La crescita economica, anche se basata sull'efficienza, porta a un aumento delle emissioni di gas serra, spiega un report della Heinrich Böll Stiftung. Occorre fare i conti con l'aumento della popolazione mondiale. La fede nella green economy potrebbe così rivelarsi una falsa speranza se ci si affida esclusivamente a essa senza intervenire radicalmente sui consumi e sull'attuale modello economico.
Qualenergia - Quello dell'economia “verde” potrebbe essere un mito. O meglio: per quanto basata sull'uso efficiente di risorse ed energia, difficilmente qualsiasi crescita economica sarà conciliabile con lo sforzo di riduzione delle emissioni necessario a evitare la catastrofe climatica. L'aumento della ricchezza, infatti, anche se “green”, abbinato alla crescita demografica, spingerebbe a un aumento dei consumi e dunque delle emissioni di gas serra. La fede nella green economy– se ci si affida esclusivamente a essa senza intervenire radicalmente su consumi e modello economico - potrebbe così rivelarsi una falsa speranza che distrae dall'azione necessaria e rivelarsi dunque, alla fine, un boomerang.
Questa riflessione, piuttosto scomoda nel contesto attuale di recessione in cui l'economia verde potrebbe aiutare ad affrontare assieme crisi economica e questione climatica, è stimolata da un nuovo studio della Heinrich Böll Stiftung, fondazione storicamente legata ai Verdi tedeschi (vedi allegato). In sintesi vi si spiega come i miglioramenti nell'efficienza dell'uso di risorse ed energia incrementino la produttività e la crescita economica, stimolando però così anche domanda e consumi, cosa che porta a un aumento delle emissioni di CO2. Il report cataloga i vari modi in cui la green economy agisce su crescita e domanda, detti in inglese “rebound”, ossia “ricadute”. Per fare un esempio semplice: avere un auto che consuma la metà della benzina libera soldi che verranno spesi in altri modi innescando consumo di risorse ed energia e spingerà anche a guidare di più.
Si arriva così alla conclusione che, a causa di queste ricadute, ogni miglioramento nell'efficienza in realtà ottiene un risparmio di energia e risorse in media dimezzato rispetto a quello potenziale. Si mettono dunque in discussione gli scenari disegnati finora da enti come l'IPCC e l'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA). Assolutamente insostenibile per esempio diverrebbe lo scenario SE4ALL contenuto nell'ultimo World Energy Outllok della IEA che si propone di dare accesso all'energia a 1,3 miliardi di persone che attualmente non ce l'hanno.
Quella di quei tre quarti di popolaziane mondiale che nei prossimi decenni aumenteranno il loro tenore di vita fino ad avvicinarlo a quello degli abitanti dei Paesi di prima industrializzazione è una questione centrale per il futuro del Pianeta. La previsione è che, al 2050, dagli attuali 7 miliardi saremo in 9,3 miliardi. Anche assumendo che i consumi dei Paesi ricchi non crescano, se i Paesi in via di sviluppo portassero i loro consumi a livello dei Paesi ricchi (moltiplicandoli per 4) significherebbe che l'economia mondiale a metà secolo sarebbe 6 volte quella attuale.
Le conseguenze le spiega bene anche un altro studio recente che sostiene che la crescita economica sostenibile sia solo un'illusione. Si tratta del lavoro pubblicato da Ulrich Hoffman, responsabile della sezione Commercio e Sviluppo sostenibile alla Conferenza delle Nazioni Unite (vedi allegato e qui un articolo di Hoffman che lo spiega).
Un lavoro che mette sul piatto un paio di calcoli abbastanza demotivanti. Dal 1980 al 2008, cioè in 28 anni, la carbon intensity dell'economia mondiale, ossia il rapporto tra emissioni e Pil, è scesa del 23%: da 1.000 a 770 grammi di CO2 equivalente per dollaro, vi si legge. Per tenere l'incremento del riscaldamento globale sotto alla soglia critica dei 2 °C, assumendo che la crescita della popolazione mondiale e del reddito non acceleri rispetto ai tassi attuali (0,7% annuo per la popolazione e 1,4% per il reddito), entro il 2050 la carbon intensity dovrebbe essere 21 volte più bassa dei livelli attuali, cioè a 36 g/$. Se però, come sembrerebbe giusto, verrà permesso ai Paesi in via di sviluppo di raggiungere unPpil pro-capite paragonabile a quello dei Paesi ricchi, al 2050 la carbon intensity dovrebbe essere ridotta di ben 130 volte (vedi grafico sotto, clicca per ingrandire).
