“Dolci” ricordi a 30 anni dalla morte di Danilo, attivista pacifico in Sicilia, dove predomina, oggi come allora, la violenza mafiosa
di Paola Bisconti
Sono trascorsi poco più di 15 anni da quando Danilo Dolci, sociologo, poeta, educatore e attivista della non violenza, è scomparso lasciando un’eredità immensa ricca di principi, teorie, insegnamenti, esempi concreti di una vita nobilissima. Sono rare le persone come quest’uomo, che fino al 30 dicembre del 1997 ha lottato senza sosta per il rispetto dei diritti dei suoi concittadini, nonostante non fosse di origine siciliana ma di Sesana, un tempo in provincia di Trieste e ora cittadina slovena. Come slovena era la madre, Meli Kontelj, sposata però con Enrico, che di mestiere faceva il ferroviere in Sicilia, ed è il motivo per cui Danilo cresce e opera nell'isola.
In quegli anni, nel secondo dopoguerra, nella gran parte dei paesi della regione occidentale, tra cui Partinico e Trappeto, la popolazione era costretta a subire una gestione per nulla democratica dell’acqua, bene essenziale per la vita degli abitanti che si cibavano dei prodotti coltivati nelle proprie terre: la criminalità organizzata infatti aveva preso il controllo della risorsa idrica. Per questo Danilo Dolci, che già durante gli anni del fascismo si era dimostrato molto attivo strappando i manifesti del regime e rifiutandosi di indossare la divisa repubblichina imposta da Mussolini (per assistere invece gli orfani di guerra insieme a Don Zeno nell’esperienza di Nomadelfia), decise che non si poteva rimanere impassibili di fronte ad un continuo abuso di potere e alla corruzione diffusa fra i politici che amministravano le città. E così, sostenuto da gran parte dei siciliani stanchi di subire soprusi, organizza le prime proteste, come il clamoroso digiuno fatto sullo stesso lettino di Benedetto Barretta, un bambino morto di fame qualche mese prima. L’astinenza fu interrotta in seguito alle promesse delle autorità di risolvere l’emergenza povertà.
La tenacia del leader delle ribellioni fu sostenuta da donne e uomini che misero a punto una serie di progetti, tra cui la costruzione della diga sul fiume Jato che consentì così a 36.100 agricoltori di coltivare una terra fino ad allora aridissima. Il lavoro fu intenso e difficile e non mancarono le difficoltà create da chi non tollerava questa democrazia. Danilo tuttavia non si arrese mai, ricevendo l’appoggio anche di Peppino Impastato, all’epoca inviato del giornale L’Idea, e di altre centinaia di siciliani nella celebre Marcia per la pace organizzata nel 1967.
Fra le sue proteste c’è anche lo sciopero della fame collettivo dei pescatori contro la pesca di frodo tollerata dallo Stato, manifestazione poi sospesa dalle forze armate che dichiararono illegale il digiuno pubblico. Ma questo non intimorì decine di disoccupati che organizzarono uno sciopero “alla rovescia”: proprio loro che non avevano un impiego decisero di scioperare lavorando. Tutte forme di ribellione decisamente provocatorie ma pacifiche, come la fondazione di una radio libera, che per la prima volta consentiva ai cittadini di esprimersi senza restrizioni e di rivelare una verità spesso camuffata che, come dichiarava Danilo Dolci, avrebbe potuto condurre ad un’involuzione democratica. Grazie al suo straordinario impegno l’attivista fu insignito del premio Lenin per la pace, in Unione Sovietica, e in questa circostanza dichiarò senza esitazione che lo accettava pur non essendo un comunista, perché Dolci odiava fortemente qualsiasi forma di potere.
L’esperienza e il pensiero di Danilo Dolci sono oggi divulgati attraverso numerosi articoli, tesi a lui dedicate, manifestazioni di commemorazione e libri, alcuni dei quali raccolgono i suoi preziosi scritti, come “Il potere e l’acqua”, pubblicato nel 2010 e curato da Giusy Giani e Giordano Bruschi, con prefazione di Nando Dalla Chiesa. A Palermo inoltre è ancora attivo il “Centro per lo Sviluppo Creativo” intestato all’attivista, così come le cooperative da lui fondate e il centro educativo sperimentale di Mirto “Borgo di Dio”. Ma il ricordo migliore è affidato ai suoi cinque figli (Libera, Cielo, Amico, Chiara e Daniela), nati dal matrimonio con Vincenzina avvenuto nel 1953, e ai parenti di Danilo: sono loro i testimoni attivi dell’insegnamento di un grande uomo, sostenitore della pace e della non violenza. Nei prossimi giorni pubblicheremo proprio un’intervista a Miriam Dolci, sorella di Danilo.
