Gli studenti del corso di “Mafie e antimafia” hanno realizzato due dossier sulla presenza dei boss in Emilia Romagna.
Liberainformazione - Se è vero che la conoscenza è l'arma per combattere le mafie, un elogio particolare va fatto ai coordinatori e ai partecipanti del corso “Mafie e antimafia”, organizzato per il secondo anno consecutivo dall'Università di Bologna. Una docente, dei tutor agguerriti e un gruppo di studenti interessati a comprendere la minaccia che ormai da alcuni decenni tieni in scacco l'Emilia-Romagna. Il corso, nato dall'iniziativa della professoressa Stefania Pellegrini ha, come lavoro conclusivo, la redazione di un dossier sulla presenza delle mafie in regione.
I tutor, giornalisti con la passione dell'inchiesta, sono Gaetano Alessi, Massimo Manzoli e Giulia Di Girolamo. I ragazzi che partecipano al laboratorio sono gli studenti delle facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza. Il giusto mix per studiare, analizzare e contribuire a comprendere il fenomeno mafioso, sotto tutti i punti di vista. Quello del 2012 è il secondo dossier realizzato dai partecipanti del corso universitario, e consente di avere una visione complessiva delle problematiche da affrontare. A curare la redazione del lavoro è Sara Spartà, studentessa siciliana con la passione del giornalismo. Nella nota introduttiva, spiega la filosofia del laboratorio: «Questo lavoro ci ha portati, come studenti, ad avere una maggiore, ma anche amara, consapevolezza di come e quanto sia difficile, oggi, anche in una regione aperta e sempre in fermento riuscire cogliere i mutamenti e movimenti sociali. Scoprire e capire che il fenomeno “mafia” non è qualcosa che va oltre la nostra portata o la nostra vita, ma c’è dentro, impercettibilmente». Una minaccia concreta, che nel silenzio e spesso nell'incapacità della società di coglierne la presenza, ha piantato solide radici in Emilia-Romagna. In primis la 'ndrangheta calabrese che, forte della sua primazia nel narcotraffico internazionale, dei suoi ingentissimi capitali e della capacità di tessere relazioni economico-imprenditoriali, ha invaso con “discrezione” tutta la regione. Non solo 'ndrangheta, naturalmente, ma anche camorra, cosa nostra, e le mafie straniere pronte a ritagliarsi spazi sempre più ampi e pericolosi.
«Una ricerca a 360 gradi – la definisce il curatore del laboratorio Gaetano Alessi - tra mafie italiane e straniere, inseguendo traffici di droga, armi, la tratta selvaggia di uomini e donne e paradisi fiscali sull’uscio di casa. E la ricerca anche di quei fenomeni, non direttamente connessi alle mafie, che sono però “humus” vitale per l’arrivo della criminalità organizzata nel territorio, come l’oscenità dei “massimi ribassi” negli appalti pubblici e privati. Un faro acceso su argomenti che spesso vengono definiti “minori” ma che sono i nervi e l’ossatura della ricchezza delle mafie in questa regione». Un lavoro di ricognizione che punta ad accendere i riflettori su fatti spesso non direttamente collegati alle mafie, in settori che, tradizionalmente, non si pensa possano interessare i boss. Tuttavia, è l'esigenza di esserci senza farsi vedere, arricchirsi senza dare nell'occhio, insinuarsi senza renderlo evidente, a caratterizzare la presenza delle cosche mafiose nelle regioni del centro-nord del nostro Paese. L'Emilia Romagna in questo no fa eccezione. I boss non puntano al controllo militare del territorio, ma a quello economico. Sfruttando le difficoltà della crisi per monopolizzare interi settori produttivi. Trattano l'Emilia Romagna come una grande lavatrice per rendere candidi i capitali mafiosi. Basta scorgere i dati sui sequestri e sulle confische dei beni per avere un'idea dell'incidenza mafiosa sull'economia regionale. Oppure, basta seguire il filo delle indagini che partono dalle procure del sud, per lo più calabresi, e puntano dritto nel cuore dell'Emilia-Romagna.
Scrive nell'introduzione Sara Spartà: «Decine di immobili sequestrati in diverse vie del centro, attività commerciali che fungono da osservatorio privilegiato per tracciare le linee di un vero e proprio processo di radicamento delle mafie lento e costante, silenzioso. Attività illecite che si mescolano nella moltitudine degli spazi e delle risorse economiche di questa terra, che penetrano in profondità, seguendo anche i canali più scabri e deserti, riuscendo ad abbracciarla come in una morsa stretta. Tutta». Un lavoro importante, quindi, e maggiormente arricchito dall'impegno animafia degli studenti. Se è vero che il futuro appartiene a loro, la società ha fatto un passo avanti per comprendere le mafie e arginarle.
