L'uragano Sandy, che il 29 ottobre ha colpito la città di New York, non ha risparmiato neppure i centri di ricerca scientifica.
GreenReport - Il neurobiologo Gordon Fishell, per esempio, ha perduto l'intero stabulario con all'incirca 2.500 topi appartenenti a 40 diversi gruppi portatori di varianti genetiche selezionati in oltre dieci anni per studi sul cervello. Un decennio di ricerche spazzate vie dalla furia di un uragano. Per fortuna, dicono alla New York University, dove Fishell lavora, che studenti e ricercatori si sono impegnati con grande spirito di sacrificio e in maniera del tutto volontaristica durante le lunghe ore di crisi per cercare di mettere in sicurezza, carte, strumenti e, soprattutto, i pazienti dell'ospedale universitario. Anche la New York University dunque è stata colta alquanto impreparata da Sandy. Così come altri centri di alta formazione e di ricerca.
Eppure era stato proprio un ricercatore della Grande Mela, Malcolm Bowman, un esperto di uragani in forze alla Stony Brook University, ad avvisare, con anni di anticipo, che New York non avrebbe retto a un uragano della potenza di Sandy. Che con onde alte oltre 4 metri, i venti fortissimi e le piogge torrenziali che caratterizzano uragani come Sandy molte zone della metropoli che è il simbolo stesso della paese più avanzato del mondo sarebbero state allagate, che molti tunnel e sottopassaggi sarebbero stati completamente invasi dalle acque e che i danni alle rete elettrica avrebbe tenuto al buio milioni di persone.
Morale, se qualcuno avesse dato retta ai modelli di Malcom Bowman e messo in atto le giuste contromisure, molti morti sarebbero stati evitati e il collega Gordon Fishell non avrebbe perduto, probabilmente, i suoi topi. E studenti e ricercatori della New York University non avrebbero dovuto dimostrare il loro stoico senso del sacrificio.
Insomma, se New York avesse iniziato ad adottare una "politica di adattamento" molti dei danni causati da Sandy sarebbero stati evitati. La mancanza di lucidità politica è tanto più grave, sostengono i critici, perché l'America intera era stata chiaramente avvertita da un altro uragano, Katrina, che nel 2005, aveva colto del tutto impreparata New Orleans.
Non che tutto sia andato proprio come a New Orleans, anzi. Il sistema di gestione dell'emergenza coordinato dal governo federale ha funzionato, tant'è che sia il sindaco della città di New York sia il governatore repubblicano del New Jersey hanno riconosciuto i meriti del presidente Barack Obama, contribuendo alla sua rielezione.
E allora cosa non ha funzionato? Il sistema di prevenzione di lungo periodo. Molti, compreso lo stesso Malcom Bowman, sostengono che New York dovrebbe dotarsi di un sistema di difesa al largo, con alte dighe che impediscano a onde alte 4 metri di abbattersi sulla città. Non tutti concordano: il sistema potrebbe causare, sostengono, guasti ecologici di lungo periodo e, probabilmente, dirottare altro la furia dei marosi.
Tutti concordano, però, che occorrerebbe creare nuove infrastrutture che impediscano, in caso di uragano, l'allagamento dei tunnel e i black out elettrici. In altri termini occorre adattarsi cl clima che cambia.
Ora gli esperti dicono che Sandy è il frutto di una combinazione di fattori statisticamente rara. Che i cambiamenti del clima, se c'entrano, non hanno svolto il ruolo principale. Sandy è stato determinato, per esempio, da una temperatura del mare alta più di 3 °C rispetto al normale. Ma di questo aumento di temperatura, dicono i modelli, solo 0,6 o 0,7 °C possono essere attribuiti ai cambiamenti del sistema climatico generale. La restante parte ha cause locali.
Non importa, dicono i più preoccupati. È ormai certo che la frequenza dei fenomeni meteorologici più estremi è aumentata. E che c'è un allargamento verso nord dell'area interessata a questi fenomeni. New York e tutte la costa nord-orientale americana sarà sottoposta con sempre maggiore frequenza a eventi di questo tipo.
E per non subire i danni annunciati non ci sono che due strade, da percorrere simultaneamente. Una è prevenire, per quanto possibile, i cambiamenti del clima globale. E Obama è chiamato a prendere, finalmente, decisioni importanti in questo settore. L'altra strada è quella dell'«adaptation», dell'adattamento, appunto. Che consiste non solo nel mettere su un sistema di protezione civile per la gestione della crisi nella sua fase acuta. Ma anche un complesso sistema di azioni - ingegneristiche, mediche, di organizzazione del lavoro - per cercare di evitare che uragani sempre più frequenti producano danni largamente annunciati a persone e a cose. Per evitare che anche chi sa, come i ricercatori della New York University, non possano fare altro che aspettare l'uragano e combatterlo a mani nude.
Il tema riguarda, in termini molto simili, l'Italia. Che ha un buon sistema di protezione civile per la gestione dell'emergenza in fase acuta, ma non ha alcuna politica di adaptation.
