Intervista a Monsignor Gianfranco Todisco (nella foto), vescovo della diocesi di Melfi-Rapolla-Venosa, che é stato in Uruguay, a Nuova Palmira, a visitare don Vincenzo Vigilante, prete fidei donum della sua diocesi
D - P. Gianfranco, qual è stato il motivo di questa visita in Uruguay?
R - Il motivo è semplice: far visita ad un nostro confratello sacerdote fidei donum, per fargli sentire la vicinanza di tutta la comunità diocesana che accompagna con la preghiera la sua attività missionaria, e condividere con lui e la comunità la preparazione alla festa patronale in onore della Madonna “Nuestra Señora de los Remedios”.
D - A volte sembra che in questi viaggi il Vescovo “abbandoni” la sua chiesa locale… invece si tratta di visitare un “prolungamento” della nostra chiesa locale, vero? Come aiutare la nostra chiesa diocesana a sentirsi “universale” anche attraverso la presenza di suoi sacerdoti in altre parti del mondo?
R - Il Vescovo, anche quando sta fuori diocesi per qualche tempo, non abbandona mai “la sua sposa”, che è la Chiesa, formata da fedeli laici, religiosi, religiose, diaconi e presbiteri. Se uno di questi, come nel caso di Don Vincenzo Vigilante,viene inviato ad aiutare una Chiesa sorella come quella che sta in Mercedes, Uruguay, il Vescovo sente il dovere di non fargli mancare la sua vicinanza, e, quando può, deve accompagnarlo anche per qualche tempo, come ho fatto io nei giorni scorsi con lui. Potremmo paragonare questa visita a quella che fanno i vescovi ogni cinque anni a Roma, per rafforzare il vincolo di comunione che esiste fra i successori degli Apostoli ed il Vicario di Cristo che è il Papa, per informarlo di come vanno le cose in diocesi, dal momento che la Chiesa è una, e, come ha ricordato anche il Papa qualche tempo fa, nella Chiesa non ci sono periferie. C’è poi un’altra considerazione da fare. Con l’invio di uno o più sacerdoti fidei donum - termine che definisce la collaborazione del dono della fede con le Chiese particolari che scarseggiano di sacerdoti - la diocesi allarga i suoi confini, e attraverso l’azione missionaria di uno dei suoi figli raggiunge quelle parti lontane del mondo che Gesù ha raccomandato di non trascurare. In tal modo si vive anche l’universalità della Chiesa, che è la stessa nelle grandi come nelle piccole comunità sparse per il mondo intero, come in Uruguay.
D - Quale impressione si porta di questa visita? Lei già conosceva l’America Latina per essere stato 9 anni in Colombia, ma l’Uruguay é abbastanza diverso: che paese ha incontrato? Che tipo di religiositá? Quali sfide per l’evangelizzazione?
R - Anche se conosco un po’ l’America Latina – oltre la Colombia, ho visitato anche l’Ecuador, il Brasile, il Venezuela, l’Honduras ed il Guatemala - ogni Paese ha la sua peculiarità. L’Uruguay si discosta un po’ dagli altri Paesi latino-americani non solo per la configurazione geografica – è un’immensa pianura – ma anche per il tenore di vita molto simile a quello europeo. A differenza poi degli altri paesi latino-americani, dove la fede è molto più sentita e praticata, l’Uruguay si distingue per una religiosità vissuta più a livello intimistico e praticata da una minima parte della popolazione. La gente è molto accogliente, cordiale ed affettuosa, ma vivendo la fede solamente in determinati momenti – sta succedendo la stessa cosa in Italia e nei Paesi di prima evangelizzazione – si corre il rischio di vivere una fede del fai-da-te, legata molto al sentimento ed alla tradizione, ma senza una reale e convinta adesione a Gesù Cristo. La scarsezza di clero ha senza dubbio influito molto sul modo di concepire e vivere la fede in questo Paese, ma ha anche influito, fin dai tempi dell’indipendenza dal Brasile, l’azione dei governi che si sono succeduti, improntata ad un marcato laicismo che, anche se non ha mai ostacolato la fede, certamente non ne ha favorito la crescita, con la netta separazione tra Chiesa e Stato, ignorando il grande contributo che le comunità cristiane danno allo sviluppo del Paese, senza chiedere particolari privilegi per i cristiani.. Ed è proprio questa fede vissuta dalla gente “a fior di pelle” la grande sfida che attende oggi la Chiesa uruguayana. C’è innanzitutto bisogno di una Nuova Evangelizzazione che impegni sacerdoti, religiosi e fedeli laici ad una