Aumenta la consapevolezza ma le minacce alla libertà religiosa non accennano a diminuire. E le denominazioni cristiane sono le più esposte alla persecuzione.
Presentato oggi a Roma l’XI° Rapporto sulla Libertà religiosa nel mondo della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Sono intervenuti: Francesco Maria Greco, Ambasciatore d’Italia presso la Sanda Sede; Alberto Negri, inviato del Il Sole 24 Ore; Padre Samir Khalil Samir, Islamologo; John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council; Christine du Coudray, responsabile internazionale sezione Africa di ACS; Mons. Sante Babolin, presidente ACS-Italia. Analizzando i principali avvenimenti del 2011 e della prima metà del 2012, il volume riporta il grado di libertà religiosa in 196 Paesi, avvalendosi di fonti locali - ACS finanzia ogni anno oltre 5mila progetti in 145 Paesi – e di diverse pubblicazioni. «Dobbiamo almeno illuminare la questione della libertà religiosa nel mondo – ha detto Alberto Negri, inviato de “Il Sole 24 Ore” - come fa il rapporto di ACS: sebbene redatto da una fondazione cattolica, non si limita a denunciare le violazioni alla libertà religiosa subite dalle comunità cristiane ma fa un quadro della situazione in ogni Paese con riferimento alla condizione dei fedeli di ogni credo».
«Il nostro intento - ha aggiunto il presidente di ACS-Italia, monsignor Sante Babolin - non è solo quello di denunciare, dati alla mano, la precaria situazione mondiale della libertà religiosa ma anche offrire un’analisi della situazione politica e sociale, di contorno e della specifica condizione nella quale si dibattono le minoranze religiose».
Durante il periodo in esame, non vi sono stati miglioramenti nella maggior parte dei paesi in cui già si erano verificate violenze anti-religiose. Ad esempio si è ulteriormente abbassato il livello di tutela della libertà religiosa in Cina - specie per quanto riguarda i cattolici - con l’intensificazione dei tentativi da parte del governo di assoggettare le diverse comunità religiose al controllo dello stato.
Si riscontra invece nell'opinione pubblica un aumento di consapevolezza relativa al tema della libertà religiosa, dovuta ad una maggiore copertura mediatica e disponibilità d’informazioni. Ne sono prova gli interventi legislativi di vari stati europei e l’impegno mostrato dagli organi legislativi e dai governi nazionali – come i parlamenti italiano, belga e tedesco – le numerose dichiarazioni del Parlamento Europeo, nonché l’impegno di alcune organizzazioni internazionali, nel portare all’attenzione il tema della persecuzione religiosa.
Dopo la cosiddetta primavera araba, occhi puntati sulle minoranze cristiane in Medio Oriente. Destano oggi preoccupazione Paesi che, sotto il profilo della libertà religiosa, nel recente passato godevano di una relativa calma, come Tunisia, Libia, Egitto e Siria. «I cristiani chiedono l’uguaglianza con gli altri e il rispetto della loro fede. Ed è quanto promesso dai nuovi governi: Morsi in Egitto, Ghannouchi in Tunisia. Nessuno però si fida di loro» ha dichiarato l’islamologo padre Samir Khalil Samir. Il gesuita egiziano, docente all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale, ha sottolineato come in seguito alle rivolte, l’affermarsi di gruppi islamisti – come i Fratelli musulmani o i salafiti – abbia acceso le paure cristiane relative al passaggio da una dittatura politica ad una religiosa. «Un timore questo evidente in Siria, dove la mancanza di libertà è ancor più grave di quella che ha innescato le rivolte in Egitto e in Tunisia».
Suonano poi come un campanello d’allarme alcuni fatti recentemente accaduti in Egitto, ad esempio l’arresto di due bambini copti di otto e dieci anni accusati di aver profanato dei fogli di carta riportanti versetti del Corano. «Stiamo prendendo una direzione pericolosa – ha affermato il religioso - e rischiamo di tornare ad un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso».
