Superare la logica dei “campi nomadi” per promuovere la piena cittadinanza della popolazione Rom. Questo il tema del convegno “Pensare contro-campo.
Radio Vaticana - Rom, cittadini dell’Italia che verrà”, organizzato dall’associazione “21 luglio”, specializzata nella tutela dei diritti dell’infanzia e promotrice della campagna “stop all’apartheid dei Rom”. All’incontro, che si è svolto ieri a Roma, c’era per noi Michele Raviart: ascolta
Ospiti mal tollerati, capro espiatorio dei problemi sociali in tempi di crisi, quasi mai cittadini a pieno titolo delle comunità in cui abitano. E’ la perpetua discriminazione subita, tanto in Italia quanto in buona parte d’Europa, dai popoli Rom e Sinti, spesso l’ultima delle minoranze in termini di tutela dei diritti civili. Dalla metà degli anni sessanta i Rom sono stati oggetto di una politica di allontanamento costante dai centri abitati, che in Italia ha preso la forma dei “campi nomadi”, veri e propri “non-luoghi”, fuori dallo Stato di diritto e dal resto del territorio urbano, come ci spiega Carlotta Sami, direttrice della sezione italiana di Amnesty International.
“Innanzitutto sono luoghi di separazione, di segregazione, quindi sono luoghi chiusi in cui le persone vengono costantemente controllate, a prescindere dal fatto che abbiano commesso qualsiasi tipo di reato. Quindi vengono controllate in quanto semplici abitanti di quel campo, che siano bambini, donne o uomini. Violano i diritti umani perché privano le persone che ci vivono di servizi essenziali. Privano i bambini del diritto fondamentale all’istruzione e privano dell’accesso all’acqua, all’elettricità. Le persone non hanno di che lavarsi, non hanno di che cucinare e quindi pongono anche le persone a oggettivi rischi di salute”.
Difficile parlare ancora di strutture di accoglienza per “nomadi”, dato che si è ormai arrivati alla terza generazione di persone nate e cresciute nei campi, spesso senza aver mai avuto un documento d’identità, con tutte le limitazioni all’accesso dei servizi pubblici che questo comporta. Oggetto di politiche, sia da parte delle istituzioni che dell’associazionismo, ma mai soggetto veramente attivo, i Rom in Italia sono circa 170mila, 10mila dei quali, secondo alcune stime, si trovano solo nei campi di Roma. In Italia i Rom sono considerati una questione di sicurezza e di ordine pubblico, tanto che da quattro anni è in vigore lo stato d’emergenza per il “problema nomadi”. Una serie di atti normativi giudicati illegali dal Consiglio di Stato e per i quali sono stati stanziati 20 milioni di euro. Di recente il governo ha improntato un “piano nazionale nomadi”, in linea con le direttive europee. Mons. Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes:
“Ritengo importante anzitutto che il piano nazionale che è stato realizzato all’insegna anche di una indicazione europea venga preso sul serio come base di azione politica. Il problema rom è anzitutto un problema culturale. Una politica che riparta dalla città e nella città dagli ultimi è certamente una politica oggi che aiuta a superare questa condizione di minorità”.
Fin dal 1965, con l’incontro di Pomezia fra Paolo VI e Rom, la Chiesa è stata una delle poche istituzioni in prima fila nella lotta per i diritti dei popoli Rom e Sinti. Ancora mons. Perego: “Da allora tutto quel cammino di coniugazione, di evangelizzazione e promozione umana negli anni ’70 ha significato lavorare molto per la scuola, per il riconoscimento dei diritti. Negli anni ’80 ha significato effettivamente riuscire a camminare anche per una città riconciliata che superi i pregiudizi e le discriminazioni. Negli anni ’90 ha significato ripensare la città a partire dai rom che provenivano da altri Paesi e che univano alla loro condizione rom l’esperienza anche di essere profughi. Nel 2000 significa fare in modo di riuscire effettivamente ad arrivare a quel superamento di chi vive ancora nei campi ma soprattutto il superamento di quei pregiudizi e di quelle discriminazioni che nel nostro Paese non rendono ancora cittadini queste persone”.
