sabato, novembre 10, 2012
Intervista a Marina Scardavi, fondatrice dell’associazione di volontariato per i senza fissa dimora di Palermo “La Danza delle Ombre” e autrice del libro "La Danza delle Ombre. Con Mohammed nel mondo degli ultimi"

di Nadia Velardo

D. Dott.ssa Scardavi, quando nasce l’associazione “La Danza delle Ombre”? Che finalità persegue?
R. L’associazione nasce tre anni fa, da una pluriennale esperienza precedente per i senza fissa dimora e i più poveri di Palermo. Il fine della nostra onlus è quello di ridare speranza, dignità e integrazione sociale a coloro che ormai pensano di non avere più nulla da perdere.

D. Qual è il significato del nome scelto?
R. Il nome nasce dal titolo del libro che io allora stavo scrivendo, “La Danza delle Ombre”, che racconta la storia di alcuni di loro e in particolare di Mohammed (ndr, nella foto con Marina), architetto, che per libera scelta è diventato un vagabondo, e della sua ombra che gli è apparsa all’improvviso. «La mia ombra è la mia anima» mi disse Mo un giorno, e allora io sono andata in cerca della mia. E l’ho trovata. Ed è una danza di anime perché nella danza si può esprimere la leggerezza, l’armonia, l’allegria, la forza.

D. Quanti componenti conta l’associazione?
R. Siamo una ventina di persone tra volontari, medici, avvocati, psicologi, assistenti sociali, mediatori interculturali. Aiutati da un buon numero di persone che collaborano con le loro specifiche competenze o con la disponibilità di tempo che donano per venire incontro ai bisogni degli assistiti.

D. Cosa fa nel concreto e con che modalità opera “La Danza delle Ombre”?
R. Gli interventi dell’associazione sono basati su un rapporto di amicizia che è il veicolo ineludibile per conquistare fin dal primo momento la fiducia degli assistiti senza la quale nessun altro servizio può essere offerto. Offriamo assistenza medica e naturalmente acquistiamo i farmaci, assistenza legale per italiani e stranieri, assistenza psicologica con prevalente interesse per gli alcolisti, i tossicodipendenti, i disadattati, assistenza sociale per i bisogni primari, la doccia, un pacco alimentare una volta la settimana e distribuiamo il cibo, bevande e dolci ogni mercoledì del mese, garantendo anche l’assistenza medica in strada.

D. Secondo una recente indagine Istat, il numero dei senzatetto in Italia è 47.648: un numero quasi triplicato rispetto al 1999, quando si stimava fossero circa 17mila. Lei cosa ne pensa? Qual è la situazione a Palermo? Ci sono più homeless stranieri o italiani?
R. L’indagine Istat è sicuramente corretta perché le persone che oggi noi incontriamo nella nostra piccola realtà è certamente triplicato. Abbiamo circa 450 assistiti. Alla stazione di Palermo, quando facciamo il giro, distribuiamo almeno 50/60 porzioni di pasta. E sono almeno il 40% italiani e per il resto stranieri. Soprattutto dopo la guerra in Tunisia. Come quello che è successo tanti anni fa a Ceylon, quando per la guerra civile i Tamil furono costretti a lasciare il loro paese.

D. Ogni uomo ha la sua storia. Ma nella maggior parte dei casi come si finisce in strada?
R. Alcuni homeless sono uomini liberi che fanno una libera scelta, altri hanno perso il lavoro e la casa, sono mogli o mariti divorziati con figli e divenuti perciò indigenti, anziani con piccole pensioni, persone psichiatriche che le istituzioni non aiutano, alcolisti, tossicodipendenti. Ci sono solo due comunità in Sicilia: a Caltanissetta e Caltagirone. E naturalmente gli immigrati che cercano la salvezza, i rifugiati politici e gli ex bambini soldato a cui il nostro paese non sa garantire adeguati mezzi di sostentamento.

D. Gli homeless come accolgono il vostro aiuto?
R. L’uomo di strada è diffidente, è stato fregato dalla vita. Ha tutto il diritto di diffidare. Ha persino paura delle istituzioni. L’amico di strada è il tuo migliore amico. E uno di quei pochi amici che riconosce la gratitudine. Oggi non so più come potrei vivere senza l’affetto, l’amore corrisposto di Mo e di tutti gli altri.

