Non si spegne la tensione in Egitto. Dopo i disordini di ieri, a due anni dalla caduta dell’ex presidente Mubarak, oggi ad infiammare la folla è arrivata la sentenza sugli scontri tra tifosi avvenuti a febbraio scorso a Port Said. Ventuno le 21 condanne a morte per la strage di tifosi nello stadio locale. Oltre venti le vittime di questa nuova giornata di sangue.
Radio Vaticana - Bendetta Capelli ne ha parlato con Luciano Ardesi, esperto di nord Africa:
R. - In questo momento, qualsiasi occasione non può che accentuare la tensione, già piuttosto alta in questi ultimi mesi. Quindi, il secondo anniversario della cacciata di Mubarak ed il malessere diffuso sul piano economico e sociale, stanno creando una miscela esplosiva, e quello che sta succedendo a Piazza Tahrir, a Port Said ed anche nelle altre città e località egiziane, sono lo specchio di questa realtà.
D. - Nel mirino dei manifestanti c’è soprattutto la polizia, perché si ritiene che gli incidenti di un anno fa siano stati pianificati proprio per ritorsione…
R. - Non è mai stata fatta chiarezza su quello che è successo nello stadio, però sicuramente i manifestanti hanno avuto un interesse ad accentuare questa interpretazione. Ma, io credo che ci sia, in fondo a tutto questo, un’insoddisfazione generale, che sta scatenando una violenza da parte dei manifestanti. Violenza di per sé non giustificata, ma la protesta è sicuramente sacrosanta; poi il governo di Morsi non ha affatto mantenuto le promesse. Tra l’altro, siamo già entrati in campagna elettorale, con le elezioni del prossimo Parlamento in aprile e con una Costituzione, approvata attraverso un referendum non sempre trasparente, sulla quale non c’è stata la possibilità di un vero dialogo.
D. - L’Egitto, Paese non pacificato. Abbiamo detto che a livello politico c’è molta incertezza, ma è anche un Paese che a livello economico - possiamo dire - è sul baratro. Sono questi i due elementi che pesano e che fanno, a questo punto, infiammare la rabbia dei manifestanti?
R. - Sì, esatto. Proprio questi due elementi non si vede come possano essere cambiati nel breve periodo. Morsi, ripeto, ha dato dimostrazione di non essere capace di governare la crisi economica e sociale del Paese, che non è nuova, non nasce certamente oggi, anzi nasce come una delle cause della rivolta e della rivoluzione egiziana. Questa incapacità si è manifestata più volte, anche per mancanza di volontà di mediazione politica, che certamente avrebbe posto l’opinione pubblica egiziana e i movimenti di protesta su un altro piano; avrebbe incanalato la protesta in ambiti diversi. Oggi, non rimane che la protesta, con tutte le conseguenze che questo può comportare.
D. - Quali sono le anime che potrebbero emergere in questa fase politica? Piazza Tahrir, in un certo senso, è stata una prova generale per i Fratelli Musulmani; adesso, a due anni di distanza, quali forze si stanno mettendo in evidenza?
R. - Questo è il dramma forse più grande dell’Egitto in questo momento. Non ci sono forze organizzate, in grado di contrapporsi in maniera efficace e continuativa. Il pericolo è che la protesta si manifesti con violenze ripetute, magari anche in diverse parti del Paese, però questa protesta rischia di restare ancora una volta senza un’organizzazione, senza una struttura che dia coerenza e continuità. Quindi, il rischio è che la repressione, che il presidente sta mettendo in pratica senza economie, potrebbe innescare una spirale di violenze dalle conseguenze imprevedibili. Non credo che l’orizzonte dell’opposizione riesca ad aprirsi, per fare un fronte unito contro l’islam politico.
Radio Vaticana - Bendetta Capelli ne ha parlato con Luciano Ardesi, esperto di nord Africa:
R. - In questo momento, qualsiasi occasione non può che accentuare la tensione, già piuttosto alta in questi ultimi mesi. Quindi, il secondo anniversario della cacciata di Mubarak ed il malessere diffuso sul piano economico e sociale, stanno creando una miscela esplosiva, e quello che sta succedendo a Piazza Tahrir, a Port Said ed anche nelle altre città e località egiziane, sono lo specchio di questa realtà.
D. - Nel mirino dei manifestanti c’è soprattutto la polizia, perché si ritiene che gli incidenti di un anno fa siano stati pianificati proprio per ritorsione…
R. - Non è mai stata fatta chiarezza su quello che è successo nello stadio, però sicuramente i manifestanti hanno avuto un interesse ad accentuare questa interpretazione. Ma, io credo che ci sia, in fondo a tutto questo, un’insoddisfazione generale, che sta scatenando una violenza da parte dei manifestanti. Violenza di per sé non giustificata, ma la protesta è sicuramente sacrosanta; poi il governo di Morsi non ha affatto mantenuto le promesse. Tra l’altro, siamo già entrati in campagna elettorale, con le elezioni del prossimo Parlamento in aprile e con una Costituzione, approvata attraverso un referendum non sempre trasparente, sulla quale non c’è stata la possibilità di un vero dialogo.
D. - L’Egitto, Paese non pacificato. Abbiamo detto che a livello politico c’è molta incertezza, ma è anche un Paese che a livello economico - possiamo dire - è sul baratro. Sono questi i due elementi che pesano e che fanno, a questo punto, infiammare la rabbia dei manifestanti?
R. - Sì, esatto. Proprio questi due elementi non si vede come possano essere cambiati nel breve periodo. Morsi, ripeto, ha dato dimostrazione di non essere capace di governare la crisi economica e sociale del Paese, che non è nuova, non nasce certamente oggi, anzi nasce come una delle cause della rivolta e della rivoluzione egiziana. Questa incapacità si è manifestata più volte, anche per mancanza di volontà di mediazione politica, che certamente avrebbe posto l’opinione pubblica egiziana e i movimenti di protesta su un altro piano; avrebbe incanalato la protesta in ambiti diversi. Oggi, non rimane che la protesta, con tutte le conseguenze che questo può comportare.
D. - Quali sono le anime che potrebbero emergere in questa fase politica? Piazza Tahrir, in un certo senso, è stata una prova generale per i Fratelli Musulmani; adesso, a due anni di distanza, quali forze si stanno mettendo in evidenza?
R. - Questo è il dramma forse più grande dell’Egitto in questo momento. Non ci sono forze organizzate, in grado di contrapporsi in maniera efficace e continuativa. Il pericolo è che la protesta si manifesti con violenze ripetute, magari anche in diverse parti del Paese, però questa protesta rischia di restare ancora una volta senza un’organizzazione, senza una struttura che dia coerenza e continuità. Quindi, il rischio è che la repressione, che il presidente sta mettendo in pratica senza economie, potrebbe innescare una spirale di violenze dalle conseguenze imprevedibili. Non credo che l’orizzonte dell’opposizione riesca ad aprirsi, per fare un fronte unito contro l’islam politico.
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