testimonianza di vita gioiosa e credibile. E’ lo stile di vita del cristiano a fare breccia nel cuore della gente e a far comprendere le motivazioni che lo spingono a dare priorità ai valori dello spirito quali la vita, la fedeltà, la solidarietà, la giustizia, la salvaguardia del creato, la fiducia in Dio, senza trascurare l’impegno nella società civile, che non può essere basata solamente su principi utilitaristici, dimenticando il bene comune, anche delle fasce più deboli e fragili della società. L’altra grande sfida è la formazione degli operatori pastorali, senza i quali l’Evangelizzazione non varcherebbe le soglie delle nostre case. Sull’esempio di Gesù, che ha prima formato i discepoli, e poi li ha inviati in tutto il mondo, bisogna curare attentamente la formazione di coloro che, assieme al sacerdote, saranno i futuri missionari che porteranno il vangelo anche ai lontani, non solo geograficamente. Un processo di formazione che non può limitarsi a incontri sporadici, ma, partendo dal primo annuncio, faccia riscoprire la bellezza dei sacramenti, la gioia dell’ appartenenza alla Chiesa, l’importanza della comunione ecclesiale, la necessità di aprirsi a tutti i fratelli, per condividere con essi, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, “la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia degli uomini”.
D - Lei é anche membro della Commissione CEI per la cooperazione missionaria tra le chiese. Vuole rivolgere un "appello" missionario ai nostri lettori?
R - Bisogna tenere sempre a mente che la missione fa parte del dna del cristiano. “La Chiesa è per sua natura missionaria”, ci ricorda il Concilio Vaticano II. L’attività missionaria non è uno dei tanti ambiti dell’azione pastorale, ma la spina dorsale di ogni attività che la Chiesa svolge nel mondo. Quando entriamo in quest’ottica, l’orizzonte della missione valica i confini della nostra limitata esperienza quotidiana, e, sollecitati dalla forza dello Spirito che anima da sempre l’azione della Chiesa, scopriamo i nuovi orizzonti di evangelizzazione, che ci spingono ad andare, anche lontano, per condividere con tutti la gioia della nostra fede in Gesù Cristo.
D - P. Gianfranco, qual è stato il motivo di questa visita in Uruguay?
R - Il motivo è semplice: far visita ad un nostro confratello sacerdote fidei donum, per fargli sentire la vicinanza di tutta la comunità diocesana che accompagna con la preghiera la sua attività missionaria, e condividere con lui e la comunità la preparazione alla festa patronale in onore della Madonna “Nuestra Señora de los Remedios”.
D - A volte sembra che in questi viaggi il Vescovo “abbandoni” la sua chiesa locale… invece si tratta di visitare un “prolungamento” della nostra chiesa locale, vero? Come aiutare la nostra chiesa diocesana a sentirsi “universale” anche attraverso la presenza di suoi sacerdoti in altre parti del mondo?
R - Il Vescovo, anche quando sta fuori diocesi per qualche tempo, non abbandona mai “la sua sposa”, che è la Chiesa, formata da fedeli laici, religiosi, religiose, diaconi e presbiteri. Se uno di questi, come nel caso di Don Vincenzo Vigilante,viene inviato ad aiutare una Chiesa sorella come quella che sta in Mercedes, Uruguay, il Vescovo sente il dovere di non fargli mancare la sua vicinanza, e, quando può, deve accompagnarlo anche per qualche tempo, come ho fatto io nei giorni scorsi con lui. Potremmo paragonare questa visita a quella che fanno i vescovi ogni cinque anni a Roma, per rafforzare il vincolo di comunione che esiste fra i successori degli Apostoli ed il Vicario di Cristo che è il Papa, per informarlo di come vanno le cose in diocesi, dal momento che la Chiesa è una, e, come ha ricordato anche il Papa qualche tempo fa, nella Chiesa non ci sono periferie. C’è poi un’altra considerazione da fare. Con l’invio di uno o più sacerdoti fidei donum - termine che definisce la collaborazione del dono della fede con le Chiese particolari che scarseggiano di sacerdoti - la diocesi allarga i suoi confini, e attraverso l’azione missionaria di uno dei suoi figli raggiunge quelle parti lontane del mondo che Gesù ha raccomandato di non trascurare. In tal modo si vive anche l’universalità della Chiesa, che è la stessa nelle grandi come nelle piccole comunità sparse per il mondo intero, come in Uruguay.
