Fornire un migliore sostegno alle misure di conciliazione permetterà alle donne e agli uomini, in tutti i modelli familiari, di avere una maggiore scelta per equilibrare la loro vita lavorativa e familiare
di Carlo Mafera
Proclamare il 2014 “Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare”: è quanto chiede una dichiarazione scritta presentata al Parlamento europeo dagli eurodeputati Marian Harkin, Elisabeth Morin-Chartier, Roberta Angelilli e Jutta Steinruck e che ha raccolto finora 240 firme di eurodeputati. Ma c’è tempo fino al 22 gennaio prossimo per giungere a 378 firme (la maggioranza dell’emiciclo) per far diventare il testo posizione ufficiale, benché non vincolante, dell’Assemblea. Il documento sostiene che “fornire un migliore sostegno alle misure di conciliazione permetterà alle donne e agli uomini, in tutti i modelli familiari, di avere una maggiore scelta per equilibrare la loro vita lavorativa e familiare sulla base delle loro necessità e preferenze individuali, e contribuirà altresì a raggiungere i principali obiettivi politici dell’Unione”. L’Anno speciale vorrebbe fra l’altro sollecitare risposte a sfide urgenti quali l’evoluzione demografica, la crisi economica e finanziaria, la disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale”. Da qui la richiesta alla Commissione e a tutte le istituzioni europee che il 2014 sia l’Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare.
Per comprendere l’esigenza di tale conciliazione si deve fare riferimento proprio alla Parola di Dio, proprio nel suo primo libro: “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto.”(Gen. 2,1-3). Nella Parola della divina Rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità fondamentale: che l'uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all'opera del Creatore. Questa verità la troviamo nel libro della Genesi, dove l’opera stessa della creazione è presentata nella forma di un “lavoro” compiuto da Dio durante i “sei giorni”, per riposare il settimo giorno. Questa descrizione è, in un certo senso il primo «Vangelo del lavoro». Essa dimostra, infatti, in che cosa consista la sua dignità: insegna che l'uomo lavorando deve imitare Dio, suo Creatore, perché porta in sé - egli solo - il singolare elemento della somiglianza con Lui. L'uomo deve imitare Dio lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto presentargli la propria opera creatrice sotto la forma del lavoro e del riposo. San Francesco nella sua Regola ricorda ai suoi discepoli: “I fratelli reputino il lavoro come dono (non obbligo e sopportazione, quasi che l’ottimo sarebbe non lavorare; è dono perché in esso c’è una grazia che guarisce e redime), come partecipazione alla creazione (lavoro è anche creatività, miglioramento del mondo, costruzione delle città, arte), come redenzione(il lavoro contribuisce al miglioramento di se stessi grazie all’applicazione, allo spirito di sacrificio, all’impegno metodico e costante), come servizio alla comunità umana (infatti grazie al lavoro si provvede ai bisogni della famiglia, al miglioramento delle condizioni generali della vita, si impiegano le risorse per vincere la fame e il sottosviluppo)”.
A questo punto ci si chiede cosa succede ai giorni nostri. Ricerche americane e italiane hanno rilevato che, da dieci anni a questa parte, tra quanti lavorano c'è la tendenza a mettere al primo posto tra le richieste non più il denaro o i benefit di varia natura, ma il tempo libero, cioè il riposo, quasi si fossero resi conto che se è vero che per vivere occorre lavorare, non è più vita quella totalmente assorbita dal lavoro. Si avverte quindi una conflittualità tra il tempo che si dedica al lavoro e quello che si dedica al riposo. Un conflitto in particolare che si crea è quello della estraneità del lavoro rispetto alla vita della famiglia. Mentre nel passato la fatica fisica del lavoro poteva favorire un piacevole rientro in famiglia, oggi questa è certamente diminuita, ma sono aumentati stanchezza, nervosismi ed inquietudini che derivano dalla fatica mentale del lavoro, elementi tutti che spesso vanno a disturbare il desiderio di dialogo a tutto vantaggio invece di voglia di svago personale ed evasione. Probabilmente si avverte il desiderio di evitare questo disagio e di stare un po’ più in casa e in famiglia. Ci si è stancati di affidare i propri figli alle baby-sitter, i propri vecchi alle badanti, la cura della casa alle colf, le feste dei bambini alle agenzie specializzate perché non si ha più tempo: non si vuole delegare più al mercato dei servizi la propria vita relazionale, quando non addirittura la propria vita intima.
