Nota della Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana
Roma - L’Azione Cattolica esprime profonda preoccupazione per il parere non vincolante espresso dal Consiglio di Stato sul regolamento “Imu per il non-profit” prossimo ad essere varato dal governo. Paragonando chi svolge attività economiche con fini di arricchimento privato a chi svolge una attività “economica” senza fini di lucro (anche parziale) al fine di reinvestirne i ricavi nel sociale, si rischia di annichilire il terzo settore privando i cittadini – specie i più bisognosi – di servizi essenziali che lo Stato e gli enti locali non sono in grado di erogare, e che sarebbero insostenibili se assunti sui bilanci pubblici. È giusto ricordare che se l’Italia tiene, se la drammatica crisi economica non ha ancora avuto conseguenze devastanti sulle persone e sulle famiglie, è proprio per quella rete di assistenza e solidarietà integralmente fondata sul volontariato e sulla generosità. Ciò nonostante, l’intero Terzo settore (quanta confusione quando si parla di “Imu alla Chiesa”, dimenticando che il non-profit riguarda migliaia di realtà religiose, laiche, partiti, sindacati, fondazioni bancarie…) ha dato piena disponibilità al governo perché si arrivasse ad una più precisa definizione dell’Imu dovuta, eliminando ogni dubbio interpretativo esistente nella precedente legge. La ratio era ed è condivisibile: chi svolge un’attività economica anche parziale con fini di lucro e che nulla ha a che fare con il sociale, chi eroga prestazioni commerciali e “sta sul mercato”, deve pagare l’Imu senza se e senza ma. Ma tale disponibilità sarà vana, anzi pericolosamente dannosa, se il governo non saprà illustrare all’Europa – sono le direttive Ue a chiedere di modificare la regolamentazione Imu - le peculiarità del “non-profit” italiano, la sua diramazione e profondità unica ed esemplare; se non saprà dire alle istituzioni europee quanto sia eticamente sbagliato considerare “anticompetitiva” la presenza di realtà le cui entrate economiche hanno l’obbligo statutario di essere riutilizzate per servizi agli ultimi e ai bisognosi. Lungo questo crinale, come giustamente illustrato dai quotidiani cattolici, si rischia paradossalmente di sottoporre ad Imu anche le mense Caritas. L’auspicio è che il governo italiano, la cui azione è stata molto importante nell’ultimo anno perché l’Europa non apparisse una fredda macchina burocratica, completi la sua azione legislativa avendo piena considerazione del Paese reale, e sapendo coniugare il rigore nel riscuotere i giusti tributi con la piena consapevolezza di come funziona e cosa rappresenta in non-profit per milioni di bisognosi.
Roma - L’Azione Cattolica esprime profonda preoccupazione per il parere non vincolante espresso dal Consiglio di Stato sul regolamento “Imu per il non-profit” prossimo ad essere varato dal governo. Paragonando chi svolge attività economiche con fini di arricchimento privato a chi svolge una attività “economica” senza fini di lucro (anche parziale) al fine di reinvestirne i ricavi nel sociale, si rischia di annichilire il terzo settore privando i cittadini – specie i più bisognosi – di servizi essenziali che lo Stato e gli enti locali non sono in grado di erogare, e che sarebbero insostenibili se assunti sui bilanci pubblici. È giusto ricordare che se l’Italia tiene, se la drammatica crisi economica non ha ancora avuto conseguenze devastanti sulle persone e sulle famiglie, è proprio per quella rete di assistenza e solidarietà integralmente fondata sul volontariato e sulla generosità. Ciò nonostante, l’intero Terzo settore (quanta confusione quando si parla di “Imu alla Chiesa”, dimenticando che il non-profit riguarda migliaia di realtà religiose, laiche, partiti, sindacati, fondazioni bancarie…) ha dato piena disponibilità al governo perché si arrivasse ad una più precisa definizione dell’Imu dovuta, eliminando ogni dubbio interpretativo esistente nella precedente legge. La ratio era ed è condivisibile: chi svolge un’attività economica anche parziale con fini di lucro e che nulla ha a che fare con il sociale, chi eroga prestazioni commerciali e “sta sul mercato”, deve pagare l’Imu senza se e senza ma. Ma tale disponibilità sarà vana, anzi pericolosamente dannosa, se il governo non saprà illustrare all’Europa – sono le direttive Ue a chiedere di modificare la regolamentazione Imu - le peculiarità del “non-profit” italiano, la sua diramazione e profondità unica ed esemplare; se non saprà dire alle istituzioni europee quanto sia eticamente sbagliato considerare “anticompetitiva” la presenza di realtà le cui entrate economiche hanno l’obbligo statutario di essere riutilizzate per servizi agli ultimi e ai bisognosi. Lungo questo crinale, come giustamente illustrato dai quotidiani cattolici, si rischia paradossalmente di sottoporre ad Imu anche le mense Caritas. L’auspicio è che il governo italiano, la cui azione è stata molto importante nell’ultimo anno perché l’Europa non apparisse una fredda macchina burocratica, completi la sua azione legislativa avendo piena considerazione del Paese reale, e sapendo coniugare il rigore nel riscuotere i giusti tributi con la piena consapevolezza di come funziona e cosa rappresenta in non-profit per milioni di bisognosi.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.