Un omaggio al suo maestro per il decennale della morte del grande attore romano. Un viaggio alla scoperta del Sordi uomo, attraverso le stanze della sua casa romana e le testimonianze di attori e amici che l’hanno conosciuto intimamente.
di Cristina Bianchino
Se avevate pensato al docu-film di Verdone, come ad una celebrazione della carriera di Alberto Sordi, dovrete in parte rivedere le vostre aspettative. “Alberto il Grande”, di Luca e Carlo Verdone, è soprattutto un viaggio alla scoperta del Sordi più segreto, dell’uomo che solo pochi hanno avuto la fortuna di conoscere a fondo.
Sull’attore è stato forse già detto tutto: gli sono state dedicate trasmissioni speciali, omaggi di ogni tipo, per non parlare dei suoi film che ogni volta, all’ennesimo passaggio televisivo, interrompono il nostro zapping. Restiamo lì, fermi, col telecomando in mano, immobilizzati dal suo sguardo sornione, da quella mimica inconfondibile, dalla sua voce unica. Nonostante sia stato uno dei più grandi attori italiani, di lui si è sempre saputo poco. Tanto dirompente in scena, ma riservato nella vita. Pochi, pochissimi sono entrati nella sua casa di Via Druso a Roma che, già quando era in vita, era meta di pellegrinaggio di romani e di quanti volevano vedere da vicino dove abitava Alberto Sordi.
Verdone, novello Virgilio, ci accompagna tra le stanze della casa di Albertone dove tutto è rimasto fermo a quel 24 febbraio 2003 quando se ne andò lasciando sgomenta la sua Roma e mezza Italia. Perché Sordi non era solo un grande attore, era un pezzo di tutti noi. E un po’ ci piaceva vederlo raccontare i nostri difetti: in qualche modo ci accomunava e, nel mostrarci i nostri errori, ci ammoniva ma ci faceva anche sentire meno “sbagliati”. Come se quella sua rappresentazione potesse in parte giustificare le nostre mancanze.
Con il suo Oreste Jacovacci ne “La grande guerra” deride la vigliaccheria che, però, non arriva mai a trasformarsi in tradimento. Ne “Il vigile” c’è l’indolenza dell’italiano, la sua voglia di emergere e le sue debolezze.
Con lui perfino i difetti fisici suscitano simpatia e voglia di riscatto. Ecco allora personaggi come l’inarrestabile “zoppetto” di “Brevi amori a Palma di Majorca” che, grazie alla sua verve e alla sua intraprendenza riesce a conquistare perfino una famosa diva americana.
Aneddoti legati ai suoi film, ma soprattutto all’aspetto più privato di Sordi: in “Alberto il Grande” sono tanti i volti che raccontano il suo vissuto, una battuta, una debolezza, un particolare evento. Una lunga carrellata di testimonianze di amici, registi, colleghi, collaboratori e studiosi: da Franca Valeri a Gigi Proietti, da Christian De Sica ad Enrico e Carlo Vanzina. E poi ancora Pippo Baudo, Claudia Cardinale, Gian Luigi Rondi, Goffredo Fofi, Ettore Scola.
Emi De Sica, figlia di Vittorio, racconta quanto fosse vera l’avversione di Sordi per il matrimonio: “Il giorno delle mie nozze – ricorda – venne a salutarmi dicendomi: ‘Cosa ti ha portato al folle gesto?”. Un’insofferenza che lui stesso non ha mai negato: “Pensa quando te svegli la mattina e te trovi sto fagottone nel letto… Ma chi sei?!”. Famosa la sua risposta a chi gli chiedeva se avesse progetti matrimoniali: “E che so’ matto! Che faccio, me metto un’estranea dentro casa?”.
Nessun matrimonio, ma diverse storie d’amore importanti. Verdone focalizza quella fondamentale con Andreina Pagnani, più grande di lui. Accenna alle voci di una presunta storia con Monica Vitti. Nei racconti emerge un uomo conosciuto eppure diverso da come ci si aspetta, generoso in amore, e non solo. La sua presunta tirchieria viene ancora una volta smentita dai fatti: donazioni, lasciti per associazioni benefiche, a favore degli anziani e dei malati.