di Carlo Mafera
Proclamare il 2014 “Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare”: è quanto chiede una dichiarazione scritta presentata al Parlamento europeo dagli eurodeputati Marian Harkin, Elisabeth Morin-Chartier, Roberta Angelilli e Jutta Steinruck e che ha raccolto finora 240 firme di eurodeputati. Ma c’è tempo fino al 22 gennaio prossimo per giungere a 378 firme (la maggioranza dell’emiciclo) per far diventare il testo posizione ufficiale, benché non vincolante, dell’Assemblea. Il documento sostiene che “fornire un migliore sostegno alle misure di conciliazione permetterà alle donne e agli uomini, in tutti i modelli familiari, di avere una maggiore scelta per equilibrare la loro vita lavorativa e familiare sulla base delle loro necessità e preferenze individuali, e contribuirà altresì a raggiungere i principali obiettivi politici dell’Unione”. L’Anno speciale vorrebbe fra l’altro sollecitare risposte a sfide urgenti quali l’evoluzione demografica, la crisi economica e finanziaria, la disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale”. Da qui la richiesta alla Commissione e a tutte le istituzioni europee che il 2014 sia l’Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare.
Per comprendere l’esigenza di tale conciliazione si deve fare riferimento proprio alla Parola di Dio, proprio nel suo primo libro: “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto.”(Gen. 2,1-3). Nella Parola della divina Rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità fondamentale: che l'uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all'opera del Creatore. Questa verità la troviamo nel libro della Genesi, dove l’opera stessa della creazione è presentata nella forma di un “lavoro” compiuto da Dio durante i “sei giorni”, per riposare il settimo giorno. Questa descrizione è, in un certo senso il primo «Vangelo del lavoro». Essa dimostra, infatti, in che cosa consista la sua dignità: insegna che l'uomo lavorando deve imitare Dio, suo Creatore, perché porta in sé - egli solo - il singolare elemento della somiglianza con Lui. L'uomo deve imitare Dio lavorando come pure riposando, dato che Dio stesso ha voluto presentargli la propria opera creatrice sotto la forma del lavoro e del riposo. San Francesco nella sua Regola ricorda ai suoi discepoli: “I fratelli reputino il lavoro come dono (non obbligo e sopportazione, quasi che l’ottimo sarebbe non lavorare; è dono perché in esso c’è una grazia che guarisce e redime), come partecipazione alla creazione (lavoro è anche creatività, miglioramento del mondo, costruzione delle città, arte), come redenzione(il lavoro contribuisce al miglioramento di se stessi grazie all’applicazione, allo spirito di sacrificio, all’impegno metodico e costante), come servizio alla comunità umana (infatti grazie al lavoro si provvede ai bisogni della famiglia, al miglioramento delle condizioni generali della vita, si impiegano le risorse per vincere la fame e il sottosviluppo)”.
A questo punto ci si chiede cosa succede ai giorni nostri. Ricerche americane e italiane hanno rilevato che, da dieci anni a questa parte, tra quanti lavorano c'è la tendenza a mettere al primo posto tra le richieste non più il denaro o i benefit di varia natura, ma il tempo libero, cioè il riposo, quasi si fossero resi conto che se è vero che per vivere occorre lavorare, non è più vita quella totalmente assorbita dal lavoro. Si avverte quindi una conflittualità tra il tempo che si dedica al lavoro e quello che si dedica al riposo. Un conflitto in particolare che si crea è quello della estraneità del lavoro rispetto alla vita della famiglia. Mentre nel passato la fatica fisica del lavoro poteva favorire un piacevole rientro in famiglia, oggi questa è certamente diminuita, ma sono aumentati stanchezza, nervosismi ed inquietudini che derivano dalla fatica mentale del lavoro, elementi tutti che spesso vanno a disturbare il desiderio di dialogo a tutto vantaggio invece di voglia di svago personale ed evasione. Probabilmente si avverte il desiderio di evitare questo disagio e di stare un po’ più in casa e in famiglia. Ci si è stancati di affidare i propri figli alle baby-sitter, i propri vecchi alle badanti, la cura della casa alle colf, le feste dei bambini alle agenzie specializzate perché non si ha più tempo: non si vuole delegare più al mercato dei servizi la propria vita relazionale, quando non addirittura la propria vita intima.
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