lunedì, gennaio 14, 2013
Si registrano pareri discordanti sull’apertura alle donne in Arabia Saudita nel Consiglio della Shura, l’organo consultivo in grado di proporre - e non varare - provvedimenti, finora aperto solo agli uomini.

Radio Vaticana - Saranno 30 le donne che vi prenderanno parte – costituiranno il 20% dell’assemblea - entreranno da un ingresso separato e saranno coperte dal velo. Pur apprezzando il cambiamento, molti esperti hanno espresso rammarico perché sul fronte dei diritti concessi alle donne si poteva fare di più. Benedetta Capelli ha chiesto un parere a Renzo Guolo, docente di Sociologia dell'islam all’università di Padova: ascolta

R. – E’ un passo simbolico, un primo passo di apertura che segue già ad alcune aperture fatte negli anni scorsi, quando i regnanti dell’Arabia Saudita si sono resi conto che non potevano tenere troppo schiacciato il pedale sul freno della libertà, anche quella femminile, perché questo avrebbe potuto esporre il regno a conseguenze che si sono viste anche in altri Paesi. Quindi, è stata una sorta di mossa preventiva per evitare che i processi della cosiddetta primavera araba investissero anche l’Arabia Saudita.

D. – La condizione femminile in Arabia Saudita presenta aspetti molto problematici, anche se, come diceva lei, negli ultimi anni qualche passo in più è stato fatto. Sta crescendo, però, anche una coscienza diversa all’interno del Paese. Su Twitter dopo questa apertura da parte del re, in realtà molti hanno espresso disagio perché si poteva fare qualcosa di più…

R. – E’ chiaro. La libertà femminile è appena agli inizi, questo è indubbio. C’è una serie di problematiche che abbiamo visto negli anni scorsi, pensiamo solo al permesso di guidare la macchina o ai diritti legati a una concezione molto rigida della sharia, che penalizza la donna. E’ chiaro che le aperture sono ancora troppo poco profonde, ma si tratta di un segnale. Bisogna capire se all’interno delle élite - perché purtroppo bisogna parlare di élite – delle donne che ruotano intorno agli ambienti della monarchia saudita, come è avvenuto nel passato sempre dall’interno, si può immaginare una forte spinta, una forte pressione che possa indurre a ulteriori passi in avanti rispetto alla condizione femminile.

D. - Nel passato queste aperture avevano irritato i leader religiosi wahabiti?

R. – Sì e anche su questo non saranno troppo d’accordo. Dobbiamo pensare che il clero wahabita è molto restio a qualsiasi possibilità di aprire la strada delle libertà femminili. Ma è evidente che il re in questa fase si pone con un ruolo di mediazione tra la necessità di mantenere una certa legittimità religiosa, che è conferita dagli ulama, e le pressioni che vengono all’interno in particolare dagli ambienti legati alla monarchia, per aprire un po’ più complessivamente il sistema. E’ chiaro che non potendoci essere una vera e propria apertura politica nel senso di pluralismo politico effettivo, questo tipo di apertura arriva sul terreno dei diritti anche se è, ancora una volta, in modo troppo limitato, ma simbolicamente è un segno. E’ un solco che andrà approfondito se i movimenti all’interno dell’Arabia Saudita avranno la forza per camminare rapidamente su questo solco appena tracciato.

D. – Soltanto qualche giorno fa, invece, le Nazioni Unite hanno espresso sconcerto per l’uccisione di una babysitter cingalese accusata di infanticidio ma ai tempi dei fatti era minorenne. Dunque due anime che si esprimono in questo modo all’interno del Paese…

R. – Sì, sicuramente, ci sono due anime. Il problema è vedere quale delle due riuscirà a vincere dopo questa lunga fase di transizione.


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