Sua sorella Aurelia apre le porte della sua casa a Carlo Verdone e, idealmente a tutti gli italiani. Chiacchiera con Carlo, circondata dal personale di servizio, Arturo l’autista, Pierina la governante. È lei a raccontare gli aspetti della vita casalinga di Sordi: gli abiti sempre in ordine e la pasta al sugo, solo al sugo con le polpette. Con altri condimenti non era pasta!
Verdone ci mostra gli ambienti più cari a Sordi, la barberia, dove amava preparasi prima di uscire per una serata importante, e il teatro personale, costruito nel 1960. Tutto conservato con cura. Molti i nomi famosi passati tra queste stanze, da Monica Vitti a Giulio Andreotti, Federico Fellini, Sergio Amidei, Claudia Cardinale. “Non ha mai allargato la compagnia – dice Verdone - e, quando era in vena, saliva sul palco e si esibiva in qualcuno dei suoi personaggi”. In quegli anni era festaiolo, la sua chiusura arrivò più tardi: nel 1972, con la morte della sorella Savina, diventa più riservato, niente più grandi feste.
Carlo Verdone si aggira nel suo studio, in salotto, in bagno: “La cosa incredibile – dice - è che si sente la sua presenza. Si ha quasi paura di toccare qualcosa perché si sente la presenza del padrone di casa”.
Ovvio che lo sguardo di Carlo appaia intimo e affettuoso. Ma non mancano certo le sequenze tratte dai suoi film, video e immagini inedite scovate negli archivi di Medusa, Rai, Cinecittà Luce, Fondazione Alberto Sordi, che contribuiscono a ricostruire un ritratto umano e artistico.
Un film documentario che verrà proiettato ai Festival, nelle università e anche nelle scuole per insegnare ai giovani chi era veramente Alberto Sordi.
Per Vanzina, impersonava vizi e difetti degli italiani, “ma era talmente bravo – dice - che alla fine erano gli italiani che imitavano lui e il suo modo di parlare”. Ma la verità più semplice la dice forse Christian De Sica: “Con Sordi tu ridevi senza che lui facesse la battuta, ridevi perché lui diceva: “Ma che vòi? Ma chi sei?”. Tutto vero.
Nel film non poteva mancare l’addio di Roma al suo Alberto, quella fiumana di gente in coda per rendergli omaggio alla camera ardente; e poi la folla immensa ai funerali, molti con “Il Messaggero” in alto, a mostrare la prima pagina con una sua foto sorridente e un grandissimo “Ciao!”. Centinaia di migliaia di romani con gli occhi lucidi perché con Alberto se ne andava anche un pezzo della nostra storia.
di Cristina Bianchino
Se avevate pensato al docu-film di Verdone, come ad una celebrazione della carriera di Alberto Sordi, dovrete in parte rivedere le vostre aspettative. “Alberto il Grande”, di Luca e Carlo Verdone, è soprattutto un viaggio alla scoperta del Sordi più segreto, dell’uomo che solo pochi hanno avuto la fortuna di conoscere a fondo.
Sull’attore è stato forse già detto tutto: gli sono state dedicate trasmissioni speciali, omaggi di ogni tipo, per non parlare dei suoi film che ogni volta, all’ennesimo passaggio televisivo, interrompono il nostro zapping. Restiamo lì, fermi, col telecomando in mano, immobilizzati dal suo sguardo sornione, da quella mimica inconfondibile, dalla sua voce unica. Nonostante sia stato uno dei più grandi attori italiani, di lui si è sempre saputo poco. Tanto dirompente in scena, ma riservato nella vita. Pochi, pochissimi sono entrati nella sua casa di Via Druso a Roma che, già quando era in vita, era meta di pellegrinaggio di romani e di quanti volevano vedere da vicino dove abitava Alberto Sordi.
Verdone, novello Virgilio, ci accompagna tra le stanze della casa di Albertone dove tutto è rimasto fermo a quel 24 febbraio 2003 quando se ne andò lasciando sgomenta la sua Roma e mezza Italia. Perché Sordi non era solo un grande attore, era un pezzo di tutti noi. E un po’ ci piaceva vederlo raccontare i nostri difetti: in qualche modo ci accomunava e, nel mostrarci i nostri errori, ci ammoniva ma ci faceva anche sentire meno “sbagliati”. Come se quella sua rappresentazione potesse in parte giustificare le nostre mancanze.
