Esiste un mondo dimenticato intorno a noi. Il mondo degli homeless. Dimenticati per comodità, per indifferenza, per superficialità. Perché è più semplice far finta di niente. È il mondo di migliaia di uomini e donne invisibili che trascorrono la loro vita lungo strade gelide d’inverno e torride d’estate.
di Nadia Velardo
Marina Scardavi, medico che dell’impegno sociale ha fatto motivo di vita, ci conduce tra le viscere sociali di una Palermo che potrebbe essere qualsiasi altra città italiana, tra centinaia di homeless che vivono e patiscono la strada sulla loro pelle. Sono storie di vita al margine. La Scardavi si sofferma sui volti, sugli sguardi, sulle increspature che segnano i visi, restituendo fisicità, nome e identità a persone che non li hanno mai persi ma è come se non li possedessero più. Perché sono solo ombre per gli sguardi distratti dei passanti e per la società. Ma ogni “barbone” non smette di essere uomo. L’autrice si avvicina ad ognuno di loro con rispettosa complicità. Le storie di Dina, Lenka, Michal, Karol non possono lasciare indifferenti. Tra le righe si materializza l’infinita solitudine e i drammi di chi ha perso tutto, ritrovandosi sulla strada senza sapere bene come, in una realtà fatta di emarginazione, violenza, alcol, droghe e infelicità.
La strada è un inferno, così come la vita che sulla strada è capace di gettarti. Un inferno dentro il quale, però, si trovano oasi di paradiso. «Se riesci a entrare davvero in contatto con uno solo di loro – scrive la Scardavi riferendosi agli homeless – ti accorgi che hanno anche un’anima. Che hanno un cuore a volte talmente grande da avere compreso appieno il senso vero della vita. Ti sorprendono. Ti scuotono». Mohammed, ad esempio. Un senzatetto iraniano di cinquantacinque anni, «coperto di panni consunti da più vite», che diventa il compagno di viaggio, la guida di Marina nel mondo degli esclusi. Mo’, come la dottoressa amichevolmente lo chiama, non chiede nulla per se stesso. Ricco di generosità, aiuta gli altri poveri, quelli ancora più sfortunati, che non hanno la forza o la voglia di cercare qualcosa da mangiare. Mohammed è solo uno dei tanti volti a cui il libro dà voce. Marina cerca di entrare, in punta di piedi, negli scantinati dell’anima di ogni homeless che incontra, per scoprire chi è l’uomo di strada, per poterlo aiutare rispettandolo. Un sentimento di correttezza umana e professionale permea infatti l’intero libro. Un libro da leggere perché narra storie reali che toccano il cuore nel profondo. Una realtà che è intorno a noi, della quale abbiamo tutti il dovere di accorgerci e occuparci.
di Nadia Velardo
Marina Scardavi, medico che dell’impegno sociale ha fatto motivo di vita, ci conduce tra le viscere sociali di una Palermo che potrebbe essere qualsiasi altra città italiana, tra centinaia di homeless che vivono e patiscono la strada sulla loro pelle. Sono storie di vita al margine. La Scardavi si sofferma sui volti, sugli sguardi, sulle increspature che segnano i visi, restituendo fisicità, nome e identità a persone che non li hanno mai persi ma è come se non li possedessero più. Perché sono solo ombre per gli sguardi distratti dei passanti e per la società. Ma ogni “barbone” non smette di essere uomo. L’autrice si avvicina ad ognuno di loro con rispettosa complicità. Le storie di Dina, Lenka, Michal, Karol non possono lasciare indifferenti. Tra le righe si materializza l’infinita solitudine e i drammi di chi ha perso tutto, ritrovandosi sulla strada senza sapere bene come, in una realtà fatta di emarginazione, violenza, alcol, droghe e infelicità.
La strada è un inferno, così come la vita che sulla strada è capace di gettarti. Un inferno dentro il quale, però, si trovano oasi di paradiso. «Se riesci a entrare davvero in contatto con uno solo di loro – scrive la Scardavi riferendosi agli homeless – ti accorgi che hanno anche un’anima. Che hanno un cuore a volte talmente grande da avere compreso appieno il senso vero della vita. Ti sorprendono. Ti scuotono». Mohammed, ad esempio. Un senzatetto iraniano di cinquantacinque anni, «coperto di panni consunti da più vite», che diventa il compagno di viaggio, la guida di Marina nel mondo degli esclusi. Mo’, come la dottoressa amichevolmente lo chiama, non chiede nulla per se stesso. Ricco di generosità, aiuta gli altri poveri, quelli ancora più sfortunati, che non hanno la forza o la voglia di cercare qualcosa da mangiare. Mohammed è solo uno dei tanti volti a cui il libro dà voce. Marina cerca di entrare, in punta di piedi, negli scantinati dell’anima di ogni homeless che incontra, per scoprire chi è l’uomo di strada, per poterlo aiutare rispettandolo. Un sentimento di correttezza umana e professionale permea infatti l’intero libro. Un libro da leggere perché narra storie reali che toccano il cuore nel profondo. Una realtà che è intorno a noi, della quale abbiamo tutti il dovere di accorgerci e occuparci.
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