GreenReport - Il neurobiologo Gordon Fishell, per esempio, ha perduto l'intero stabulario con all'incirca 2.500 topi appartenenti a 40 diversi gruppi portatori di varianti genetiche selezionati in oltre dieci anni per studi sul cervello. Un decennio di ricerche spazzate vie dalla furia di un uragano. Per fortuna, dicono alla New York University, dove Fishell lavora, che studenti e ricercatori si sono impegnati con grande spirito di sacrificio e in maniera del tutto volontaristica durante le lunghe ore di crisi per cercare di mettere in sicurezza, carte, strumenti e, soprattutto, i pazienti dell'ospedale universitario. Anche la New York University dunque è stata colta alquanto impreparata da Sandy. Così come altri centri di alta formazione e di ricerca.
Eppure era stato proprio un ricercatore della Grande Mela, Malcolm Bowman, un esperto di uragani in forze alla Stony Brook University, ad avvisare, con anni di anticipo, che New York non avrebbe retto a un uragano della potenza di Sandy. Che con onde alte oltre 4 metri, i venti fortissimi e le piogge torrenziali che caratterizzano uragani come Sandy molte zone della metropoli che è il simbolo stesso della paese più avanzato del mondo sarebbero state allagate, che molti tunnel e sottopassaggi sarebbero stati completamente invasi dalle acque e che i danni alle rete elettrica avrebbe tenuto al buio milioni di persone.
Morale, se qualcuno avesse dato retta ai modelli di Malcom Bowman e messo in atto le giuste contromisure, molti morti sarebbero stati evitati e il collega Gordon Fishell non avrebbe perduto, probabilmente, i suoi topi. E studenti e ricercatori della New York University non avrebbero dovuto dimostrare il loro stoico senso del sacrificio.
Insomma, se New York avesse iniziato ad adottare una "politica di adattamento" molti dei danni causati da Sandy sarebbero stati evitati. La mancanza di lucidità politica è tanto più grave, sostengono i critici, perché l'America intera era stata chiaramente avvertita da un altro uragano, Katrina, che nel 2005, aveva colto del tutto impreparata New Orleans.
Non che tutto sia andato proprio come a New Orleans, anzi. Il sistema di gestione dell'emergenza coordinato dal governo federale ha funzionato, tant'è che sia il sindaco della città di New York sia il governatore repubblicano del New Jersey hanno riconosciuto i meriti del presidente Barack Obama, contribuendo alla sua rielezione.
E allora cosa non ha funzionato? Il sistema di prevenzione di lungo periodo. Molti, compreso lo stesso Malcom Bowman, sostengono che New York dovrebbe dotarsi di un sistema di difesa al largo, con alte dighe che impediscano a onde alte 4 metri di abbattersi sulla città. Non tutti concordano: il sistema potrebbe causare, sostengono, guasti ecologici di lungo periodo e, probabilmente, dirottare altro la furia dei marosi.
Tutti concordano, però, che occorrerebbe creare nuove infrastrutture che impediscano, in caso di uragano, l'allagamento dei tunnel e i black out elettrici. In altri termini occorre adattarsi cl clima che cambia.
Ora gli esperti dicono che Sandy è il frutto di una combinazione di fattori statisticamente rara. Che i cambiamenti del clima, se c'entrano, non hanno svolto il ruolo principale. Sandy è stato determinato, per esempio, da una temperatura del mare alta più di 3 °C rispetto al normale. Ma di questo aumento di temperatura, dicono i modelli, solo 0,6 o 0,7 °C possono essere attribuiti ai cambiamenti del sistema climatico generale. La restante parte ha cause locali.
Non importa, dicono i più preoccupati. È ormai certo che la frequenza dei fenomeni meteorologici più estremi è aumentata. E che c'è un allargamento verso nord dell'area interessata a questi fenomeni. New York e tutte la costa nord-orientale americana sarà sottoposta con sempre maggiore frequenza a eventi di questo tipo.
E per non subire i danni annunciati non ci sono che due strade, da percorrere simultaneamente. Una è prevenire, per quanto possibile, i cambiamenti del clima globale. E Obama è chiamato a prendere, finalmente, decisioni importanti in questo settore. L'altra strada è quella dell'«adaptation», dell'adattamento, appunto. Che consiste non solo nel mettere su un sistema di protezione civile per la gestione della crisi nella sua fase acuta. Ma anche un complesso sistema di azioni - ingegneristiche, mediche, di organizzazione del lavoro - per cercare di evitare che uragani sempre più frequenti producano danni largamente annunciati a persone e a cose. Per evitare che anche chi sa, come i ricercatori della New York University, non possano fare altro che aspettare l'uragano e combatterlo a mani nude.
Il tema riguarda, in termini molto simili, l'Italia. Che ha un buon sistema di protezione civile per la gestione dell'emergenza in fase acuta, ma non ha alcuna politica di adaptation.
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