Con il suo Oreste Jacovacci ne “La grande guerra” deride la vigliaccheria che, però, non arriva mai a trasformarsi in tradimento. Ne “Il vigile” c’è l’indolenza dell’italiano, la sua voglia di emergere e le sue debolezze.
Con lui perfino i difetti fisici suscitano simpatia e voglia di riscatto. Ecco allora personaggi come l’inarrestabile “zoppetto” di “Brevi amori a Palma di Majorca” che, grazie alla sua verve e alla sua intraprendenza riesce a conquistare perfino una famosa diva americana.
Aneddoti legati ai suoi film, ma soprattutto all’aspetto più privato di Sordi: in “Alberto il Grande” sono tanti i volti che raccontano il suo vissuto, una battuta, una debolezza, un particolare evento. Una lunga carrellata di testimonianze di amici, registi, colleghi, collaboratori e studiosi: da Franca Valeri a Gigi Proietti, da Christian De Sica ad Enrico e Carlo Vanzina. E poi ancora Pippo Baudo, Claudia Cardinale, Gian Luigi Rondi, Goffredo Fofi, Ettore Scola.
Emi De Sica, figlia di Vittorio, racconta quanto fosse vera l’avversione di Sordi per il matrimonio: “Il giorno delle mie nozze – ricorda – venne a salutarmi dicendomi: ‘Cosa ti ha portato al folle gesto?”. Un’insofferenza che lui stesso non ha mai negato: “Pensa quando te svegli la mattina e te trovi sto fagottone nel letto… Ma chi sei?!”. Famosa la sua risposta a chi gli chiedeva se avesse progetti matrimoniali: “E che so’ matto! Che faccio, me metto un’estranea dentro casa?”.
Sua sorella Aurelia apre le porte della sua casa a Carlo Verdone e, idealmente a tutti gli italiani. Chiacchiera con Carlo, circondata dal personale di servizio, Arturo l’autista, Pierina la governante. È lei a raccontare gli aspetti della vita casalinga di Sordi: gli abiti sempre in ordine e la pasta al sugo, solo al sugo con le polpette. Con altri condimenti non era pasta!
Verdone ci mostra gli ambienti più cari a Sordi, la barberia, dove amava preparasi prima di uscire per una serata importante, e il teatro personale, costruito nel 1960. Tutto conservato con cura. Molti i nomi famosi passati tra queste stanze, da Monica Vitti a Giulio Andreotti, Federico Fellini, Sergio Amidei, Claudia Cardinale. “Non ha mai allargato la compagnia – dice Verdone - e, quando era in vena, saliva sul palco e si esibiva in qualcuno dei suoi personaggi”. In quegli anni era festaiolo, la sua chiusura arrivò più tardi: nel 1972, con la morte della sorella Savina, diventa più riservato, niente più grandi feste.
Ovvio che lo sguardo di Carlo appaia intimo e affettuoso. Ma non mancano certo le sequenze tratte dai suoi film, video e immagini inedite scovate negli archivi di Medusa, Rai, Cinecittà Luce, Fondazione Alberto Sordi, che contribuiscono a ricostruire un ritratto umano e artistico.
Un film documentario che verrà proiettato ai Festival, nelle università e anche nelle scuole per insegnare ai giovani chi era veramente Alberto Sordi.
Per Vanzina, impersonava vizi e difetti degli italiani, “ma era talmente bravo – dice - che alla fine erano gli italiani che imitavano lui e il suo modo di parlare”. Ma la verità più semplice la dice forse Christian De Sica: “Con Sordi tu ridevi senza che lui facesse la battuta, ridevi perché lui diceva: “Ma che vòi? Ma chi sei?”. Tutto vero.
Nel film non poteva mancare l’addio di Roma al suo Alberto, quella fiumana di gente in coda per rendergli omaggio alla camera ardente; e poi la folla immensa ai funerali, molti con “Il Messaggero” in alto, a mostrare la prima pagina con una sua foto sorridente e un grandissimo “Ciao!”. Centinaia di migliaia di romani con gli occhi lucidi perché con Alberto se ne andava anche un pezzo della nostra storia.
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