Il Rapporto 2012 evidenzia un forte aumento della pressione dell’estremismo islamico in alcune nazioni africane – Kenya, Mali, Nigeria, Chad – che rischia di destabilizzare importanti aree del continente. Christine du Coudray Wiehe, responsabile internazionale per l’Africa di ACS, ha raccolto numerose testimonianze che hanno ispirato il suo intervento. «Al servizio della Chiesa africana da più di vent’anni ho osservato come il timore per l’evoluzione di un islamismo di stampo jihadista ricorra spesso nelle conversazioni con vescovi, sacerdoti e religiosi. E’ per questo che le richieste d’aiuto provenienti dai territori islamizzati, sinonimo d’intolleranza, discriminazione e persecuzione, sono per noi prioritarie». Simbolo della violenza fondamentalista nel continente è la Nigeria dove la setta dei Boko Haram ha compiuto numerosi attacchi a istituzioni e Chiese, col dichiarato obiettivo di cancellare la presenza cristiana. L’incapacità governativa di garantire sicurezza ai cittadini è stata più volte messa in luce dall’episcopato locale che continua senza sosta ad invitare al dialogo e alla convivenza pacifica. «L’arcivescovo di Jos sogna un centro di riconciliazione e pace – ha riferito la du Coudray - La Chiesa in Africa è attore principale del dialogo interreligioso e non smette di promuovere la formazione dei giovani: fattore cruciale per estirpare l’odio e le tensioni».
In India è lunghissima la lista delle violenze anticristiane commesse dai nazionalisti indù: 170 attacchi di grave o media entità nel solo 2011 secondo il Global Council of Indian Christians (GCIC). «In Stati come Karnataka, Rajasthan, Gujarat, Madhya Pradesh and Chhattisgarh vengono commesse ogni anno circa mille violenze contro i cristiani» ha detto John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council e membro della Commissione di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale indiana. Prosegue inoltre l’applicazione delle cosiddette leggi anti conversione in sette stati tra cui l’Orissa. «Ironicamente chiamate Freedom of Religion Act, queste norme violano la libertà religiosa garantita dalla Costituzione e sono usate per colpire e intimidire chiunque voglia convertirsi dall’induismo ad un’altra religione». Alle nuove violenze anticristiane si aggiunge la mancata giustizia per i pogrom del 2008 avvenuti nel distretto di Kandhamal, in Orissa. «E’ stato il più devastante attacco alla comunità cristiana degli ultimi tre secoli. Eppure è stata emessa una sola condanna su 30 accuse di omicidio. Tutte le altre sono state lasciate cadere».
Il rapporto è pubblicato in 6 lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese.
Presentato oggi a Roma l’XI° Rapporto sulla Libertà religiosa nel mondo della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Sono intervenuti: Francesco Maria Greco, Ambasciatore d’Italia presso la Sanda Sede; Alberto Negri, inviato del Il Sole 24 Ore; Padre Samir Khalil Samir, Islamologo; John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council; Christine du Coudray, responsabile internazionale sezione Africa di ACS; Mons. Sante Babolin, presidente ACS-Italia. Analizzando i principali avvenimenti del 2011 e della prima metà del 2012, il volume riporta il grado di libertà religiosa in 196 Paesi, avvalendosi di fonti locali - ACS finanzia ogni anno oltre 5mila progetti in 145 Paesi – e di diverse pubblicazioni. «Dobbiamo almeno illuminare la questione della libertà religiosa nel mondo – ha detto Alberto Negri, inviato de “Il Sole 24 Ore” - come fa il rapporto di ACS: sebbene redatto da una fondazione cattolica, non si limita a denunciare le violazioni alla libertà religiosa subite dalle comunità cristiane ma fa un quadro della situazione in ogni Paese con riferimento alla condizione dei fedeli di ogni credo».
«Il nostro intento - ha aggiunto il presidente di ACS-Italia, monsignor Sante Babolin - non è solo quello di denunciare, dati alla mano, la precaria situazione mondiale della libertà religiosa ma anche offrire un’analisi della situazione politica e sociale, di contorno e della specifica condizione nella quale si dibattono le minoranze religiose».
Durante il periodo in esame, non vi sono stati miglioramenti nella maggior parte dei paesi in cui già si erano verificate violenze anti-religiose. Ad esempio si è ulteriormente abbassato il livello di tutela della libertà religiosa in Cina - specie per quanto riguarda i cattolici - con l’intensificazione dei tentativi da parte del governo di assoggettare le diverse comunità religiose al controllo dello stato.
Si riscontra invece nell'opinione pubblica un aumento di consapevolezza relativa al tema della libertà religiosa, dovuta ad una maggiore copertura mediatica e disponibilità d’informazioni. Ne sono prova gli interventi legislativi di vari stati europei e l’impegno mostrato dagli organi legislativi e dai governi nazionali – come i parlamenti italiano, belga e tedesco – le numerose dichiarazioni del Parlamento Europeo, nonché l’impegno di alcune organizzazioni internazionali, nel portare all’attenzione il tema della persecuzione religiosa.
