Ultimo confronto televisivo tra il presidente Obama e il candidato repubblicano Romney. ‘Duello’ incentrato sulla politica estera americana e ancora sui temi economici e, secondo gli osservatori, vinto dal capo della Casa Bianca su Romney, apparso indeciso e spesso troppo d’accordo con il presidente uscente. Dagli Stati Uniti, Elena Molinari: ascolta
Radio Vaticana - Per Mitt Romney è stata l’ultima opportunità di mostrarsi moderato e presidenziale. Per Barack Obama l’ultima occasione di mettere in dubbio la competenza del rivale. Entrambi i candidati sono partiti con accuse vicendevoli. Obama sarebbe troppo debole con Siria ed Iran, Romney troppo ingenuo e belligerante. La frase del presidente, “governatore, non si usano più cavalli e baionette”, è già la più gettonata sul web. Ma alla fine in politica estera Romney, forse per paura di mostrarsi troppo ideologico, si è trovato a dar ragione ad Obama una mezza dozzina di volte. Dove i due hanno fatto scintille è stata l’economia, che sono riusciti ad infilare nel confronto. I sondaggi immediati danno la vittoria al presidente, mentre Romney è emerso non del tutto sicuro di sè. Il repubblicano sta però cavalcando un’ondata di sondaggi positivi, che non si infrangerà subito. Le prossime due settimane saranno dunque certamente una lotta all’ultimo spot. Sull’ultimo confronto tra Obama e Romney, prima del voto del 6 novembre, ascoltiamo il commento di Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Stampa: ascolta
R. – Il problema è capire quale impatto questo dibattito avrà nel modificare la traiettoria della campagna presidenziale, che dopo il primo dibattito a Denver aveva preso una direzione favorevole al candidato repubblicano Romney. Certamente sulla politica estera Obama ha dimostrato di avere più dimestichezza del suo avversario, che in molti casi ha dato quasi l’impressione di voler dimostrare che era d’accordo con il presidente. Questo, però, potrebbe far parte della sua strategia, perché l’obiettivo di Romney fondamentalmente era dimostrare che potrebbe salire alla Casa Bianca, senza rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale e, nello stesso tempo, marcare la differenza rispetto all’amministrazione precedente repubblicana, cioè quella Bush, che molti americani vedono come un’amministrazione che ha fallito dal punto di vista della politica estera.
D. – Questa mancanza di contrasti sui temi esteri vuol dire che in fondo la politica americana nei confronti del resto del mondo sarà sempre uniforme rispetto ai temi di politica interni?
R. – Sì, la verità è che, al di là di alcune differenze di forma e di alcune polemiche, come quella sul modo in cui è stata gestita la recente crisi in Libia, non ci sono delle grandi differenze sui temi fondamentali: l’appoggio ad Israele o il contrastare l’Iran nel suo tentativo di ottenere armi di distruzione di massa; anche la strategia in Siria, sostanzialmente, è condivisa. Ma la questione fondamentale di queste elezioni resta l’economia, resta la politica interna, ed entrambi i candidati, ma in particolare Romney, hanno sempre cercato durante questo dibattito di riportare l’attenzione sulle questioni domestiche, per dire che in sostanza gli Usa restano una potenza indispensabile e restano la Nazione che deve avere la leadership mondiale, per garantire la pace e naturalmente la sicurezza degli americani. Tutto questo non si può fare. se non si ha alle spalle un Paese forte, un’economia solida, che consenta poi anche di investire nelle relazioni internazionali.
D. – In quest’ultimo dibattito preelettorale uno dei temi che è mancato è stato il rapporto con l’Europa. Si tratta, secondo te, di una sorta di monito indiretto al Vecchio Continente...
