L’impressione resta quella di una navigazione a vista, senza timoniere…
La magistratura nei giorni scorsi ha messo in atto alcuni provvedimenti di custodia cautelare verso i massimi vertici di Finmeccanica. L’accusa è di corruzione internazionale nei confronti dell’India: nel 2010 l’azienda avrebbe pagato tangenti per aggiudicarsi la vendita di 12 elicotteri AW101 (della controllata inglese Augusta-Westland). Dal canto suo, il Ministero della Difesa indiano ha tenuto a precisare che non ci sono prove a sostegno delle accuse. La vicenda è stata ribattezzata ‘scandalo Finmeccanica’ ma in realtà la prassi delle tangenti (chiamate dagli ‘addetti ai lavori’ extra-costi o consulenze) era a conoscenza di tutti: è noto che circa il 40% della corruzione totale nelle transazioni globali vede coinvolte le aziende che commerciano armamenti. Finmeccanica produce elicotteri, aerei, carri armati, missili, munizioni teleguidate, sistemi antiaerei, artiglierie, satelliti e centri di telecomunicazione: il mercato delle armi è quello più lucroso del mondo e, nello stesso tempo, è l’ambito commerciale in cui più di ogni altro è diffuso il fenomeno corruttivo.
L’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma definisce questo tipo di illecito ‘endemico’: sono pagate ogni anno nel mondo tangenti per 20 miliardi di dollari. Lo scandalo Finmeccanica è quindi la manifestazione di un fenomeno mondiale globale, che però mostra pericolose interconnessioni con gli stati nazionali che non sembrano discostarsi da certe ‘prassi’. Lasciamo a voi lettori il giudizio, citando alcuni episodi che danno la misura della diffusione del problema. Il primo è una cerimonia svoltasi a Bengasi, in Libia, all’inizio del mese: in quell’occasione Il governo italiano, (rappresentato dal Ministro della Difesa) ha regalato al governo provvisorio libico 20 autoblindo ‘Puma ‘ del valore complessivo di 100 milioni di euro. Pura filantropia? Chi vuole può crederci. Più verosimilmente l’iniziativa servirà a sugellare un progetto di fornitura di armamenti (in via di perfezionamento); la paternità è di Finmeccanica ed ha un valore di 2 miliardi di euro: è ovvio che la cessione dei ‘Puma’ avrà un effetto positivo sull’assegnazione della commessa. Tornano alla mente i carri armati M 47 donati negli anni ‘80 al regime di Siad Barre in Somalia: armi per contratti, e non c’è da esserne orgogliosi… Paragone esagerato? No, se consideriamo il contesto libico: si tratta di un paese nel caos, fortemente instabile, dilaniato da conflitti tra fazioni, che non ancora si è dotato di un governo e che non eccelle nella difesa dei diritti umani.
L’episodio non è l’unico: durante la guerra civile libica, la nave della marina militare ‘Libra’, in aperta violazione del mandato ONU, ha portato un carico di armi ai ribelli nascosto sotto gli aiuti alimentari; poi al primo è seguito un secondo, più sostanzioso, occultato tramite vettori civili. Quando la Procura della Repubblica ha aperto l’inchiesta, è stato apposto il segreto di stato e chiusa la faccenda. Tutto legale: è lo stato ad agire. Tuttavia, è nient’altro che la dimostrazione di come l’interesse nazionale sia confuso con l’opportunità politica e la ‘penetrazione commerciale’.
Lo sfondo sembra quello di uno scenario mondiale sempre più globalizzato e aggressivo in cui gli interessi dirigono le azioni degli stati. Come ha detto in una bella immagine il filosofo Soren Kierkegaard, “la nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”. Si naviga a vista, senza il comandante, anteponendo alle considerazioni etiche sempre ‘la ragion di stato’, mentre la Costituzione è continuamente interpretata.
I dati del Corruption Perception Index di Transparency International parlano chiaro (è un rapporto stilato ogni anno dal massimo organo di controllo della corruzione): il nostro paese è al 72° posto nella classifica mondiale degli stati più corrotti (in una lista di 174 dove l’ultimo è il peggiore), insieme alla Colombia e alla Bulgaria. La speranza è di risalire un po’: l’anno scorso è stata approvata la Legge 6 novembre 2012, n. 190, in linea con le indicazioni fornite dalla Convenzione Onu di Merida e la Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo, sia con gli standard internazionali di contrasto ai fenomeni corruttivi (un po’ in ritardo ma ci siamo arrivati).
Intanto a difendere gli interessi italiani ci pensa la Gran Bretagna. Il primo ministro Cameron è volato in Asia per convincere il governo indiano a non rinunciare alla commessa degli elicotteri: “AgustaWestland è una società eccellente con personale preparato e che produce elicotteri d’avanguardia” ha detto. La visita del premier britannico è avvenuta poco dopo quella del presidente francese Hollande che è riuscito a piazzare i suoi caccia Rafale per 12 miliardi di dollari. E l’Italia? Dopo lo scandalo che ha investito uno degli ultimi gioielli dell’industria italiana (peraltro al 30% di proprietà dello stato italiano) nessun rappresentante istituzionale si è preso la briga di andare in India per gestire la criticità, rassicurare, dare garanzie.