Radio Vaticana - Rom, cittadini dell’Italia che verrà”, organizzato dall’associazione “21 luglio”, specializzata nella tutela dei diritti dell’infanzia e promotrice della campagna “stop all’apartheid dei Rom”. All’incontro, che si è svolto ieri a Roma, c’era per noi Michele Raviart: ascolta
Ospiti mal tollerati, capro espiatorio dei problemi sociali in tempi di crisi, quasi mai cittadini a pieno titolo delle comunità in cui abitano. E’ la perpetua discriminazione subita, tanto in Italia quanto in buona parte d’Europa, dai popoli Rom e Sinti, spesso l’ultima delle minoranze in termini di tutela dei diritti civili. Dalla metà degli anni sessanta i Rom sono stati oggetto di una politica di allontanamento costante dai centri abitati, che in Italia ha preso la forma dei “campi nomadi”, veri e propri “non-luoghi”, fuori dallo Stato di diritto e dal resto del territorio urbano, come ci spiega Carlotta Sami, direttrice della sezione italiana di Amnesty International.
“Innanzitutto sono luoghi di separazione, di segregazione, quindi sono luoghi chiusi in cui le persone vengono costantemente controllate, a prescindere dal fatto che abbiano commesso qualsiasi tipo di reato. Quindi vengono controllate in quanto semplici abitanti di quel campo, che siano bambini, donne o uomini. Violano i diritti umani perché privano le persone che ci vivono di servizi essenziali. Privano i bambini del diritto fondamentale all’istruzione e privano dell’accesso all’acqua, all’elettricità. Le persone non hanno di che lavarsi, non hanno di che cucinare e quindi pongono anche le persone a oggettivi rischi di salute”.
Difficile parlare ancora di strutture di accoglienza per “nomadi”, dato che si è ormai arrivati alla terza generazione di persone nate e cresciute nei campi, spesso senza aver mai avuto un documento d’identità, con tutte le limitazioni all’accesso dei servizi pubblici che questo comporta. Oggetto di politiche, sia da parte delle istituzioni che dell’associazionismo, ma mai soggetto veramente attivo, i Rom in Italia sono circa 170mila, 10mila dei quali, secondo alcune stime, si trovano solo nei campi di Roma. In Italia i Rom sono considerati una questione di sicurezza e di ordine pubblico, tanto che da quattro anni è in vigore lo stato d’emergenza per il “problema nomadi”. Una serie di atti normativi giudicati illegali dal Consiglio di Stato e per i quali sono stati stanziati 20 milioni di euro. Di recente il governo ha improntato un “piano nazionale nomadi”, in linea con le direttive europee. Mons. Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes:
“Ritengo importante anzitutto che il piano nazionale che è stato realizzato all’insegna anche di una indicazione europea venga preso sul serio come base di azione politica. Il problema rom è anzitutto un problema culturale. Una politica che riparta dalla città e nella città dagli ultimi è certamente una politica oggi che aiuta a superare questa condizione di minorità”.
Fin dal 1965, con l’incontro di Pomezia fra Paolo VI e Rom, la Chiesa è stata una delle poche istituzioni in prima fila nella lotta per i diritti dei popoli Rom e Sinti. Ancora mons. Perego: “Da allora tutto quel cammino di coniugazione, di evangelizzazione e promozione umana negli anni ’70 ha significato lavorare molto per la scuola, per il riconoscimento dei diritti. Negli anni ’80 ha significato effettivamente riuscire a camminare anche per una città riconciliata che superi i pregiudizi e le discriminazioni. Negli anni ’90 ha significato ripensare la città a partire dai rom che provenivano da altri Paesi e che univano alla loro condizione rom l’esperienza anche di essere profughi. Nel 2000 significa fare in modo di riuscire effettivamente ad arrivare a quel superamento di chi vive ancora nei campi ma soprattutto il superamento di quei pregiudizi e di quelle discriminazioni che nel nostro Paese non rendono ancora cittadini queste persone”.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.