R. – Il rapporto con l’Europa, da una parte, viene dato per scontato: l’Europa viene considerata l’alleato più vicino agli Stati Uniti ed è anche naturalmente una fonte di scambi commerciali fondamentale. Quindi, insomma, questa relazione è solida e non è in discussione. Dall’altra parte, però, c’è un preciso avvertimento, perché si è parlato molto, ad esempio, della Cina, dell’attenzione da parte degli Stati Uniti nei confronti di tutto l’Estremo Oriente e naturalmente del Medio Oriente. C’è stato, effettivamente, negli ultimi anni un cambiamento di focus da parte degli Stati Uniti, perché dal punto di vista economico naturalmente gli scambi con l’Asia sono diventati molto importanti, e perché dal punto di vista della sicurezza, questi Paesi presentano una sfida nuova per gli Stati Uniti, per quanto riguarda il loro ruolo di super potenza mondiale. Naturalmente è una cosa, questa, su cui l’Europa deve riflettere, pur restando fermo il buon rapporto con gli Stati Uniti, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista politico.
D. – I sondaggisti assegnano ad Obama anche quest’ultimo faccia a faccia, come quello precedente. A questo punto si può parlare di un Obama riconfermato alla Casa Bianca o in questi ultimi giorni, prima del voto, potrebbe cambiare qualcosa?
R. – In realtà, i sondaggi, a livello nazionale danno praticamente, che più chi meno, i due candidati quasi alla pari. E la questione fondamentale adesso è vedere che cosa succede negli Stati dove i candidati devono conquistare i voti elettorali necessari ad arrivare alla maggioranza di 270 voti elettorali e quindi di riconfermarsi alla Casa Bianca. Obama resta in vantaggio, secondo i sondaggi, in uno Stato chiave molto importante: l’Ohio. Nessun repubblicano è entrato alla Casa Bianca senza vincere in questo Stato. E, se Obama effettivamente riuscisse a conservarlo e a conservare anche altri Stati in bilico, importanti per lui, come l’Iowa e il Wisconsin, riuscirebbe sicuramente a raggiungere quota 270. Romney sta recuperando, invece, in altri Stati importanti, come la Florida, la Virginia, il North Carolina, che sembrano essere favorevoli alla sua politica. Quindi, adesso diventa un po’ una partita a scacchi fra questi Stati. E’ necessario allora capire chi riesca a prevalere negli Stati che hanno più voti elettorali. L’Ohio, ripeto, diventa fondamentale, perché, senza vincere in quello Stato, difficilmente Romney potrà andare alla Casa Bianca; se Obama perdesse invece in Ohio, la strada per i repubblicani sarebbe più favorevole.
Radio Vaticana - Per Mitt Romney è stata l’ultima opportunità di mostrarsi moderato e presidenziale. Per Barack Obama l’ultima occasione di mettere in dubbio la competenza del rivale. Entrambi i candidati sono partiti con accuse vicendevoli. Obama sarebbe troppo debole con Siria ed Iran, Romney troppo ingenuo e belligerante. La frase del presidente, “governatore, non si usano più cavalli e baionette”, è già la più gettonata sul web. Ma alla fine in politica estera Romney, forse per paura di mostrarsi troppo ideologico, si è trovato a dar ragione ad Obama una mezza dozzina di volte. Dove i due hanno fatto scintille è stata l’economia, che sono riusciti ad infilare nel confronto. I sondaggi immediati danno la vittoria al presidente, mentre Romney è emerso non del tutto sicuro di sè. Il repubblicano sta però cavalcando un’ondata di sondaggi positivi, che non si infrangerà subito. Le prossime due settimane saranno dunque certamente una lotta all’ultimo spot. Sull’ultimo confronto tra Obama e Romney, prima del voto del 6 novembre, ascoltiamo il commento di Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano La Stampa: ascolta
R. – Il problema è capire quale impatto questo dibattito avrà nel modificare la traiettoria della campagna presidenziale, che dopo il primo dibattito a Denver aveva preso una direzione favorevole al candidato repubblicano Romney. Certamente sulla politica estera Obama ha dimostrato di avere più dimestichezza del suo avversario, che in molti casi ha dato quasi l’impressione di voler dimostrare che era d’accordo con il presidente. Questo, però, potrebbe far parte della sua strategia, perché l’obiettivo di Romney fondamentalmente era dimostrare che potrebbe salire alla Casa Bianca, senza rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale e, nello stesso tempo, marcare la differenza rispetto all’amministrazione precedente repubblicana, cioè quella Bush, che molti americani vedono come un’amministrazione che ha fallito dal punto di vista della politica estera.
