mercoledì, gennaio 09, 2013
«La nostra nazione è giunta ad un punto di svolta. Il cambiamento sta avvenendo molto velocemente e dobbiamo essere cauti. Ci troviamo su di un terreno assai scivoloso». L’arcivescovo di Yangon, monsignor Charles Maung Bo, descrive ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il momento attuale della Birmania, a pochi giorni dal sessantacinquesimo anniversario dell’indipendenza celebrato il quattro gennaio scorso.

«La principale sfida consisterà nell’educare il nostro popolo e rafforzarne la fede – continua il presule – Dopo quarant’anni di oppressione, dobbiamo apprendere il vero significato di libertà». La nuova apertura del governo birmano si accompagna a un maggiore riconoscimento del fattore religioso nella costruzione del Paese. «L’attuale governo e il leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, sono consapevoli dell’influenza che noi leader religiosi esercitiamo» . Una responsabilità che ha spinto i rappresentanti della Chiesa cattolica e delle altre denominazioni cristiane a cercare insieme una via per contribuire alla promozione di valori quali l’integrità, il perdono e la riconciliazione. Il prossimo incontro, in programma dal 14 al 16 di gennaio, è organizzato dall’arcidiocesi di Yangon in collaborazione con il Consiglio delle Chiese del Myanmar (MCC).

L’arcivescovo riferisce di passi in avanti nei rapporti con le altre religioni. «In passato la collaborazione tra le diversi fedi era vista con sospetto e ostacolata dal regime militare. Ora che siamo più liberi, auspichiamo un maggiormente proficuo dialogo interreligioso». L’85% dei 55milioni di birmani professa il buddismo. I cristiani sono circa il 7% della popolazione - i cattolici circa l’1,3%, ovvero 750mila – e i musulmani il 3,8%. Tuttavia in alcune regioni si registrano elevate percentuali di fedeli cristiani: negli stati di Chin (72,7%), Kayah (39,7%) e Kachin (36.4%); mentre in quello di Rakhine il 28,4% della popolazione è di religione islamica.

Il processo di piccole riforme volto a riabilitare la Birmania agli occhi della comunità internazionale non ha però avuto effetti sulla posizione del regime nei confronti dell’etnia Kachin, in maggioranza cristiana, tuttora vittima di violente persecuzioni, e della minoranza musulmana dei Rohingya. E la Chiesa continua a far fronte a numerose sfide e costrizioni. «Dobbiamo lavorare con il peso di limitazioni inconcepibili per i Paesi occidentali - riferisce ad ACS monsignor Francis Daw Tang, vescovo di Myitkyina, capoluogo dello stato Kachin - Per sviluppo economico e libertà politica, il Myanmar è tra gli ultimi Paesi del mondo». La piccola diocesi dello stato birmano settentrionale riesce ad alimentare la fede e la speranza dei credenti unicamente grazie al supporto di opere come Aiuto alla Chiesa che Soffre. «ACS cammina al nostro fianco e condivide con noi le nostre battaglie, donandoci il coraggio di superare ogni prova e difficoltà».

Nel 2011 Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato alla Chiesa in Myanmar più di un milione di euro.

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