lunedì, novembre 26, 2012
La famiglia al centro di un appuntamento che ha riunito a Brescia circa mille e duecento cristiani e musulmani. Testimonianze e approfondimenti culturali e religiosi su un tema che necessità azioni comunitarie in un'Italia che cambia.  

Città Nuova - Nadia e Kadija sono di Brescia e di Mantova, entrambe con l’accento inconfondibile delle loro città. Ma i loro volti tradiscono tradizioni etniche, religiose e culturali diverse. Italiana di nascita e tradizione cristiana la prima, musulmana tunisina la seconda che si presenta sul palco del Pala Brescia con un elegantissimo velo che ne incornicia i tratti delicati del volto. La loro esperienza è quella dell’integrazione realizzata grazie all’amicizia nata sui banchi delle scuole superiori e che ha portato a risultati insperati. Nadia, infatti, ha, infatti, recentemente concluso un corso di laurea in Scienze politiche a Padova, con una tesi sulle donne musulmane e con un approfondimento particolare sulla questione del velo.

La loro è solo una delle esperienze che si sono raccontate ieri nel grande tendone alla periferia della città lombarda, dove si sono dati appuntamento circa mille e duecento cristiani e musulmani per una giornata dal titolo Percorsi comuni per la famiglia. Si è trattato di uno sviluppo dell’esperienza vissuta nella cittadella di Loppiano nell’ottobre di due anni fa, quando 600 fra musulmani e cristiani di varie parti del nostro Paese, si erano incontrati per un momento di riflessione su percorsi comuni di persone di fede e tradizioni diverse all’interno dell’Italia che cambia.

Brescia ha segnato una seconda tappa importante, preparata per due anni. Si è trattato di un evento realizzato con momenti di meditazione sul valore della famiglia nella tradizione islamica ed in quella cristiana, con esperienze vissute sul territorio e nel quotidiano, con momenti artistici. Fra questi particolarmente toccante quello condotto da Harif Abdelghani, marocchino, che con un canto popolare ha coinvolto la parte musulmana della sala che si è alzata in piedi cantando e ritmando, coinvolgendo tutti i presenti, anche cristiani.

Nel corso dello svolgimento della giornata, si è cercato di mettere in evidenza come siano ormai nate molte esperienze che favoriscono l’integrazione che sta formando generazioni al dialogo. Ne nasce un’immagine di una Italia plurale e, quindi, più ricca, dove la diversità non è una minaccia o un pericolo, ma un’opportunità per qualcosa di inatteso, come hanno raccontato due giovani sposi, Jean Claude del Gabon e Caterina, italiana, di Parma. Fin dal loro matrimonio hanno scelto di dare i loro regali per un pozzo d’acqua in una zona del Cameroun e hanno proseguito su scelte controcorrente, adottando due figli, che si sono aggiunti a quelli nati dal loro matrimonio. Non si sono nascosti i problemi e, volutamente, si è fatto di tutto per evitare la tentazione del buonismo naif.

Nel corso di una tavola rotonda, alla quale hanno partecipato due imam, Kamel Layachi di Treviso e Youssef Sbai di Massa, e due donne, cristiane impegnate nell’animazione famigliare e nel contesto dell’amministrazione e della politica si sono toccati i problemi quotidiani che le famigie di entrambe le estrazioni devono affrontare. Ci si è confrontati su alcuni aspetti del problema delle migrazioni, un fenomeno in cui sono coinvolti, come ha notato anche Benedetto XVI «milioni di persone [che] non sono numeri! Sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace».

In questa prospettiva si è tenuto conto, da una parte, di chi deve affrontare i traumi di viaggi, l’incognita di trovare una casa, un permesso di soggiorno, un lavoro, di dover imparare una lingua diversa, e che spesso ha provato la discriminazione, la paura, il dubbio, il sospetto. Dall’altro, non si sono ignorati i traumi di chi vede volti nuovi, modi di parlare, vestire, mangiare, comportarsi che spesso si erano visti solo nei film o alla televisione arrivare accanto alla porta di casa. Questo significa novità culturale. A tutto ciò, oggi, si aggiungono la paura o le paure che la crisi ci porta: la perdita del lavoro, la mancanza di sicurezze soprattutto per il futuro. Poi, ci sono i figli che hanno compagni di diverse etnie e religioni. Ma c’è anche la preoccupazione per i figli più grandi che, dopo due o tre generazioni, vivono ormai a proprio agio con coetanei di diverse etnie, culture e religioni. Magari pensano di sposare uno o una di religione diverse. Oppure, si sono già sposati.

Questi problemi sono stati una spinta per affrontarli a partire da Dio. E’ la sua presenza nella vita delle persone e delle famiglie che può davvero cambiare le cose: i rapporti personali, per esempio, all’interno del gruppo famigliare per arrivare a quelli con il mondo esterno, i vicini, colleghi di lavoro e compagni di studio. Soprattutto, la presenza di Dio può portare a scelte importanti comuni, sia da parte cristiana che musulmana, per contribuire a lavorare insieme per la città e costruire un tessuto sociale che sia caratterizzato dall’impegno di più gente possibile verso il bene comune.

E’ necessario per questo tener presente tutte le diversità e considerarle come ricchezze più che come minacce. Come si è fatto notare da più parti, l’incontro di Brescia di domenica 25 novembre è stata una tappa importante proiettata già al futuro: mettersi in rete con eventi dello stesso tipo che si sono svolti o si svolgeranno in Italia centrale e meridionale per realizzare un evento nazionale che si svolgerà a Roma nel maggio del 2013.

di Roberto Catalano


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