D - Quale impressione si porta di questa visita? Lei già conosceva l’America Latina per essere stato 9 anni in Colombia, ma l’Uruguay é abbastanza diverso: che paese ha incontrato? Che tipo di religiositá? Quali sfide per l’evangelizzazione?
R - Anche se conosco un po’ l’America Latina – oltre la Colombia, ho visitato anche l’Ecuador, il Brasile, il Venezuela, l’Honduras ed il Guatemala - ogni Paese ha la sua peculiarità. L’Uruguay si discosta un po’ dagli altri Paesi latino-americani non solo per la configurazione geografica – è un’immensa pianura – ma anche per il tenore di vita molto simile a quello europeo. A differenza poi degli altri paesi latino-americani, dove la fede è molto più sentita e praticata, l’Uruguay si distingue per una religiosità vissuta più a livello intimistico e praticata da una minima parte della popolazione. La gente è molto accogliente, cordiale ed affettuosa, ma vivendo la fede solamente in determinati momenti – sta succedendo la stessa cosa in Italia e nei Paesi di prima evangelizzazione – si corre il rischio di vivere una fede del fai-da-te, legata molto al sentimento ed alla tradizione, ma senza una reale e convinta adesione a Gesù Cristo. La scarsezza di clero ha senza dubbio influito molto sul modo di concepire e vivere la fede in questo Paese, ma ha anche influito, fin dai tempi dell’indipendenza dal Brasile, l’azione dei governi che si sono succeduti, improntata ad un marcato laicismo che, anche se non ha mai ostacolato la fede, certamente non ne ha favorito la crescita, con la netta separazione tra Chiesa e Stato, ignorando il grande contributo che le comunità cristiane danno allo sviluppo del Paese, senza chiedere particolari privilegi per i cristiani.. Ed è proprio questa fede vissuta dalla gente “a fior di pelle” la grande sfida che attende oggi la Chiesa uruguayana. C’è innanzitutto bisogno di una Nuova Evangelizzazione che impegni sacerdoti, religiosi e fedeli laici ad una testimonianza di vita gioiosa e credibile. E’ lo stile di vita del cristiano a fare breccia nel cuore della gente e a far comprendere le motivazioni che lo spingono a dare priorità ai valori dello spirito quali la vita, la fedeltà, la solidarietà, la giustizia, la salvaguardia del creato, la fiducia in Dio, senza trascurare l’impegno nella società civile, che non può essere basata solamente su principi utilitaristici, dimenticando il bene comune, anche delle fasce più deboli e fragili della società. L’altra grande sfida è la formazione degli operatori pastorali, senza i quali l’Evangelizzazione non varcherebbe le soglie delle nostre case. Sull’esempio di Gesù, che ha prima formato i discepoli, e poi li ha inviati in tutto il mondo, bisogna curare attentamente la formazione di coloro che, assieme al sacerdote, saranno i futuri missionari che porteranno il vangelo anche ai lontani, non solo geograficamente. Un processo di formazione che non può limitarsi a incontri sporadici, ma, partendo dal primo annuncio, faccia riscoprire la bellezza dei sacramenti, la gioia dell’ appartenenza alla Chiesa, l’importanza della comunione ecclesiale, la necessità di aprirsi a tutti i fratelli, per condividere con essi, come ci ricorda il Concilio Vaticano II, “la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia degli uomini”.
D - Lei é anche membro della Commissione CEI per la cooperazione missionaria tra le chiese. Vuole rivolgere un "appello" missionario ai nostri lettori?
R - Bisogna tenere sempre a mente che la missione fa parte del dna del cristiano. “La Chiesa è per sua natura missionaria”, ci ricorda il Concilio Vaticano II. L’attività missionaria non è uno dei tanti ambiti dell’azione pastorale, ma la spina dorsale di ogni attività che la Chiesa svolge nel mondo. Quando entriamo in quest’ottica, l’orizzonte della missione valica i confini della nostra limitata esperienza quotidiana, e, sollecitati dalla forza dello Spirito che anima da sempre l’azione della Chiesa, scopriamo i nuovi orizzonti di evangelizzazione, che ci spingono ad andare, anche lontano, per condividere con tutti la gioia della nostra fede in Gesù Cristo.
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