Nel 2012 la Germania ha registrato il tasso di disoccupazione più basso dal 1991: i senza lavoro, secondo dati diffusi oggi, si sono ridotti dello 0,3%, scendendo al 6,8%.
Radio Vaticana - In Spagna, invece, i disoccupati – benché in calo nell’ultimo mese - sono aumentati del 9,6% nel corso dello scorso anno, toccando la cifra record del 25% nel terzo trimestre. Sempre secondo dati diffusi in giornata, i sussidi settimanali di disoccupazione negli Usa sono aumentati di 10mila unità. La crisi globale, dunque, continua a influenzare in maniera diversa le economie dei Paesi. Una crisi iniziata tra il 2007 e il 2008, con i mutui subprime negli Stati Uniti, e proseguita in Europa con i debiti sovrani. Il tutto, tra l’allarme dello spread tra titoli di Paesi europei o il cosiddetto fiscal cliff, il baratro fiscale appena scongiurato a Washington. Ma cosa è cambiato nel resto del mondo? Nell’intervista di Fausta Speranza, lo spiega il prof. Giovanni Ferri, docente di prospettive macroeconomiche globali all’Università Luiss: ascolta
R. – Prima del 2007/2008, la crescita dei Paesi emergenti –si parla spesso dei Brics, appunto i quattro, Brasile, Russia, India, Cina, poi alcuni aggiungono il Sudafrica – marciava a ritmi sostenuti trainati dalle esportazioni. Quindi, avevamo una globalizzazione con una forza produttiva che si stava sviluppando a ritmi molto sostenuti nelle economie emergenti e una domanda concentrata invece nei Paesi ricchi. La domanda dei Paesi europei, nel loro complesso, non era squilibrata, perché non c’era uno squilibrio nei conti con l’estero per l’area dell’euro, mentre c’erano forti squilibri da parte degli Stati Uniti. Oggi i Paesi emergenti continuano a crescere nonostante le economie avanzate siano in crisi e nonostante, quindi, la domanda si sia ridotta fortemente negli Stati Uniti e ancor più in Europa, perché hanno trovato un modo di far crescere la domanda interna. Stanno crescendo molto anche i flussi commerciali tra di loro, tra i Paesi emergenti.
D. – Guardiamo un po’ più da vicino l’Asia …
R. – La Cina ha avuto un raffreddamento abbastanza significativo nel corso del 2012, diversamente da quanto è avvenuto in Europa e negli Stati Uniti: non si registra decrescita, non c’è una caduta nel prodotto interno lordo; c’è solo un rallentamento nei ritmi di crescita. Per la Cina, che da molti anni cresceva al 10 per cento, il ritmo di crescita si è abbassato fino al 5 per cento. Ma adesso è risalito, è intorno al 7-8 per cento. Nel 2012 si sono avuti segni di rallentamento abbastanza netti, si è avuta anche la sensazione che ci potessero essere degli squilibri interni alla Cina, ad esempio, con un mercato immobiliare sopravvalutato, che era stato gonfiato da una forte crescita del credito. I prezzi hanno incominciato a scendere sul mercato immobiliare, cosa che non si era mai vista nell’esperienza degli ultimi decenni della Cina, ma adesso, proprio nelle ultime settimane, sono arrivati segnali che cambiano quel segno. Gli ultimi segnali che ho visto sono di un recupero della crescita in Cina, anche se non sarà più al 10 per cento. E ovviamente, ormai, la Cina è diventata la seconda economia più grande del mondo e dunque la crescita della Cina determina anche importanti conseguenze per i Paesi con cui intrattiene scambi commerciali.
D. – Qual è invece la situazione dell’Africa?
R. – Occorre distinguere quantomeno la parte Nord dal Cono australe. Nella parte Nord, oltre alle conseguenze della crisi negli Stati Uniti e in Europa e della crisi globale, hanno avuto forti effetti i fenomeni di instabilità politica, l’instabilità dei regimi, quella che è definita la Primavera araba. Le conseguenze nell’immediato sono negative, dal punto di vista della dinamica economica. Poi, potranno essere anche molto positive se avranno degli sviluppi positivi in termini di determinare regimi più liberi, più aperti al commercio con l’estero. Per quanto riguarda l’Africa australe, abbiamo invece il ruolo del Sudafrica che si conferma come un’economia abbastanza dinamica, anche se pure là si sono avuto dei segni di fragilità politica che potrebbero, a lungo andare, avere anche conseguenze negative. Per l’Africa credo che vada fatta una considerazione anche alla luce delle politiche internazionali, di stampo mercantile: penso alla Cina arrivata nel Continente – questo vale in parte anche per l’America Latina – con le grandi imprese cinesi e gli accordi commerciali bilaterali che hanno portato alla concessione dell’uso di risorse naturali in cambio di interventi per lo più di natura infrastrutturale o sfruttamento delle risorse ambientali in senso lato, anche dal punto di vista turistico.
