La Perfetta Letizia intervista in esclusiva Luciano Di Tizio, presidente del WWF Abruzzo
di Patrizio Ricci
E’ dal 1907 che Bussi sul Tirino, un piccolo paesino in Abruzzo, convive con l’industria chimica. Nel tempo si avvicendano in zona varie società e la produzione è la più svariata: alluminio, silicio, acido benzoico, gas nervino, cloro, clorometani, cloruro ammonico, piombo tetraetile e trielina. Nel 1982 vengono creati 8 nuovi acquedotti proprio all’altezza dell’industria che, scaricando abusivamente i propri rifiuti tossici, inquinano l’acqua a discapito dei cittadini. Nella primavera del 2007 il Corpo Forestale scopre 4 discariche interrate a pochi metri dal fiume Pescara: è una superficie ampia quanto venti campi di calcio, per un totale di 500.000 tonnellate di rifiuti. Intervistiamo su tutti questi temi Luciano Di Tizio, presidente del WWF Abruzzo.
D - Dr. Di Tizio, da più di 40 anni in Abruzzo le grandi industrie chimiche (prima la Montecatini, poi la Montedison) si sono sbarazzate ‘sbrigativamente’ dei rifiuti chimici, incuranti delle conseguenze. Queste scorie sono ancora lì appena sotto terra, ed hanno contaminato le falde acquifere che servivano la valle del Pescara. Qual è la dimensione del problema e quale l’entità dei danni sull’ambiente e sulla popolazione?
R - I danni sull’ambiente sono enormi e si protrarranno per anni. Bisognerà prima essere certi che sia davvero impedita ogni forma di ulteriore inquinamento e poi attendere anni ed anni prima che il danno arrecato sia cancellato del tutto, ammesso che ciò sia davvero possibile. I danni alla popolazione non sono quantificabili, in assenza di un’indagine epidemiologica e di qualsiasi casistica medica relativa al “prima” e al “dopo” rispetto ai fenomeni inquinanti che comunque per Bussi e per la Val Pescara persistono da decenni.
D - Il Ministero dell’Ambiente per bonificare l’area ha stanziato 50 milioni di euro con la legge 10/2011. La recente trasmissione Report di RaiTre ha spiegato al grande pubblico televisivo come si sta procedendo al riguardo: l’intenzione del commissario del fiume Aterno e Pescara, Adriano Goio, è quella di chiudere tutto il suolo contaminato in un "sarcofago", a tempo indeterminato, come soluzione considerata definitiva. Per ora il provvedimento messo in opera è stato un capping: si è steso un telo sintetico impermeabile sulla superficie della discarica (circa 4 ettari) e poi si è ricoperto di terreno. Lo scopo è quello di impedire che la penetrazione delle acque piovane sulla discarica porti con sé le sostanze inquinanti nelle falde acquifere sottostanti. Tuttavia si è rilevato che il materiale inquinato affonda quasi completamente nelle falde sotterranee, per una profondità di circa 6 metri. Qual è la posizione del WWF Abruzzo a riguardo?
R - Il commissario Goio, nell’intervista che lei cita, ha detto, su precisa domanda del giornalista, che per disinquinare occorrerebbero 80 milioni. Se questa cifra è esatta, e non c’è ragione di dubitare che lo sia, è auspicabile che si proceda in tal senso: 50 milioni ci sono già, altri 30 è certamente possibile trovarli per uno scopo così importante come il disinquinamento di un’area ad immediato ridosso di un fiume e al di sopra di una falda idrica che rifornisce d’acqua potabile quasi metà della popolazione abruzzese. Del resto appare ormai evidente che il capping poteva essere solo una soluzione tampone mentre il “sarcofago”, che lascerebbe il materiale inquinante là dov’è, non appare una soluzione sicura, meno che mai a lungo termine. La rimozione dei rifiuti e la loro collocazione in una discarica speciale attrezzata e controllata è la soluzione ideale ed è questo, secondo noi, l’obiettivo per il quale si deve lavorare. Chi ha inquinato, non credo ci siano dubbi in proposito, può e deve essere chiamato a pagare le spese del disinquinamento.