Un obiettivo quasi impossibile da ottenere con una sola conversione verde dell'economia. Leggendo questi studi, appare dunque sempre più evidente che una semplice declinazione in modalità “sostenibile” dell'economia così com'è, mantendo cioè la crescita economica come valore principale, è assolutamente insufficiente per affrontare la sfida del global warming: serve un cambiamento profondo di modello economico e stili di vita.
Qualenergia - Quello dell'economia “verde” potrebbe essere un mito. O meglio: per quanto basata sull'uso efficiente di risorse ed energia, difficilmente qualsiasi crescita economica sarà conciliabile con lo sforzo di riduzione delle emissioni necessario a evitare la catastrofe climatica. L'aumento della ricchezza, infatti, anche se “green”, abbinato alla crescita demografica, spingerebbe a un aumento dei consumi e dunque delle emissioni di gas serra. La fede nella green economy– se ci si affida esclusivamente a essa senza intervenire radicalmente su consumi e modello economico - potrebbe così rivelarsi una falsa speranza che distrae dall'azione necessaria e rivelarsi dunque, alla fine, un boomerang.
Questa riflessione, piuttosto scomoda nel contesto attuale di recessione in cui l'economia verde potrebbe aiutare ad affrontare assieme crisi economica e questione climatica, è stimolata da un nuovo studio della Heinrich Böll Stiftung, fondazione storicamente legata ai Verdi tedeschi (vedi allegato). In sintesi vi si spiega come i miglioramenti nell'efficienza dell'uso di risorse ed energia incrementino la produttività e la crescita economica, stimolando però così anche domanda e consumi, cosa che porta a un aumento delle emissioni di CO2. Il report cataloga i vari modi in cui la green economy agisce su crescita e domanda, detti in inglese “rebound”, ossia “ricadute”. Per fare un esempio semplice: avere un auto che consuma la metà della benzina libera soldi che verranno spesi in altri modi innescando consumo di risorse ed energia e spingerà anche a guidare di più.
Si arriva così alla conclusione che, a causa di queste ricadute, ogni miglioramento nell'efficienza in realtà ottiene un risparmio di energia e risorse in media dimezzato rispetto a quello potenziale. Si mettono dunque in discussione gli scenari disegnati finora da enti come l'IPCC e l'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA). Assolutamente insostenibile per esempio diverrebbe lo scenario SE4ALL contenuto nell'ultimo World Energy Outllok della IEA che si propone di dare accesso all'energia a 1,3 miliardi di persone che attualmente non ce l'hanno.
Quella di quei tre quarti di popolaziane mondiale che nei prossimi decenni aumenteranno il loro tenore di vita fino ad avvicinarlo a quello degli abitanti dei Paesi di prima industrializzazione è una questione centrale per il futuro del Pianeta. La previsione è che, al 2050, dagli attuali 7 miliardi saremo in 9,3 miliardi. Anche assumendo che i consumi dei Paesi ricchi non crescano, se i Paesi in via di sviluppo portassero i loro consumi a livello dei Paesi ricchi (moltiplicandoli per 4) significherebbe che l'economia mondiale a metà secolo sarebbe 6 volte quella attuale.
Le conseguenze le spiega bene anche un altro studio recente che sostiene che la crescita economica sostenibile sia solo un'illusione. Si tratta del lavoro pubblicato da Ulrich Hoffman, responsabile della sezione Commercio e Sviluppo sostenibile alla Conferenza delle Nazioni Unite (vedi allegato e qui un articolo di Hoffman che lo spiega).
Un lavoro che mette sul piatto un paio di calcoli abbastanza demotivanti. Dal 1980 al 2008, cioè in 28 anni, la carbon intensity dell'economia mondiale, ossia il rapporto tra emissioni e Pil, è scesa del 23%: da 1.000 a 770 grammi di CO2 equivalente per dollaro, vi si legge. Per tenere l'incremento del riscaldamento globale sotto alla soglia critica dei 2 °C, assumendo che la crescita della popolazione mondiale e del reddito non acceleri rispetto ai tassi attuali (0,7% annuo per la popolazione e 1,4% per il reddito), entro il 2050 la carbon intensity dovrebbe essere 21 volte più bassa dei livelli attuali, cioè a 36 g/$. Se però, come sembrerebbe giusto, verrà permesso ai Paesi in via di sviluppo di raggiungere unPpil pro-capite paragonabile a quello dei Paesi ricchi, al 2050 la carbon intensity dovrebbe essere ridotta di ben 130 volte (vedi grafico sotto, clicca per ingrandire).
Un obiettivo quasi impossibile da ottenere con una sola conversione verde dell'economia. Leggendo questi studi, appare dunque sempre più evidente che una semplice declinazione in modalità “sostenibile” dell'economia così com'è, mantendo cioè la crescita economica come valore principale, è assolutamente insufficiente per affrontare la sfida del global warming: serve un cambiamento profondo di modello economico e stili di vita.
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