D. Come è nata la sua voglia di aiutare “gli ultimi”?
R. Da bambina aiutavo gli animali che trovavo in strada. Da grande, un giorno, un amico mi ha proposto di fare il giro di sera per portare da mangiare ai barboni e da allora, da quando è nata quella che io nel libro chiamo la “magica intesa” tra me e loro, non ne ho più potuto fare a meno. Gli ultimi sono diventati i primi nel mio cuore.

D. Qual è il bilancio di questi tre anni di attività dell’associazione? Il suo libro è nato proprio per portare avanti i progetti di aiuto ai senzatetto, grazie al ricavato delle vendite: quali sono i prossimi obiettivi?
R. L’associazione è cresciuta in questi tre anni in amore e in gioia! L’anno scorso è riuscita ad ottenere dal Comune la residenza virtuale per i senza fissa dimora. Moltissime persone a Palermo non avevano più la loro carta di identità. L’associazione li ha aiutati a riaverla e così anche il tesserino sanitario e la scheda elettorale. Un povero amico non stava più nella pelle quando mi ha riferito con estrema felicità che era tornato a votare dopo vent’anni. Quest’anno dal Comune all’associazione è stata assegnata per due mesi una sede dove far dormire i poverelli quando c’è stato il grande freddo. Il progetto che più ci sta a cuore è creare a Palermo una struttura che li possa accogliere anche di notte, per sempre. Una struttura che impedisca ai poverelli di morire d’inverno dal freddo e rintanarsi nelle torride giornate estive della Sicilia. “La Danza delle Ombre” ha già il progetto e cerca qualcuno tra le istituzioni disposto ad ascoltare.

D. Cosa la fa sentire più orgogliosa? Cosa, al contrario, l’abbatte?
R. Non mi sento orgogliosa. E mi abbatte solo l’idea che ogni giorno torno a casa a dormire nel mio grande letto e loro, i miei poveri amici, sono a dormire per strada senza che possano sentire mormorare da qualcuno una buona notte. Sono felice di avere tanti amici. E cosa c’è di più bello che aiutare gli amici che si trovano in difficoltà? Ed è questo “La Danza delle Ombre”: una famiglia. Adesso che ho tanti amici la città è finalmente mia, perché in ogni via, ad ogni angolo, nei vicoli, nei mercati c’è sempre qualcuno che mi chiama “marina o mamà”.

D. La povertà estrema è ovunque intorno a noi, lungo le strade che percorriamo ogni giorno. A suo avviso cosa è possibile fare? Cosa può fare ognuno di noi? E le istituzioni?
R. In primo luogo è importante la capacità di accogliere e ascoltare. Pensare di potere essere madri e padri di questa povera gente finita in strada per le avversità della vita. Regalare non solo una moneta, cibo, vestiario ma anche un gesto affettuoso, una poesia, una favola, un sorriso. Le istituzioni dovrebbero pensare che nel 2012, epoca in cui si parla di grandi progressi, di grandi innovazioni, quello che veramente conta è sempre ed esclusivamente la gente, le “anime”. E come si può lasciare un’anima in strada a soffrire? In ogni città del mondo c’è una “città della gioia” e ciascuno di noi può esserne protagonista.

D. Il suo libro inizia con una frase di Mohammed, iraniano: «Noi siamo abituati ad accogliere e a essere accolti». Secondo lei perché la maggior parte delle persone delle nostre grandi città italiane ha perso la capacità di accogliere e passa distrattamente, impassibile o addirittura nauseata accanto a queste persone sfortunate?
R. C’è comunque un incredibile numero di persone, anche giovani, che non sono insensibili al problema. Io credo che l’indifferenza sia la prima causa. Il non volere riconoscere il problema. “Meno conosco e meglio sto”. Ma questo nasce soltanto dalla grave malattia, di cui parlava Madre Teresa, che ha investito il nostro secolo: la solitudine. La solitudine interiore. Soli si sentono i clochard che dormono d’inverno dentro i loro cartoni ma soli sono tutti quelli che non credono più e che non sperano più.

È presente 1 commento

Pepa ha detto...

Felicidades a la asociación que tanto bien está haciendo en Palermo y deseos de que su lucha nunca acabe. Yo los conocí en mi visita a Palermo y me conmovieron gratamente por la labor que están realizando de forma altruista. Más gente como ellos hacen falta en nuestro mundo. Saludos desde Málaga

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