D - In un’epoca in cui, per i tanti cambiamenti climatici, le risorse idriche si fanno sempre più rare ed esigue, le acque sono riconosciute come bene pubblico. Ciononostante, sembra che nella zona inquinata (un’area che, ricordiamo, è ricchissima di acque) si voglia passare alla reindustrializzazione e bonificare solo l’area dove dovrebbe sorgere un cementificio. Tutto ciò appare incomprensibile: ci dica che non è vero…
R - Le dico invece che è vero: domina in Italia la convinzione che si possa passare oltre ogni regola pur di creare occupazione, anche a costo di condannare gli operai, le loro famiglie e il territorio a subire pesanti inquinamenti, con conseguenze anche mortali. Ci sono stati in proposito decine di esempi. In altri Paesi europei, al contrario, la salute viene messa in primo piano e, guarda caso, ci sono stabilimenti industriali che danno lavoro mantenendo i livelli di inquinamento nei limiti di legge, limiti che spesso sono più severi dei nostri. È certamente importante sorreggere l’economia, ma questo si può ottenere in tanti modi diversi, e non soltanto con industrie a rischio. A Bussi, secondo il WWF, la priorità è disinquinare, per il rispetto che si deve a chi in quel territorio vive. Le scelte economiche vanno fatte coraggiosamente, guardando al futuro e non al passato. La green economy è una bella realtà in molte regioni europee, in Italia abbiamo un ambiente ancora splendido, a dispetto dei tanti errori di gestione, ma siamo purtroppo poco capaci di trarne profitto.
D - Il processo che ne è seguito, ancora in corso, vede imputate 19 persone tra ex vertici delle aziende: l’accusa è disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque. Tuttavia il procedimento va a rilento: le aziende ‘cavillano’ e fanno di tutto per arrivare alla prescrizione. Per lei, che segue il processo da vicino, quali sono le maggiori difficoltà che si stanno incontrando perché si faccia chiarezza?
R - Ho qualche difficoltà a parlare di un processo in corso, con tutto il rispetto per la magistratura e per i giudici, spesso in Italia ultima speranza a fronte di un malaffare dilagante. Il processo, nonostante sia trascorso molto tempo, è in una fase preliminare ma già a fine gennaio, con la prossima udienza, si dovrebbero avere le prime importanti risposte. Al di là degli interessi contrapposti, legittimi, dei difensori e di quelli, ovviamente altrettanto legittimi, della pubblica accusa e delle parti civili, la speranza è che si arrivi presto ad una sentenza chiarificatrice. Quel che è accaduto a Bussi è troppo clamoroso perché sia accettabile una conclusione diversa.
Dispiace che la politica e le istituzioni, piuttosto che utilizzare i soldi messi a disposizione per la bonifica e la delocalizzazione della discarica, appaiano più interessate ai ‘saldi di stagione’ che a soluzioni definitive. Ci auguriamo che prevalga l’interesse della collettività: ringraziamo intanto il dr. Di Tizio per la sua disponibilità e gli auguriamo buon lavoro.
di Patrizio Ricci
E’ dal 1907 che Bussi sul Tirino, un piccolo paesino in Abruzzo, convive con l’industria chimica. Nel tempo si avvicendano in zona varie società e la produzione è la più svariata: alluminio, silicio, acido benzoico, gas nervino, cloro, clorometani, cloruro ammonico, piombo tetraetile e trielina. Nel 1982 vengono creati 8 nuovi acquedotti proprio all’altezza dell’industria che, scaricando abusivamente i propri rifiuti tossici, inquinano l’acqua a discapito dei cittadini. Nella primavera del 2007 il Corpo Forestale scopre 4 discariche interrate a pochi metri dal fiume Pescara: è una superficie ampia quanto venti campi di calcio, per un totale di 500.000 tonnellate di rifiuti. Intervistiamo su tutti questi temi Luciano Di Tizio, presidente del WWF Abruzzo.
D - Dr. Di Tizio, da più di 40 anni in Abruzzo le grandi industrie chimiche (prima la Montecatini, poi la Montedison) si sono sbarazzate ‘sbrigativamente’ dei rifiuti chimici, incuranti delle conseguenze. Queste scorie sono ancora lì appena sotto terra, ed hanno contaminato le falde acquifere che servivano la valle del Pescara. Qual è la dimensione del problema e quale l’entità dei danni sull’ambiente e sulla popolazione?
R - I danni sull’ambiente sono enormi e si protrarranno per anni. Bisognerà prima essere certi che sia davvero impedita ogni forma di ulteriore inquinamento e poi attendere anni ed anni prima che il danno arrecato sia cancellato del tutto, ammesso che ciò sia davvero possibile. I danni alla popolazione non sono quantificabili, in assenza di un’indagine epidemiologica e di qualsiasi casistica medica relativa al “prima” e al “dopo” rispetto ai fenomeni inquinanti che comunque per Bussi e per la Val Pescara persistono da decenni.
