Tutta "colpa" di alcuni fossili australiani
Greenreport - L'origine e i primi passi della vita sulla terra (intesa come terraferma) sono antichi, ma piuttosto noti (o, almeno, lo erano fino a qualche giorno fa). Tutto cominciò con l'esplosione del Cambriano, circa 530 milioni di anni fa, quando nei mari del pianeta apparvero, in tempi brevissimi (su scala geologica), tutti e ciascuno i phila (le grandi architetture) di animali oggi conosciuti e altri ancora che nel tempo si sono estinti. Siamo tutti figli del Cambriano. Noi, in particolare, potremmo essere figli della piccola pikaia, l'unico fossile di cordato che, a quanto ci risulta, nuotasse a quel tempo. Alcune decine di anni dopo la vita marina fece il grande passo e sbarcò sulla terra. Prima, a quanto ci risulta, con le piante che si sono evolute dalle alghe e poi con i primi animali anfibi.
Il Cambriano era sta preceduto da un altro periodo in cui la vita, come dire, fece un esperimento di diversificazione. Quel periodo si chiama Ediacara, è compreso tra 635 e 542 milioni di anni fa e fu caratterizzato da una piccola esplosione di biodiversità che generò la «fauna di Ediacara». Gran parte di quei primi esperimenti di vita complessa andò perduta. Ma, si ritiene, alcune specie sopravvissero e costituirono i semi della successiva «esplosione del Cambriano». Tutto avvenne nei mari, vera culla della vita. Questo, almeno, fino alla scorsa settimana. Quando Gregory J. Retallack (Nella foto) - noto ricercatore in forze al Department of Geological Sciences presso la University of Oregon di Eugene, negli Stati Uniti - ha pubblicato su Nature i risultati di una sua analisi di fossili australiani che risalgono proprio ai tempi di Ediacara.
Quei fossili, sostiene Retallack, non sono i resti né di animali, né di mega protisti (organismi che non sono né animali, né piante) come finora si riteneva. Ma sono licheni o, forse, colonie di batteri. E la presenza di paleosuolo (di terre emerse) lì dove sono stati trovati indica chiaramente che sono organismi che vivevano sulla terraferma. Il paleogeologo americano propone, dunque, una tesi molto forte che - se corretta - è in grado di modificare in profondità il racconto, finora egemone, dell'evoluzione della vita complessa: organismi viventi sarebbero sbarcati sulla terraferma almeno duecento milioni di anni prima di quanto si riteneva. Ma spalanca anche a una possibilità: che il trasferimento della vita complessa tra i due grandi ambienti planetari potrebbe non essere avvenuto dal mare alla terra, ma viceversa.
La tesi è così forte che Nature ha sentito il bisogno di dedicarle un editoriale e di pubblicare due commenti di studiosi molto accreditati. Entrambi sono americani. Uno, Shuhai Xiao, del Department of Geosciences del Virginia Tech, mostra tutto il suo scetticismo sia sui fatti illustrati, sia sulla loro interpretazione. L'altro, L. Paul Knauth, della School of Earth and Space Exploration, dell'Arizona State University, sostiene che l'indagine va confermata. Ma che, allo stato, tutte le ipotesi devono essere considerate possibili.
Giusto o sbagliato che siano la sua analisi e la sua interpretazione dei fossili australiani, Gregory J. Retallack col suo articolo dimostra che la nostra narrazione della storia della vita sulla Terra è ancora largamente incompleta. E che - nel cinquantenario della pubblicazione del libro di Thomas Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche - nella scienza i cambi di paradigma sono ancora possibili.
Greenreport - L'origine e i primi passi della vita sulla terra (intesa come terraferma) sono antichi, ma piuttosto noti (o, almeno, lo erano fino a qualche giorno fa). Tutto cominciò con l'esplosione del Cambriano, circa 530 milioni di anni fa, quando nei mari del pianeta apparvero, in tempi brevissimi (su scala geologica), tutti e ciascuno i phila (le grandi architetture) di animali oggi conosciuti e altri ancora che nel tempo si sono estinti. Siamo tutti figli del Cambriano. Noi, in particolare, potremmo essere figli della piccola pikaia, l'unico fossile di cordato che, a quanto ci risulta, nuotasse a quel tempo. Alcune decine di anni dopo la vita marina fece il grande passo e sbarcò sulla terra. Prima, a quanto ci risulta, con le piante che si sono evolute dalle alghe e poi con i primi animali anfibi.
Il Cambriano era sta preceduto da un altro periodo in cui la vita, come dire, fece un esperimento di diversificazione. Quel periodo si chiama Ediacara, è compreso tra 635 e 542 milioni di anni fa e fu caratterizzato da una piccola esplosione di biodiversità che generò la «fauna di Ediacara». Gran parte di quei primi esperimenti di vita complessa andò perduta. Ma, si ritiene, alcune specie sopravvissero e costituirono i semi della successiva «esplosione del Cambriano». Tutto avvenne nei mari, vera culla della vita. Questo, almeno, fino alla scorsa settimana. Quando Gregory J. Retallack (Nella foto) - noto ricercatore in forze al Department of Geological Sciences presso la University of Oregon di Eugene, negli Stati Uniti - ha pubblicato su Nature i risultati di una sua analisi di fossili australiani che risalgono proprio ai tempi di Ediacara.
Quei fossili, sostiene Retallack, non sono i resti né di animali, né di mega protisti (organismi che non sono né animali, né piante) come finora si riteneva. Ma sono licheni o, forse, colonie di batteri. E la presenza di paleosuolo (di terre emerse) lì dove sono stati trovati indica chiaramente che sono organismi che vivevano sulla terraferma. Il paleogeologo americano propone, dunque, una tesi molto forte che - se corretta - è in grado di modificare in profondità il racconto, finora egemone, dell'evoluzione della vita complessa: organismi viventi sarebbero sbarcati sulla terraferma almeno duecento milioni di anni prima di quanto si riteneva. Ma spalanca anche a una possibilità: che il trasferimento della vita complessa tra i due grandi ambienti planetari potrebbe non essere avvenuto dal mare alla terra, ma viceversa.
La tesi è così forte che Nature ha sentito il bisogno di dedicarle un editoriale e di pubblicare due commenti di studiosi molto accreditati. Entrambi sono americani. Uno, Shuhai Xiao, del Department of Geosciences del Virginia Tech, mostra tutto il suo scetticismo sia sui fatti illustrati, sia sulla loro interpretazione. L'altro, L. Paul Knauth, della School of Earth and Space Exploration, dell'Arizona State University, sostiene che l'indagine va confermata. Ma che, allo stato, tutte le ipotesi devono essere considerate possibili.
Giusto o sbagliato che siano la sua analisi e la sua interpretazione dei fossili australiani, Gregory J. Retallack col suo articolo dimostra che la nostra narrazione della storia della vita sulla Terra è ancora largamente incompleta. E che - nel cinquantenario della pubblicazione del libro di Thomas Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche - nella scienza i cambi di paradigma sono ancora possibili.
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