D. – Questa mancanza di contrasti sui temi esteri vuol dire che in fondo la politica americana nei confronti del resto del mondo sarà sempre uniforme rispetto ai temi di politica interni?
R. – Sì, la verità è che, al di là di alcune differenze di forma e di alcune polemiche, come quella sul modo in cui è stata gestita la recente crisi in Libia, non ci sono delle grandi differenze sui temi fondamentali: l’appoggio ad Israele o il contrastare l’Iran nel suo tentativo di ottenere armi di distruzione di massa; anche la strategia in Siria, sostanzialmente, è condivisa. Ma la questione fondamentale di queste elezioni resta l’economia, resta la politica interna, ed entrambi i candidati, ma in particolare Romney, hanno sempre cercato durante questo dibattito di riportare l’attenzione sulle questioni domestiche, per dire che in sostanza gli Usa restano una potenza indispensabile e restano la Nazione che deve avere la leadership mondiale, per garantire la pace e naturalmente la sicurezza degli americani. Tutto questo non si può fare. se non si ha alle spalle un Paese forte, un’economia solida, che consenta poi anche di investire nelle relazioni internazionali.
D. – In quest’ultimo dibattito preelettorale uno dei temi che è mancato è stato il rapporto con l’Europa. Si tratta, secondo te, di una sorta di monito indiretto al Vecchio Continente...
R. – Il rapporto con l’Europa, da una parte, viene dato per scontato: l’Europa viene considerata l’alleato più vicino agli Stati Uniti ed è anche naturalmente una fonte di scambi commerciali fondamentale. Quindi, insomma, questa relazione è solida e non è in discussione. Dall’altra parte, però, c’è un preciso avvertimento, perché si è parlato molto, ad esempio, della Cina, dell’attenzione da parte degli Stati Uniti nei confronti di tutto l’Estremo Oriente e naturalmente del Medio Oriente. C’è stato, effettivamente, negli ultimi anni un cambiamento di focus da parte degli Stati Uniti, perché dal punto di vista economico naturalmente gli scambi con l’Asia sono diventati molto importanti, e perché dal punto di vista della sicurezza, questi Paesi presentano una sfida nuova per gli Stati Uniti, per quanto riguarda il loro ruolo di super potenza mondiale. Naturalmente è una cosa, questa, su cui l’Europa deve riflettere, pur restando fermo il buon rapporto con gli Stati Uniti, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista politico.
D. – I sondaggisti assegnano ad Obama anche quest’ultimo faccia a faccia, come quello precedente. A questo punto si può parlare di un Obama riconfermato alla Casa Bianca o in questi ultimi giorni, prima del voto, potrebbe cambiare qualcosa?
R. – In realtà, i sondaggi, a livello nazionale danno praticamente, che più chi meno, i due candidati quasi alla pari. E la questione fondamentale adesso è vedere che cosa succede negli Stati dove i candidati devono conquistare i voti elettorali necessari ad arrivare alla maggioranza di 270 voti elettorali e quindi di riconfermarsi alla Casa Bianca. Obama resta in vantaggio, secondo i sondaggi, in uno Stato chiave molto importante: l’Ohio. Nessun repubblicano è entrato alla Casa Bianca senza vincere in questo Stato. E, se Obama effettivamente riuscisse a conservarlo e a conservare anche altri Stati in bilico, importanti per lui, come l’Iowa e il Wisconsin, riuscirebbe sicuramente a raggiungere quota 270. Romney sta recuperando, invece, in altri Stati importanti, come la Florida, la Virginia, il North Carolina, che sembrano essere favorevoli alla sua politica. Quindi, adesso diventa un po’ una partita a scacchi fra questi Stati. E’ necessario allora capire chi riesca a prevalere negli Stati che hanno più voti elettorali. L’Ohio, ripeto, diventa fondamentale, perché, senza vincere in quello Stato, difficilmente Romney potrà andare alla Casa Bianca; se Obama perdesse invece in Ohio, la strada per i repubblicani sarebbe più favorevole.
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