Torna sul grande schermo Giuseppe Tornatore, con un film da non perdere: un thriller psicologico di statura internazionale che scava nell'animo umano e parla di amore, vita, morte, illusione, paura. Nelle sale dal primo gennaio. Nel frattempo ci si intrattiene con qualche commedia e col discusso humour nero di Patrice Leconte.
Città Nuova - Il 2012 se ne sta andando e il cinema piange, con la discesa del 30 per cento di incassi in quest’ultimo periodo. Il pubblico diserta le sale, tranne i giovanissimi e i pensionati, mentre i giovani ormai si scaricano tranquillamente i film e se li vedono a casa con gli amici… L’Italia funziona ancora con le commedie e vi risparmiamo lavori come "I 2 soliti ignoti" o "Colpi di fulmine" (con uno sconclusionato De Sica cha fa il prete, purtroppo da solo senza una buona “spalla”, mentre sono bravi Lillo e Greg), per passare al discusso humour nero di "La bottega dei suicidi" e infine arrivare all’evento del primo gennaio, cioè l’atteso ritorno di Giuseppe Tornatore con "La migliore offerta". È un trhiller psicologico, una metafora, una indagine sull’amore? O forse tutte e tre le cose insieme? In un non-luogo indefinito, che è anche un non-tempo, Tornatore imbastisce la storia di Virgil Oldman. Uomo colto e solitario, timoroso degli affetti e di qualsiasi rapporto, specie con le donne, un antiquario dalla perfezione maniacale. A 63 anni, il giorno del compleanno, riceva una telefonata da una giovane donna misteriosa che lo incarica della dismissione di alcune opere d’arte della famiglia. Da qui prende l’avvio un gioco di specchi a due, poi a tre – perché Virgil si confida con un giovane meccanico che sa far tutto – ed anche a quattro, perché c’è anche il miglior amico, Robert. L’incastro si complica e si dipana allo stesso tempo. Nella prima parte del film, tesa e perfetta, avviene come un prologo di un amore che tenta timidamente di farsi strada. Nella fase centrale è la scoperta dell’amore, attraverso questa bellissima ragazza che soffre di agorafobia: l’amore cambia la vita di questo gentiluomo arido e pauroso. Ma vengono alla luce anche altri risvolti: l’amore – i rapporti umani –, svelano la capacità della doppiezza: dove sta la verità?
Perché la verità dei rapporti e dell’amore è quello che, espresso in una forma esteticamente attraente, con una interpretazione attoriale magistrale (Geoffrey Rush è perfetto anche da fermo, anche con un’occhiata, un piccolo gesto…), una regia meticolosa e una fotografia di luce settecentesca, Tornatore sembra voler indagare e poi esprimere.
Una storia d’amore, delle velleità, delle paure e degli inganni, delle delusioni e anche dell’attesa? In definitiva, con un stile così perfezionista da rischiare la freddezza, il film di Tornatore parla della vita, della maschera dietro cui ogni uomo, anche quello apparentemente più esplicito, si cela. Un film di timidezze e delicatezze, di durezze e cattiverie, mai pesanti, in una perpetua ricerca dell’amore: che possa venire e poi venire ancora…
In un film di statura internazionale, finalmente, di un autore italiano, che più che a scavare si è limitato ad accennare, forse per non appesantire la soglia del dolore che rabbrividisce certe parti del racconto, è la maschera di Geoffrey Rush a dire più di qualsiasi altra cosa la vita e la morte, l’attesa e la speranza. Da non perdere.
di Mario Dal Bello
Città Nuova - Il 2012 se ne sta andando e il cinema piange, con la discesa del 30 per cento di incassi in quest’ultimo periodo. Il pubblico diserta le sale, tranne i giovanissimi e i pensionati, mentre i giovani ormai si scaricano tranquillamente i film e se li vedono a casa con gli amici… L’Italia funziona ancora con le commedie e vi risparmiamo lavori come "I 2 soliti ignoti" o "Colpi di fulmine" (con uno sconclusionato De Sica cha fa il prete, purtroppo da solo senza una buona “spalla”, mentre sono bravi Lillo e Greg), per passare al discusso humour nero di "La bottega dei suicidi" e infine arrivare all’evento del primo gennaio, cioè l’atteso ritorno di Giuseppe Tornatore con "La migliore offerta". È un trhiller psicologico, una metafora, una indagine sull’amore? O forse tutte e tre le cose insieme? In un non-luogo indefinito, che è anche un non-tempo, Tornatore imbastisce la storia di Virgil Oldman. Uomo colto e solitario, timoroso degli affetti e di qualsiasi rapporto, specie con le donne, un antiquario dalla perfezione maniacale. A 63 anni, il giorno del compleanno, riceva una telefonata da una giovane donna misteriosa che lo incarica della dismissione di alcune opere d’arte della famiglia. Da qui prende l’avvio un gioco di specchi a due, poi a tre – perché Virgil si confida con un giovane meccanico che sa far tutto – ed anche a quattro, perché c’è anche il miglior amico, Robert. L’incastro si complica e si dipana allo stesso tempo. Nella prima parte del film, tesa e perfetta, avviene come un prologo di un amore che tenta timidamente di farsi strada. Nella fase centrale è la scoperta dell’amore, attraverso questa bellissima ragazza che soffre di agorafobia: l’amore cambia la vita di questo gentiluomo arido e pauroso. Ma vengono alla luce anche altri risvolti: l’amore – i rapporti umani –, svelano la capacità della doppiezza: dove sta la verità?
Perché la verità dei rapporti e dell’amore è quello che, espresso in una forma esteticamente attraente, con una interpretazione attoriale magistrale (Geoffrey Rush è perfetto anche da fermo, anche con un’occhiata, un piccolo gesto…), una regia meticolosa e una fotografia di luce settecentesca, Tornatore sembra voler indagare e poi esprimere.
Una storia d’amore, delle velleità, delle paure e degli inganni, delle delusioni e anche dell’attesa? In definitiva, con un stile così perfezionista da rischiare la freddezza, il film di Tornatore parla della vita, della maschera dietro cui ogni uomo, anche quello apparentemente più esplicito, si cela. Un film di timidezze e delicatezze, di durezze e cattiverie, mai pesanti, in una perpetua ricerca dell’amore: che possa venire e poi venire ancora…
In un film di statura internazionale, finalmente, di un autore italiano, che più che a scavare si è limitato ad accennare, forse per non appesantire la soglia del dolore che rabbrividisce certe parti del racconto, è la maschera di Geoffrey Rush a dire più di qualsiasi altra cosa la vita e la morte, l’attesa e la speranza. Da non perdere.
di Mario Dal Bello
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