli accertamenti diagnostici dovuti, ha di fatto impedito alla madre di esercitare il suo diritto all’interruzione della gravidanza. E’ pacifico che in casi del genere la madre possa domandare al medico negligente il risarcimento del danno per la lesione del suo diritto all’interruzione volontaria della gravidanza (diritto che la madre avrebbe con tutta probabilità esercitato ove fosse stata messa al corrente delle malformazioni fetali). Più di recente, la giurisprudenza aveva esteso il diritto al risarcimento anche al padre del concepito, che, a causa dell’inadempimento del sanitario e del conseguente mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza da parte della donna, si trova costretto a crescere un figlio affetto da disabilità. Quanto invece all’esistenza di un analogo diritto in capo al nato malformato, la giurisprudenza prevalente era solita rispondere negativamente: infatti, riconoscere in capo al figlio disabile il risarcimento “da nascita indesiderata” avrebbe significato ammettere paradossalmente l’esistenza di un diritto del concepito a non nascere se non sano, quando invece appare evidente che l’ordinamento giuridico tutela in ogni caso il concepito in direzione della nascita e non della non-nascita. Detto in altri termini, il figlio non abortito non ha nulla di cui dolersi nei confronti del medico che per negligenza o imperizia abbia omesso di diagnosticare alla madre la presenza di determinate patologie genetiche. Affermare il contrario significherebbe avallare, d’altronde, nel nostro sistema giuridico un pericoloso principio di eugenesi prenatale, che considera preferibile la non-vita rispetto ad un’esistenza segnata dalla disabilità.
Nel rivedere criticamente quest’orientamento, la Cassazione, nella sentenza in esame, ammette invece senza mezzi termini che la condizione di disabilità è in sé fonte di danno risarcibile, in quanto segna inevitabilmente in senso negativo l’esistenza della stessa persona affetta da handicap. La statuizione è davvero inquietante, perché sembra basarsi sulla considerazione di un presunto interesse del disabile a non nascere affatto. Ma ancor più inquietante è la parte della sentenza in cui la Suprema Corte riconosce il diritto al risarcimento del danno “da nascita indesiderata” (significativamente nel diritto anglosassone si parla di “wrongful birth”, ossia letteralmente di “nascita sbagliata”) ai fratelli del nato malformato. Per questa parte, la pronuncia è davvero innovativa, perché mai nessuno in passato si era sognato di riconoscere, nei confronti del medico, il diritto al risarcimento ai fratelli o alle sorelle. Ma quale danno subiscono i fratelli dalla nascita di un bambino handicappato? Ebbene – ci spiega la Cassazione – il danno consiste per i fratelli nella inevitabile minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio disabile, oltre che nella diminuita possibilità di godere di un rapporto familiare caratterizzato da serenità e distensione. Insomma, quella del disabile, nel pensiero della Cassazione, parrebbe essere un’esistenza “dannosa” sotto ogni profilo. Il disabile, a motivo del suo handicap, sarebbe dannoso, secondo questa prospettiva, per tutti i componenti della famiglia: per la madre che non ha potuto abortire, per il padre che in virtù dei suoi doveri familiari si trova costretto a prendersene cura e, infine, per i fratelli, privati delle attenzioni dei genitori.
L’insegnamento morale che si ricava da questa sentenza – tralasciando le considerazioni di carattere più squisitamente giuridico – non è certo dei più edificanti e non credo che risponda alla realtà della stragrande maggioranza delle famiglie italiane, in cui la presenza di bambini affetti da disabilità è senza dubbio fonte di difficoltà e di disagi (anche a causa di una classe politica spesso insensibile a questo tipo di problematiche), ma anche occasione di crescita e di arricchimento per tutti. Quanti genitori accudiscono con amore i loro figli disabili e quante persone si prendono cura, anche dopo la morte dei genitori, dei fratelli handicappati! Questi sono i miracoli dell’amore. Quell’amore che riempie di significato gli affetti e le relazioni umane, a partire proprio da quelle che si costruiscono in famiglia.
di Bartolo Salone
Il dibattito, che per il momento pare confinato presso il mondo accademico, ma che rischia di esorbitare in ambito politico, riguarda la sentenza della terza sezione civile n. 16754 del 2 ottobre 2012, con cui la Corte di Cassazione cerca di fare il punto della situazione su una questione alquanto controversa: l’esistenza o meno del diritto per un minore affetto da malformazioni congenite di domandare il risarcimento del danno per la sua condizione di disabilità al sanitario che, omettendo gli accertamenti diagnostici dovuti, ha di fatto impedito alla madre di esercitare il suo diritto all’interruzione della gravidanza. E’ pacifico che in casi del genere la madre possa domandare al medico negligente il risarcimento del danno per la lesione del suo diritto all’interruzione volontaria della gravidanza (diritto che la madre avrebbe con tutta probabilità esercitato ove fosse stata messa al corrente delle malformazioni fetali). Più di recente, la giurisprudenza aveva esteso il diritto al risarcimento anche al padre del concepito, che, a causa dell’inadempimento del sanitario e del conseguente mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza da parte della donna, si trova costretto a crescere un figlio affetto da disabilità. Quanto invece all’esistenza di un analogo diritto in capo al nato malformato, la giurisprudenza prevalente era solita rispondere negativamente: infatti, riconoscere in capo al figlio disabile il risarcimento “da nascita indesiderata” avrebbe significato ammettere paradossalmente l’esistenza di un diritto del concepito a non nascere se non sano, quando invece appare evidente che l’ordinamento giuridico tutela in ogni caso il concepito in direzione della nascita e non della non-nascita. Detto in altri termini, il figlio non abortito non ha nulla di cui dolersi nei confronti del medico che per negligenza o imperizia abbia omesso di diagnosticare alla madre la presenza di determinate patologie genetiche. Affermare il contrario significherebbe avallare, d’altronde, nel nostro sistema giuridico un pericoloso principio di eugenesi prenatale, che considera preferibile la non-vita rispetto ad un’esistenza segnata dalla disabilità.