Abbiamo aperto il vaso di pandora, ma ora cosa fare? Ce lo ci ricorda Transparency International: favorire i controlli da parte di più enti e, ovviamente, la trasparenza. C’è però un punto di partenza che interessa tutti: il problema della corruzione si risolverà quando metteremo veramente la dignità umana e la pace al primo posto. Solo allora la legge sarà (veramente) uguale per tutti.
di Patrizio Ricci
La magistratura nei giorni scorsi ha messo in atto alcuni provvedimenti di custodia cautelare verso i massimi vertici di Finmeccanica. L’accusa è di corruzione internazionale nei confronti dell’India: nel 2010 l’azienda avrebbe pagato tangenti per aggiudicarsi la vendita di 12 elicotteri AW101 (della controllata inglese Augusta-Westland). Dal canto suo, il Ministero della Difesa indiano ha tenuto a precisare che non ci sono prove a sostegno delle accuse. La vicenda è stata ribattezzata ‘scandalo Finmeccanica’ ma in realtà la prassi delle tangenti (chiamate dagli ‘addetti ai lavori’ extra-costi o consulenze) era a conoscenza di tutti: è noto che circa il 40% della corruzione totale nelle transazioni globali vede coinvolte le aziende che commerciano armamenti. Finmeccanica produce elicotteri, aerei, carri armati, missili, munizioni teleguidate, sistemi antiaerei, artiglierie, satelliti e centri di telecomunicazione: il mercato delle armi è quello più lucroso del mondo e, nello stesso tempo, è l’ambito commerciale in cui più di ogni altro è diffuso il fenomeno corruttivo.
L’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma definisce questo tipo di illecito ‘endemico’: sono pagate ogni anno nel mondo tangenti per 20 miliardi di dollari. Lo scandalo Finmeccanica è quindi la manifestazione di un fenomeno mondiale globale, che però mostra pericolose interconnessioni con gli stati nazionali che non sembrano discostarsi da certe ‘prassi’. Lasciamo a voi lettori il giudizio, citando alcuni episodi che danno la misura della diffusione del problema. Il primo è una cerimonia svoltasi a Bengasi, in Libia, all’inizio del mese: in quell’occasione Il governo italiano, (rappresentato dal Ministro della Difesa) ha regalato al governo provvisorio libico 20 autoblindo ‘Puma ‘ del valore complessivo di 100 milioni di euro. Pura filantropia? Chi vuole può crederci. Più verosimilmente l’iniziativa servirà a sugellare un progetto di fornitura di armamenti (in via di perfezionamento); la paternità è di Finmeccanica ed ha un valore di 2 miliardi di euro: è ovvio che la cessione dei ‘Puma’ avrà un effetto positivo sull’assegnazione della commessa. Tornano alla mente i carri armati M 47 donati negli anni ‘80 al regime di Siad Barre in Somalia: armi per contratti, e non c’è da esserne orgogliosi… Paragone esagerato? No, se consideriamo il contesto libico: si tratta di un paese nel caos, fortemente instabile, dilaniato da conflitti tra fazioni, che non ancora si è dotato di un governo e che non eccelle nella difesa dei diritti umani.
L’episodio non è l’unico: durante la guerra civile libica, la nave della marina militare ‘Libra’, in aperta violazione del mandato ONU, ha portato un carico di armi ai ribelli nascosto sotto gli aiuti alimentari; poi al primo è seguito un secondo, più sostanzioso, occultato tramite vettori civili. Quando la Procura della Repubblica ha aperto l’inchiesta, è stato apposto il segreto di stato e chiusa la faccenda. Tutto legale: è lo stato ad agire. Tuttavia, è nient’altro che la dimostrazione di come l’interesse nazionale sia confuso con l’opportunità politica e la ‘penetrazione commerciale’.
Lo sfondo sembra quello di uno scenario mondiale sempre più globalizzato e aggressivo in cui gli interessi dirigono le azioni degli stati. Come ha detto in una bella immagine il filosofo Soren Kierkegaard, “la nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”. Si naviga a vista, senza il comandante, anteponendo alle considerazioni etiche sempre ‘la ragion di stato’, mentre la Costituzione è continuamente interpretata.
I dati del Corruption Perception Index di Transparency International parlano chiaro (è un rapporto stilato ogni anno dal massimo organo di controllo della corruzione): il nostro paese è al 72° posto nella classifica mondiale degli stati più corrotti (in una lista di 174 dove l’ultimo è il peggiore), insieme alla Colombia e alla Bulgaria. La speranza è di risalire un po’: l’anno scorso è stata approvata la Legge 6 novembre 2012, n. 190, in linea con le indicazioni fornite dalla Convenzione Onu di Merida e la Convenzione penale sulla corruzione di Strasburgo, sia con gli standard internazionali di contrasto ai fenomeni corruttivi (un po’ in ritardo ma ci siamo arrivati).
Intanto a difendere gli interessi italiani ci pensa la Gran Bretagna. Il primo ministro Cameron è volato in Asia per convincere il governo indiano a non rinunciare alla commessa degli elicotteri: “AgustaWestland è una società eccellente con personale preparato e che produce elicotteri d’avanguardia” ha detto. La visita del premier britannico è avvenuta poco dopo quella del presidente francese Hollande che è riuscito a piazzare i suoi caccia Rafale per 12 miliardi di dollari. E l’Italia? Dopo lo scandalo che ha investito uno degli ultimi gioielli dell’industria italiana (peraltro al 30% di proprietà dello stato italiano) nessun rappresentante istituzionale si è preso la briga di andare in India per gestire la criticità, rassicurare, dare garanzie.
Abbiamo aperto il vaso di pandora, ma ora cosa fare? Ce lo ci ricorda Transparency International: favorire i controlli da parte di più enti e, ovviamente, la trasparenza. C’è però un punto di partenza che interessa tutti: il problema della corruzione si risolverà quando metteremo veramente la dignità umana e la pace al primo posto. Solo allora la legge sarà (veramente) uguale per tutti.
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