Liberainformazione - Se è vero che la conoscenza è l'arma per combattere le mafie, un elogio particolare va fatto ai coordinatori e ai partecipanti del corso “Mafie e antimafia”, organizzato per il secondo anno consecutivo dall'Università di Bologna. Una docente, dei tutor agguerriti e un gruppo di studenti interessati a comprendere la minaccia che ormai da alcuni decenni tieni in scacco l'Emilia-Romagna. Il corso, nato dall'iniziativa della professoressa Stefania Pellegrini ha, come lavoro conclusivo, la redazione di un dossier sulla presenza delle mafie in regione.
I tutor, giornalisti con la passione dell'inchiesta, sono Gaetano Alessi, Massimo Manzoli e Giulia Di Girolamo. I ragazzi che partecipano al laboratorio sono gli studenti delle facoltà di Scienze Politiche e Giurisprudenza. Il giusto mix per studiare, analizzare e contribuire a comprendere il fenomeno mafioso, sotto tutti i punti di vista. Quello del 2012 è il secondo dossier realizzato dai partecipanti del corso universitario, e consente di avere una visione complessiva delle problematiche da affrontare. A curare la redazione del lavoro è Sara Spartà, studentessa siciliana con la passione del giornalismo. Nella nota introduttiva, spiega la filosofia del laboratorio: «Questo lavoro ci ha portati, come studenti, ad avere una maggiore, ma anche amara, consapevolezza di come e quanto sia difficile, oggi, anche in una regione aperta e sempre in fermento riuscire cogliere i mutamenti e movimenti sociali. Scoprire e capire che il fenomeno “mafia” non è qualcosa che va oltre la nostra portata o la nostra vita, ma c’è dentro, impercettibilmente». Una minaccia concreta, che nel silenzio e spesso nell'incapacità della società di coglierne la presenza, ha piantato solide radici in Emilia-Romagna. In primis la 'ndrangheta calabrese che, forte della sua primazia nel narcotraffico internazionale, dei suoi ingentissimi capitali e della capacità di tessere relazioni economico-imprenditoriali, ha invaso con “discrezione” tutta la regione. Non solo 'ndrangheta, naturalmente, ma anche camorra, cosa nostra, e le mafie straniere pronte a ritagliarsi spazi sempre più ampi e pericolosi.
«Una ricerca a 360 gradi – la definisce il curatore del laboratorio Gaetano Alessi - tra mafie italiane e straniere, inseguendo traffici di droga, armi, la tratta selvaggia di uomini e donne e paradisi fiscali sull’uscio di casa. E la ricerca anche di quei fenomeni, non direttamente connessi alle mafie, che sono però “humus” vitale per l’arrivo della criminalità organizzata nel territorio, come l’oscenità dei “massimi ribassi” negli appalti pubblici e privati. Un faro acceso su argomenti che spesso vengono definiti “minori” ma che sono i nervi e l’ossatura della ricchezza delle mafie in questa regione». Un lavoro di ricognizione che punta ad accendere i riflettori su fatti spesso non direttamente collegati alle mafie, in settori che, tradizionalmente, non si pensa possano interessare i boss. Tuttavia, è l'esigenza di esserci senza farsi vedere, arricchirsi senza dare nell'occhio, insinuarsi senza renderlo evidente, a caratterizzare la presenza delle cosche mafiose nelle regioni del centro-nord del nostro Paese. L'Emilia Romagna in questo no fa eccezione. I boss non puntano al controllo militare del territorio, ma a quello economico. Sfruttando le difficoltà della crisi per monopolizzare interi settori produttivi. Trattano l'Emilia Romagna come una grande lavatrice per rendere candidi i capitali mafiosi. Basta scorgere i dati sui sequestri e sulle confische dei beni per avere un'idea dell'incidenza mafiosa sull'economia regionale. Oppure, basta seguire il filo delle indagini che partono dalle procure del sud, per lo più calabresi, e puntano dritto nel cuore dell'Emilia-Romagna.
Scrive nell'introduzione Sara Spartà: «Decine di immobili sequestrati in diverse vie del centro, attività commerciali che fungono da osservatorio privilegiato per tracciare le linee di un vero e proprio processo di radicamento delle mafie lento e costante, silenzioso. Attività illecite che si mescolano nella moltitudine degli spazi e delle risorse economiche di questa terra, che penetrano in profondità, seguendo anche i canali più scabri e deserti, riuscendo ad abbracciarla come in una morsa stretta. Tutta». Un lavoro importante, quindi, e maggiormente arricchito dall'impegno animafia degli studenti. Se è vero che il futuro appartiene a loro, la società ha fatto un passo avanti per comprendere le mafie e arginarle.
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