di Paola Bisconti
Sono trascorsi poco più di 15 anni da quando Danilo Dolci, sociologo, poeta, educatore e attivista della non violenza, è scomparso lasciando un’eredità immensa ricca di principi, teorie, insegnamenti, esempi concreti di una vita nobilissima. Sono rare le persone come quest’uomo, che fino al 30 dicembre del 1997 ha lottato senza sosta per il rispetto dei diritti dei suoi concittadini, nonostante non fosse di origine siciliana ma di Sesana, un tempo in provincia di Trieste e ora cittadina slovena. Come slovena era la madre, Meli Kontelj, sposata però con Enrico, che di mestiere faceva il ferroviere in Sicilia, ed è il motivo per cui Danilo cresce e opera nell'isola.
In quegli anni, nel secondo dopoguerra, nella gran parte dei paesi della regione occidentale, tra cui Partinico e Trappeto, la popolazione era costretta a subire una gestione per nulla democratica dell’acqua, bene essenziale per la vita degli abitanti che si cibavano dei prodotti coltivati nelle proprie terre: la criminalità organizzata infatti aveva preso il controllo della risorsa idrica. Per questo Danilo Dolci, che già durante gli anni del fascismo si era dimostrato molto attivo strappando i manifesti del regime e rifiutandosi di indossare la divisa repubblichina imposta da Mussolini (per assistere invece gli orfani di guerra insieme a Don Zeno nell’esperienza di Nomadelfia), decise che non si poteva rimanere impassibili di fronte ad un continuo abuso di potere e alla corruzione diffusa fra i politici che amministravano le città. E così, sostenuto da gran parte dei siciliani stanchi di subire soprusi, organizza le prime proteste, come il clamoroso digiuno fatto sullo stesso lettino di Benedetto Barretta, un bambino morto di fame qualche mese prima. L’astinenza fu interrotta in seguito alle promesse delle autorità di risolvere l’emergenza povertà.
La tenacia del leader delle ribellioni fu sostenuta da donne e uomini che misero a punto una serie di progetti, tra cui la costruzione della diga sul fiume Jato che consentì così a 36.100 agricoltori di coltivare una terra fino ad allora aridissima. Il lavoro fu intenso e difficile e non mancarono le difficoltà create da chi non tollerava questa democrazia. Danilo tuttavia non si arrese mai, ricevendo l’appoggio anche di Peppino Impastato, all’epoca inviato del giornale L’Idea, e di altre centinaia di siciliani nella celebre Marcia per la pace organizzata nel 1967.
Fra le sue proteste c’è anche lo sciopero della fame collettivo dei pescatori contro la pesca di frodo tollerata dallo Stato, manifestazione poi sospesa dalle forze armate che dichiararono illegale il digiuno pubblico. Ma questo non intimorì decine di disoccupati che organizzarono uno sciopero “alla rovescia”: proprio loro che non avevano un impiego decisero di scioperare lavorando. Tutte forme di ribellione decisamente provocatorie ma pacifiche, come la fondazione di una radio libera, che per la prima volta consentiva ai cittadini di esprimersi senza restrizioni e di rivelare una verità spesso camuffata che, come dichiarava Danilo Dolci, avrebbe potuto condurre ad un’involuzione democratica. Grazie al suo straordinario impegno l’attivista fu insignito del premio Lenin per la pace, in Unione Sovietica, e in questa circostanza dichiarò senza esitazione che lo accettava pur non essendo un comunista, perché Dolci odiava fortemente qualsiasi forma di potere.
L’esperienza e il pensiero di Danilo Dolci sono oggi divulgati attraverso numerosi articoli, tesi a lui dedicate, manifestazioni di commemorazione e libri, alcuni dei quali raccolgono i suoi preziosi scritti, come “Il potere e l’acqua”, pubblicato nel 2010 e curato da Giusy Giani e Giordano Bruschi, con prefazione di Nando Dalla Chiesa. A Palermo inoltre è ancora attivo il “Centro per lo Sviluppo Creativo” intestato all’attivista, così come le cooperative da lui fondate e il centro educativo sperimentale di Mirto “Borgo di Dio”. Ma il ricordo migliore è affidato ai suoi cinque figli (Libera, Cielo, Amico, Chiara e Daniela), nati dal matrimonio con Vincenzina avvenuto nel 1953, e ai parenti di Danilo: sono loro i testimoni attivi dell’insegnamento di un grande uomo, sostenitore della pace e della non violenza. Nei prossimi giorni pubblicheremo proprio un’intervista a Miriam Dolci, sorella di Danilo.
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