D - Il Ministero dell’Ambiente per bonificare l’area ha stanziato 50 milioni di euro con la legge 10/2011. La recente trasmissione Report di RaiTre ha spiegato al grande pubblico televisivo come si sta procedendo al riguardo: l’intenzione del commissario del fiume Aterno e Pescara, Adriano Goio, è quella di chiudere tutto il suolo contaminato in un "sarcofago", a tempo indeterminato, come soluzione considerata definitiva. Per ora il provvedimento messo in opera è stato un capping: si è steso un telo sintetico impermeabile sulla superficie della discarica (circa 4 ettari) e poi si è ricoperto di terreno. Lo scopo è quello di impedire che la penetrazione delle acque piovane sulla discarica porti con sé le sostanze inquinanti nelle falde acquifere sottostanti. Tuttavia si è rilevato che il materiale inquinato affonda quasi completamente nelle falde sotterranee, per una profondità di circa 6 metri. Qual è la posizione del WWF Abruzzo a riguardo?
R - Il commissario Goio, nell’intervista che lei cita, ha detto, su precisa domanda del giornalista, che per disinquinare occorrerebbero 80 milioni. Se questa cifra è esatta, e non c’è ragione di dubitare che lo sia, è auspicabile che si proceda in tal senso: 50 milioni ci sono già, altri 30 è certamente possibile trovarli per uno scopo così importante come il disinquinamento di un’area ad immediato ridosso di un fiume e al di sopra di una falda idrica che rifornisce d’acqua potabile quasi metà della popolazione abruzzese. Del resto appare ormai evidente che il capping poteva essere solo una soluzione tampone mentre il “sarcofago”, che lascerebbe il materiale inquinante là dov’è, non appare una soluzione sicura, meno che mai a lungo termine. La rimozione dei rifiuti e la loro collocazione in una discarica speciale attrezzata e controllata è la soluzione ideale ed è questo, secondo noi, l’obiettivo per il quale si deve lavorare. Chi ha inquinato, non credo ci siano dubbi in proposito, può e deve essere chiamato a pagare le spese del disinquinamento.
D - In un’epoca in cui, per i tanti cambiamenti climatici, le risorse idriche si fanno sempre più rare ed esigue, le acque sono riconosciute come bene pubblico. Ciononostante, sembra che nella zona inquinata (un’area che, ricordiamo, è ricchissima di acque) si voglia passare alla reindustrializzazione e bonificare solo l’area dove dovrebbe sorgere un cementificio. Tutto ciò appare incomprensibile: ci dica che non è vero…
R - Le dico invece che è vero: domina in Italia la convinzione che si possa passare oltre ogni regola pur di creare occupazione, anche a costo di condannare gli operai, le loro famiglie e il territorio a subire pesanti inquinamenti, con conseguenze anche mortali. Ci sono stati in proposito decine di esempi. In altri Paesi europei, al contrario, la salute viene messa in primo piano e, guarda caso, ci sono stabilimenti industriali che danno lavoro mantenendo i livelli di inquinamento nei limiti di legge, limiti che spesso sono più severi dei nostri. È certamente importante sorreggere l’economia, ma questo si può ottenere in tanti modi diversi, e non soltanto con industrie a rischio. A Bussi, secondo il WWF, la priorità è disinquinare, per il rispetto che si deve a chi in quel territorio vive. Le scelte economiche vanno fatte coraggiosamente, guardando al futuro e non al passato. La green economy è una bella realtà in molte regioni europee, in Italia abbiamo un ambiente ancora splendido, a dispetto dei tanti errori di gestione, ma siamo purtroppo poco capaci di trarne profitto.
D - Il processo che ne è seguito, ancora in corso, vede imputate 19 persone tra ex vertici delle aziende: l’accusa è disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque. Tuttavia il procedimento va a rilento: le aziende ‘cavillano’ e fanno di tutto per arrivare alla prescrizione. Per lei, che segue il processo da vicino, quali sono le maggiori difficoltà che si stanno incontrando perché si faccia chiarezza?
R - Ho qualche difficoltà a parlare di un processo in corso, con tutto il rispetto per la magistratura e per i giudici, spesso in Italia ultima speranza a fronte di un malaffare dilagante. Il processo, nonostante sia trascorso molto tempo, è in una fase preliminare ma già a fine gennaio, con la prossima udienza, si dovrebbero avere le prime importanti risposte. Al di là degli interessi contrapposti, legittimi, dei difensori e di quelli, ovviamente altrettanto legittimi, della pubblica accusa e delle parti civili, la speranza è che si arrivi presto ad una sentenza chiarificatrice. Quel che è accaduto a Bussi è troppo clamoroso perché sia accettabile una conclusione diversa.
Dispiace che la politica e le istituzioni, piuttosto che utilizzare i soldi messi a disposizione per la bonifica e la delocalizzazione della discarica, appaiano più interessate ai ‘saldi di stagione’ che a soluzioni definitive. Ci auguriamo che prevalga l’interesse della collettività: ringraziamo intanto il dr. Di Tizio per la sua disponibilità e gli auguriamo buon lavoro.
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