sabato, gennaio 26, 2013
I soldati maliani e francesi hanno preso il controllo di Hombori, una località che dista 920 chilometri da Bamako, lungo la strada che li sta portando verso le regioni settentrionali già bersagliate da raid aerei e prossimi teatri dei combattimenti di terra con i gruppi armati islamici. 

Misna - La notizia della nuova conquista ottenuta dalle truppe governative – partite da Sévaré e Douentza – nell’ambito dell’operazione Serval è stata confermata da fonti di sicurezza maliane e da alcuni abitanti di Hombori. La prossima tappa dell’avanzata, in base alle informazioni diffuse dalla stampa locale e internazionale, dovrebbe essere Gao, 200 chilometri più a nord. Ma i militari di Parigi e Bamako avrebbero aperto un secondo fronte, a partire da Diabali (400 chilometri a ovest della capitale), per raggiungere Léré, porta di accesso a Timbuctù (nord-est), uno dei bastioni dei jihadisti. I due capoluoghi del nord sono da giorni oggetto di bombardamenti francesi e, secondo fonti concordanti, sarebbero stati abbandonati da miliziani e da una parte della popolazione. Inoltre 150 soldati del Burkina Faso sono arrivati nel centro del Mali, a Markala, da dove raggiungeranno unità francesi dispiegate più a nord, verso il confine con il Niger.

All’avanzata congiunta franco-maliana i gruppi armati hanno risposto con la distruzione di un importante ponte nella località di Tassiga, a 60 chilometri dal confine col Niger, dal quale transitano abitualmente beni e persone. E’ proprio quel ponte che avrebbero dovuto attraversare i soldati di Niamey e quelli inviati da N’Djamena, che attualmente si trovano in territorio nigerino, pronti a puntare su Gao per dar man forte ai militari maliani e francesi. Nella notte tra mercoledì e giovedì, gli elicotteri francesi avevano bombardato alcune posizioni dei jihadisti a Ansongo, a soli 40 chilometri da Tassiga. Secondo alcuni osservatori altre infrastrutture rischiano di essere colpite dai ribelli, in segno di rappresaglia per le distruzioni da loro subite; tra queste ci potrebbe essere un altro ponte cruciale per le future operazioni militari nella zona, quello di Wabaria, proprio a Gao.

Lo spostamento progressivo del fronte delle operazioni armate fa crescere i timori per la sorte dei civili, già colpiti da mesi da una grave crisi umanitaria. A causa dei bombardamenti e degli spostamenti di uomini armati, le attività degli operatori funzionano a rilento laddove pure non sono già state interrotte, anche perché i rischi per la propria sicurezza sono aumentati. Nella loro ritirata dal centro-ovest del paese verso il nord, i ribelli avrebbero disseminato ordigni in diverse località precedentemente occupate.

A Gao, dove i ribelli hanno interrotto la rete di telecomunicazioni, isolando di fatto la città, l’organizzazione ‘Action contre la faim’ ha riferito di un crescente numero di casi di malnutrizione acuta. A Timbuctù, definita dai media una “città fantasma”, la poca gente rimasta ha detto che “non c’è più acqua né elettricità”, due servizi vitali interrotti dagli stessi jihadisti prima di abbandonare la città patrimonio dell’umanità per rifugiarsi a Kidal (estremo nord-est). Anche a Timbuctù sono andate danneggiate le infrastrutture delle telecomunicazioni, un fatto che rende impossibile qualsiasi collegamento telefonico con chi si trova ancora sul posto. Nei bombardamenti francesi degli ultimi giorni sarebbe stato distrutto un centro di comando di Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) e un palazzo che si era fatto costruire l’ex guida libica Muammar Gheddafi.

Oltre a difficoltà materiali nella vita quotidiana, i civili devono anche fare i conti con violenze e violazioni dei propri diritti che sarebbero inflitte dai soldati di Bamako. Si stanno moltiplicando denunce a carico dell’esercito maliano, accusato di gravi crimini commessi in più località del centro del paese riconquistate ai ribelli nei giorni scorsi, tra cui Sévaré e il villaggio di Seribala, non lontano da Niono. Le presunte vittime appartengono alle comunità tuareg e arabe, assimilate dai militari agli insorti islamici, finite al centro di atti di rappresaglia. Il governo di transizione di Bamako ha chiesto alle proprie Forze armate e di sicurezza di “rispettare alla lettera i diritti umani e le disposizioni del diritto umanitario internazionale” si legge in un comunicato rilanciato dal ‘Journal du Mali’.

Intanto nel confinante Niger, la multinazionale dell’uranio Areva ha deciso di rafforzare il dispositivo di sicurezza per proseguire le proprie attività nei giacimenti miliardari di Arlit, senza precisare se il compito potrebbe essere affidato a forze speciali francesi. Quattro francesi dipendenti di Areva e della società appaltatrice Satom sono ancora nelle mani di Aqmi, che li ha rapiti nel settembre 2010, proprio ad Arlit.

Sul versante diplomatico, l’offensiva in corso dall’11 gennaio nell’ex colonia francese sarà al centro di vari appuntamenti previsti nel fine settimana. Ad Abidjan la Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) ha convocato una riunione urgente dei capi di stato maggiore dei 15 paesi membri per confrontarsi sul dispiegamento in corso di truppe africane, nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma), che a pieno regime conterà circa 6000 soldati. Il Mali sarà anche il tema portante del XX vertice dell’Unione Africana (UA), che si aprirà domenica ad Addis Abeba, e di una conferenza dei donatori per raccogliere i fondi necessari al dispiegamento della Misma.

Da Bruxelles il coordinatore europeo per l’anti-terrorismo, Gilles de Kerchove, ha avvertito che nel Sahel si preannuncia “una lotta lunga ed estesa che andrà ben oltre le attuali operazioni militari”, aggiungendo che “interventi civili devono accompagnare le azioni armate per garantire la sicurezza delle popolazioni nel nord del Mali (…) e monitorare i campi sfollati nella vicina Mauritania”. Secondo de Kerchove bisogna rafforzare la cooperazione regionale tra Mali, Niger, Mauritania ma anche Senegal e Nigeria e, allo stesso tempo, “sostenere la creazione di forze di sicurezza e di una giustizia pronte a far fronte alla sfida del terrorismo” nel cuore dell’Africa. In base a informazioni raccolte dai servizi di informazioni dell’Unione Europea, nel Sahel ci sarebbero tra i 500 e i 1000 jihadisti; in origine di nazionalità algerina, prima che Aqmi reclutasse localmente elementi mauritani, nigerini e senegalesi.


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