Radio Vaticana - In Spagna, invece, i disoccupati – benché in calo nell’ultimo mese - sono aumentati del 9,6% nel corso dello scorso anno, toccando la cifra record del 25% nel terzo trimestre. Sempre secondo dati diffusi in giornata, i sussidi settimanali di disoccupazione negli Usa sono aumentati di 10mila unità. La crisi globale, dunque, continua a influenzare in maniera diversa le economie dei Paesi. Una crisi iniziata tra il 2007 e il 2008, con i mutui subprime negli Stati Uniti, e proseguita in Europa con i debiti sovrani. Il tutto, tra l’allarme dello spread tra titoli di Paesi europei o il cosiddetto fiscal cliff, il baratro fiscale appena scongiurato a Washington. Ma cosa è cambiato nel resto del mondo? Nell’intervista di Fausta Speranza, lo spiega il prof. Giovanni Ferri, docente di prospettive macroeconomiche globali all’Università Luiss: ascolta
R. – Prima del 2007/2008, la crescita dei Paesi emergenti –si parla spesso dei Brics, appunto i quattro, Brasile, Russia, India, Cina, poi alcuni aggiungono il Sudafrica – marciava a ritmi sostenuti trainati dalle esportazioni. Quindi, avevamo una globalizzazione con una forza produttiva che si stava sviluppando a ritmi molto sostenuti nelle economie emergenti e una domanda concentrata invece nei Paesi ricchi. La domanda dei Paesi europei, nel loro complesso, non era squilibrata, perché non c’era uno squilibrio nei conti con l’estero per l’area dell’euro, mentre c’erano forti squilibri da parte degli Stati Uniti. Oggi i Paesi emergenti continuano a crescere nonostante le economie avanzate siano in crisi e nonostante, quindi, la domanda si sia ridotta fortemente negli Stati Uniti e ancor più in Europa, perché hanno trovato un modo di far crescere la domanda interna. Stanno crescendo molto anche i flussi commerciali tra di loro, tra i Paesi emergenti.
D. – Guardiamo un po’ più da vicino l’Asia …
R. – La Cina ha avuto un raffreddamento abbastanza significativo nel corso del 2012, diversamente da quanto è avvenuto in Europa e negli Stati Uniti: non si registra decrescita, non c’è una caduta nel prodotto interno lordo; c’è solo un rallentamento nei ritmi di crescita. Per la Cina, che da molti anni cresceva al 10 per cento, il ritmo di crescita si è abbassato fino al 5 per cento. Ma adesso è risalito, è intorno al 7-8 per cento. Nel 2012 si sono avuti segni di rallentamento abbastanza netti, si è avuta anche la sensazione che ci potessero essere degli squilibri interni alla Cina, ad esempio, con un mercato immobiliare sopravvalutato, che era stato gonfiato da una forte crescita del credito. I prezzi hanno incominciato a scendere sul mercato immobiliare, cosa che non si era mai vista nell’esperienza degli ultimi decenni della Cina, ma adesso, proprio nelle ultime settimane, sono arrivati segnali che cambiano quel segno. Gli ultimi segnali che ho visto sono di un recupero della crescita in Cina, anche se non sarà più al 10 per cento. E ovviamente, ormai, la Cina è diventata la seconda economia più grande del mondo e dunque la crescita della Cina determina anche importanti conseguenze per i Paesi con cui intrattiene scambi commerciali.
D. – Qual è invece la situazione dell’Africa?
R. – Occorre distinguere quantomeno la parte Nord dal Cono australe. Nella parte Nord, oltre alle conseguenze della crisi negli Stati Uniti e in Europa e della crisi globale, hanno avuto forti effetti i fenomeni di instabilità politica, l’instabilità dei regimi, quella che è definita la Primavera araba. Le conseguenze nell’immediato sono negative, dal punto di vista della dinamica economica. Poi, potranno essere anche molto positive se avranno degli sviluppi positivi in termini di determinare regimi più liberi, più aperti al commercio con l’estero. Per quanto riguarda l’Africa australe, abbiamo invece il ruolo del Sudafrica che si conferma come un’economia abbastanza dinamica, anche se pure là si sono avuto dei segni di fragilità politica che potrebbero, a lungo andare, avere anche conseguenze negative. Per l’Africa credo che vada fatta una considerazione anche alla luce delle politiche internazionali, di stampo mercantile: penso alla Cina arrivata nel Continente – questo vale in parte anche per l’America Latina – con le grandi imprese cinesi e gli accordi commerciali bilaterali che hanno portato alla concessione dell’uso di risorse naturali in cambio di interventi per lo più di natura infrastrutturale o sfruttamento delle risorse ambientali in senso lato, anche dal punto di vista turistico.
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