Nel rivedere criticamente quest’orientamento, la Cassazione, nella sentenza in esame, ammette invece senza mezzi termini che la condizione di disabilità è in sé fonte di danno risarcibile, in quanto segna inevitabilmente in senso negativo l’esistenza della stessa persona affetta da handicap. La statuizione è davvero inquietante, perché sembra basarsi sulla considerazione di un presunto interesse del disabile a non nascere affatto. Ma ancor più inquietante è la parte della sentenza in cui la Suprema Corte riconosce il diritto al risarcimento del danno “da nascita indesiderata” (significativamente nel diritto anglosassone si parla di “wrongful birth”, ossia letteralmente di “nascita sbagliata”) ai fratelli del nato malformato. Per questa parte, la pronuncia è davvero innovativa, perché mai nessuno in passato si era sognato di riconoscere, nei confronti del medico, il diritto al risarcimento ai fratelli o alle sorelle. Ma quale danno subiscono i fratelli dalla nascita di un bambino handicappato? Ebbene – ci spiega la Cassazione – il danno consiste per i fratelli nella inevitabile minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio disabile, oltre che nella diminuita possibilità di godere di un rapporto familiare caratterizzato da serenità e distensione. Insomma, quella del disabile, nel pensiero della Cassazione, parrebbe essere un’esistenza “dannosa” sotto ogni profilo. Il disabile, a motivo del suo handicap, sarebbe dannoso, secondo questa prospettiva, per tutti i componenti della famiglia: per la madre che non ha potuto abortire, per il padre che in virtù dei suoi doveri familiari si trova costretto a prendersene cura e, infine, per i fratelli, privati delle attenzioni dei genitori.
L’insegnamento morale che si ricava da questa sentenza – tralasciando le considerazioni di carattere più squisitamente giuridico – non è certo dei più edificanti e non credo che risponda alla realtà della stragrande maggioranza delle famiglie italiane, in cui la presenza di bambini affetti da disabilità è senza dubbio fonte di difficoltà e di disagi (anche a causa di una classe politica spesso insensibile a questo tipo di problematiche), ma anche occasione di crescita e di arricchimento per tutti. Quanti genitori accudiscono con amore i loro figli disabili e quante persone si prendono cura, anche dopo la morte dei genitori, dei fratelli handicappati! Questi sono i miracoli dell’amore. Quell’amore che riempie di significato gli affetti e le relazioni umane, a partire proprio da quelle che si costruiscono in famiglia.
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Sono presenti 5 commenti
Ma quante belle parole parole parole.....Il signor Salone ha forse vissuto l'esperienza della nascita di un figlio con una grave disabilità? Ha mai provato lo strazio di due genitori il cui figlio viene sottoposto a pesanti interventi chirurgici a due e sette giorni dalla nascita; e poi a tre mesi, ad uno, due , quattro, cinque, sei anni. Si è mai sentito dire dalla propria , amatissima, figlia "Io non volevo nascere!" mentre guarda, costretta sopra una carrozzina, i suoi coetanei correre, scivolare, saltare al parco o a scuola?????? Sono certa che no. Perchè altrimenti non si sognerebbe di fare un commento simile. Da bacchettone, mi consenta.
Non è certo una bella favola quella che ho voluto raccontare. Ogni rosa ha le sue spine e ogni amore ha inevitabilmente le sue croci. Per questo ho il massimo rispetto le persone che vivono situazioni di sofferenza per sé e per i propri cari. Se alla sofferenza che già si vive in famiglia aggiungiamo però il pregiudizio sociale, non credo che le cose possano migliorare. E' per questo che rabbrividisco di fronte a pronunce di giudici che danno della disabilità definizioni così squalificanti. Anche a costo, lo dico con simpatia, di sembrare un bacchettone.
Non sei un bacchettone. Io condivido le tue opinioni anche se a volte risulta difficile accogliere un figlio disabile. Noi ne abbiamo uno e guai se non ci fosse! Certo la vita senza sacrifici e rinunce piace a tutti.
Volete istituire la Rupe Tarpea di antica memoria?
Il mito della purezza della razza perfetta é duro a morire!
Non ci sono parole per definire tale cultura, ne sono state sprecate tante in secoli di storia, ma ci sono tanti tanti tanti fatti e avvenimenti che testiminiano l'enorme danno provocato per millenni all'umanità da tale mentalità bigotta e pseudo-cristiana che continua a rifugiarsi dietro "... la volontà di dio...". E anche questa, credete, non è mai stata e non è certo, neanche adesso, una bella favola, è soltanto realtà, una sporca realtà.
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