Dopo la cosiddetta primavera araba, occhi puntati sulle minoranze cristiane in Medio Oriente. Destano oggi preoccupazione Paesi che, sotto il profilo della libertà religiosa, nel recente passato godevano di una relativa calma, come Tunisia, Libia, Egitto e Siria. «I cristiani chiedono l’uguaglianza con gli altri e il rispetto della loro fede. Ed è quanto promesso dai nuovi governi: Morsi in Egitto, Ghannouchi in Tunisia. Nessuno però si fida di loro» ha dichiarato l’islamologo padre Samir Khalil Samir. Il gesuita egiziano, docente all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale, ha sottolineato come in seguito alle rivolte, l’affermarsi di gruppi islamisti – come i Fratelli musulmani o i salafiti – abbia acceso le paure cristiane relative al passaggio da una dittatura politica ad una religiosa. «Un timore questo evidente in Siria, dove la mancanza di libertà è ancor più grave di quella che ha innescato le rivolte in Egitto e in Tunisia».
Suonano poi come un campanello d’allarme alcuni fatti recentemente accaduti in Egitto, ad esempio l’arresto di due bambini copti di otto e dieci anni accusati di aver profanato dei fogli di carta riportanti versetti del Corano. «Stiamo prendendo una direzione pericolosa – ha affermato il religioso - e rischiamo di tornare ad un’epoca che ormai non conoscevamo più: quella del fanatismo religioso».
Il Rapporto 2012 evidenzia un forte aumento della pressione dell’estremismo islamico in alcune nazioni africane – Kenya, Mali, Nigeria, Chad – che rischia di destabilizzare importanti aree del continente. Christine du Coudray Wiehe, responsabile internazionale per l’Africa di ACS, ha raccolto numerose testimonianze che hanno ispirato il suo intervento. «Al servizio della Chiesa africana da più di vent’anni ho osservato come il timore per l’evoluzione di un islamismo di stampo jihadista ricorra spesso nelle conversazioni con vescovi, sacerdoti e religiosi. E’ per questo che le richieste d’aiuto provenienti dai territori islamizzati, sinonimo d’intolleranza, discriminazione e persecuzione, sono per noi prioritarie». Simbolo della violenza fondamentalista nel continente è la Nigeria dove la setta dei Boko Haram ha compiuto numerosi attacchi a istituzioni e Chiese, col dichiarato obiettivo di cancellare la presenza cristiana. L’incapacità governativa di garantire sicurezza ai cittadini è stata più volte messa in luce dall’episcopato locale che continua senza sosta ad invitare al dialogo e alla convivenza pacifica. «L’arcivescovo di Jos sogna un centro di riconciliazione e pace – ha riferito la du Coudray - La Chiesa in Africa è attore principale del dialogo interreligioso e non smette di promuovere la formazione dei giovani: fattore cruciale per estirpare l’odio e le tensioni».
In India è lunghissima la lista delle violenze anticristiane commesse dai nazionalisti indù: 170 attacchi di grave o media entità nel solo 2011 secondo il Global Council of Indian Christians (GCIC). «In Stati come Karnataka, Rajasthan, Gujarat, Madhya Pradesh and Chhattisgarh vengono commesse ogni anno circa mille violenze contro i cristiani» ha detto John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council e membro della Commissione di Giustizia e Pace della Conferenza episcopale indiana. Prosegue inoltre l’applicazione delle cosiddette leggi anti conversione in sette stati tra cui l’Orissa. «Ironicamente chiamate Freedom of Religion Act, queste norme violano la libertà religiosa garantita dalla Costituzione e sono usate per colpire e intimidire chiunque voglia convertirsi dall’induismo ad un’altra religione». Alle nuove violenze anticristiane si aggiunge la mancata giustizia per i pogrom del 2008 avvenuti nel distretto di Kandhamal, in Orissa. «E’ stato il più devastante attacco alla comunità cristiana degli ultimi tre secoli. Eppure è stata emessa una sola condanna su 30 accuse di omicidio. Tutte le altre sono state lasciate cadere».
Il rapporto è pubblicato in 6 lingue: italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e portoghese.
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