lunedì, novembre 19, 2012
Aumenta il numero di vittime mentre si prepara l’operazione di terra

di Patrizio Ricci

La ragione per cui è scattata l’operazione “Colonna di fumo” sono i razzi lanciati in territorio israeliano dalla Striscia di Gaza. L’operazione è partita con l’uccisione mirata di Ahmed Jaabari, capo dell’ala militare di Hamas, da parte di un velivolo israeliano. Per Israele, Jaabari era niente più che un criminale responsabile di decine di omicidi e del rapimento del caporale Shalit. La risposta di Hamas è stata immediata, ha promesso di spalancare “le porte dell’inferno” dinanzi al “nemico sionista”, cosicché i razzi caduti in territorio israeliano, dalle poche decine dei giorni precedenti, sono ora diventati centinaia.

In realtà i lanci di Qassam non sono una novità per Israele. Dal 2005, da quando l’operazione “Terra in cambio di pace” voluta da Sharon ha restituito la striscia di Gaza ai palestinesi, la pace non è arrivata mai: sono arrivati invece migliaia di razzi. La sola fortuna è che il razzo ‘Qassam’ non ha un sistema di guida e, ancorché temibile, è famoso per la sua imprecisione: in sette anni di conflitto, dal 2000 al 2007, ha provocato 10 vittime nonostante ne siano stati lanciati 3.000 (fino ad oggi ne sono stati lanciati, dall’inizio della faida israelo-palestinese, ben 12.000).

Poche vittime, quindi poco temibili? Niente affatto. I Qassam sono lanciati deliberatamente per uccidere e la ragione del limitato numero di morti è che generalmente i sistemi d’allarme permettono ai civili di entrare nei rifugi. Però negli ultimi tempi ai Qassam si sono aggiunti i più sofisticati Grad e i missili Fair-5, quelli che sono arrivati a Telaviv. Questi ultimi, gentilmente offerti dall’Iran, hanno la gittata di 80 km e rappresentano un serio pericolo per le città israeliane.

Gli avvenimenti dei giorni precedenti hanno acuito le tensioni: nella prima visita ufficiale a Gaza lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani (principale protagonista delle primavere arabe) ha promesso 400 milioni di dollari per la ricostruzione e la fornitura di un ingente quantitativo di carburante per alimentare l’unica centrale elettrica esistente. Non era mai successo prima: i Paesi del Golfo non avevano mai donato niente ai territori occupati. E questa volta i soldi sono arrivati tutti ad Hamas, mentre la più moderata Autorità Nazionale Palestinese che governa la Cisgiordania è rimasta a bocca asciutta: Abu Mazen certamente non ha gradito e non di meno Israele, irritato dalla malcelata intenzione di legittimare gli estremisti di Hamas come unico interlocutore politico.

Qualunque cosa avessero in mente i qatarioti, per il momento è tutto sospeso: gli attacchi della Israeli Air Force verso obiettivi strategici continuano (ma anche a case di militanti, allo stadio e a stazioni di polizia), provocando numerose vittime innocenti. Il presidente egiziano Morsi ha offerto la sua mediazione ma Israele non sembra fidarsi. Appare chiaramente che è intenzione della IDF (la Forza Armata Israeliana) indebolire drasticamente l’arsenale militare di Hamas e quindi la sua capacità offensiva.

Ormai sembra ci si sia rassegnati ad una strategia: mettere in atto attacchi cruenti seguiti da anni di relativa calma in cui Hamas si riarma, e così via, si ricomincia daccapo. Però questa volta gli sviluppi sono imprevedibili: per Netanyahu “l’escalation di Gaza potrebbe aprire la strada per colpire l'Iran”, come riferisce il quotidiano israeliano Haaretz, che aggiunge: “Fino a questa settimana, il primo ministro Netanyahu si diceva orgoglioso di non aver mai guidato Israele in una guerra. Ora potrebbe essere sul punto di partenza di iniziarne non una ma due”.

Probabilmente Israele gioca d’anticipo per non trovarsi a fare i conti con due fronti, se dovesse decidere di attaccare l’Iran. La mobilitazione è imponente: Israele ha richiamato 75.000 riservisti. Per avere un’idea di cosa significhi, si pensi che durante la precedente operazione 'Piombo fuso’ (che aveva causato 1.400 morti tra i palestinesi) di riservisti ne erano stati richiamati solo 10.000.

Finora a Gaza sono stati compiuti più di 550 raid dell’aviazione e nello stesso tempo sono stati lanciati in territorio israeliano 730 missili. Le vittime come sempre sono superiori laddove la concentrazione di popolazione è più grande, quindi a Gaza. C’è comunque un’altra ragione del minor numero di vittime israeliane: centinaia di missili provenienti dal territorio palestinese sono stati fermati e distrutti in volo dal sistema ‘ Iron Dome’, il nuovo sistema antimissile israeliano attivo per rilevare il lancio di un missile, tracciare la sua traiettoria, calcolare il suo punto di impatto e, se necessario, lanciare un razzo intercettore in pochi secondi).

Come al solito piombano da entrambi le parti le reciproche accuse: gli israeliani denunciano che le installazioni militari di Hamas ed i lanciatori dei missili sono collocati appositamente in pieno centro cittadino, mentre Hamas per una tregua chiede la fine degli omicidi mirati e dei raid. Difficile ipotizzare una soluzione in tempi brevi. Nessuno sembra avere l’autorevolezza e godere della fiducia necessaria per proporre una tregua accettabile da tutte le parti. E’ improbabile che questo compito possa essere assunto dall’Egitto governato dai Fratelli Mussulmani a cui appartiene anche Hamas. Strada in salita anche per l’occidente, che ha perso gran parte della sua credibilità con il ricorso alle stesse strategie di Israele (omicidi mirati e bombardamenti chirurgici), usate per giunta per le ‘guerre umanitarie’ e non per difendere se stesso.

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