«A dieci anni dall’inizio della guerra, quasi nulla è cambiato». Queste le parole di monsignor Amel Shimon Nona ad Aiuto alla Chiesa che Soffre.
L’arcivescovo caldeo di Mosul, città nel Nord dell’Iraq, si fa portavoce della completa perdita di speranza dei suoi fedeli, stanchi del perpetuarsi di tensioni, instabilità e insicurezza. In questo decennio le divisioni tra i vari gruppi etnici e religiosi si sono acutizzate. «E ora tutti gli attori sociali sono schierati gli uni contro gli altri». La frammentazione della società e la mancanza di un’identità nazionale irachena si riflette anche nella composizione dei partiti politici, fondati in base all’appartenenza etnica e religiosa. «Una situazione che noi cristiani subiamo più degli altri, perché non esistono schieramenti che tutelino i nostri interessi . Il nostro unico strumento di difesa è la coesistenza pacifica». L’arcivescovo riferisce ad ACS di come a Mosul il livello di sicurezza sia rimasto pressoché invariato negli anni. Le attività pastorali e le celebrazioni hanno tuttora luogo soltanto nelle Chiese e in alcuni locali parrocchiali. Inoltre monsignor Nona è costretto ad evitare la talare vescovile per far visita ai fedeli in alcune zone particolarmente difficili della città. «A volte devo nascondermi un po’, ma non ho mai cercato vie più sicure. Voglio percorrere le strade normali, le stesse battute ogni giorno dai miei fedeli per andare a scuola o al lavoro».
A Mosul il 2013 si è aperto con le proteste antigovernative dei gruppi sunniti, scesi in piazza per esprimere il proprio dissenso in vista delle consultazioni provinciali del prossimo aprile. Sono seguiti scontri e violenze che hanno colpito anche la minoranza cristiana. Un nuovo colpo per le speranze dei cristiani che il 24 dicembre scorso, per la prima volta dal 2003, avevano potuto celebrare la messa di sera. Negli ultimi anni in molte città irachene la messa della vigilia si è tenuta di pomeriggio per ragioni di sicurezza. «Dieci anni dopo l’inizio della guerra, l’Iraq è ancora alla ricerca di stabilità. I fedeli non credono più nel cambiamento e continuano a lasciare il Paese». Prima del 2003 i cristiani a Mosul erano circa 35mila. Oggi sono meno di 3mila. Dalla caduta del regime di Saddam l’esodo dei fedeli non ha avuto fine ed è indicativo considerare che, seppure la minoranza cristiana rappresenti appena il 2% della popolazione, l’UNHCR riferisce che il 40% del milione e 600mila iracheni richiedenti asilo nel mondo è costituito da cristiani. E il pensiero di monsignor Nona va anche «alla dolorosa situazione» dei tantissimi rifugiati iracheni in Siria.
Guardando al futuro, l’arcivescovo di Mosul intravede nell’elezione del nuovo patriarca della Chiesa Caldea, Louis Raphaël I Sako, una speranza di cambiamento. «Il primo passo da compiere è comprendere che le divisioni tra le chiese cristiane non portano a nulla. Abbiamo bisogno di unità. In Iraq e in altri Paesi mediorientali noi cristiani siamo rimasti in pochissimi. E per testimoniare la nostra fede dobbiamo essere uniti». Dal 2003 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato alla Chiesa irachena – sostenuta sin dagli anni ’80 - oltre 3milioni e 680mila euro. Le offerte comprendono oltre un milione di euro in aiuti ai rifugiati iracheni all’estero e agli sfollati interni; 600mila euro di contributi alla formazione; più di un milione di euro in ricostruzioni di Chiese, conventi, centri diocesani multifunzionali, istituti e seminari; 370mila euro in intenzioni di messe per i sacerdoti, e decine di migliaia di copie della Bibbia del Fanciullo in arabo e assiro orientale.
L’arcivescovo caldeo di Mosul, città nel Nord dell’Iraq, si fa portavoce della completa perdita di speranza dei suoi fedeli, stanchi del perpetuarsi di tensioni, instabilità e insicurezza. In questo decennio le divisioni tra i vari gruppi etnici e religiosi si sono acutizzate. «E ora tutti gli attori sociali sono schierati gli uni contro gli altri». La frammentazione della società e la mancanza di un’identità nazionale irachena si riflette anche nella composizione dei partiti politici, fondati in base all’appartenenza etnica e religiosa. «Una situazione che noi cristiani subiamo più degli altri, perché non esistono schieramenti che tutelino i nostri interessi . Il nostro unico strumento di difesa è la coesistenza pacifica». L’arcivescovo riferisce ad ACS di come a Mosul il livello di sicurezza sia rimasto pressoché invariato negli anni. Le attività pastorali e le celebrazioni hanno tuttora luogo soltanto nelle Chiese e in alcuni locali parrocchiali. Inoltre monsignor Nona è costretto ad evitare la talare vescovile per far visita ai fedeli in alcune zone particolarmente difficili della città. «A volte devo nascondermi un po’, ma non ho mai cercato vie più sicure. Voglio percorrere le strade normali, le stesse battute ogni giorno dai miei fedeli per andare a scuola o al lavoro».
A Mosul il 2013 si è aperto con le proteste antigovernative dei gruppi sunniti, scesi in piazza per esprimere il proprio dissenso in vista delle consultazioni provinciali del prossimo aprile. Sono seguiti scontri e violenze che hanno colpito anche la minoranza cristiana. Un nuovo colpo per le speranze dei cristiani che il 24 dicembre scorso, per la prima volta dal 2003, avevano potuto celebrare la messa di sera. Negli ultimi anni in molte città irachene la messa della vigilia si è tenuta di pomeriggio per ragioni di sicurezza. «Dieci anni dopo l’inizio della guerra, l’Iraq è ancora alla ricerca di stabilità. I fedeli non credono più nel cambiamento e continuano a lasciare il Paese». Prima del 2003 i cristiani a Mosul erano circa 35mila. Oggi sono meno di 3mila. Dalla caduta del regime di Saddam l’esodo dei fedeli non ha avuto fine ed è indicativo considerare che, seppure la minoranza cristiana rappresenti appena il 2% della popolazione, l’UNHCR riferisce che il 40% del milione e 600mila iracheni richiedenti asilo nel mondo è costituito da cristiani. E il pensiero di monsignor Nona va anche «alla dolorosa situazione» dei tantissimi rifugiati iracheni in Siria.
Guardando al futuro, l’arcivescovo di Mosul intravede nell’elezione del nuovo patriarca della Chiesa Caldea, Louis Raphaël I Sako, una speranza di cambiamento. «Il primo passo da compiere è comprendere che le divisioni tra le chiese cristiane non portano a nulla. Abbiamo bisogno di unità. In Iraq e in altri Paesi mediorientali noi cristiani siamo rimasti in pochissimi. E per testimoniare la nostra fede dobbiamo essere uniti». Dal 2003 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato alla Chiesa irachena – sostenuta sin dagli anni ’80 - oltre 3milioni e 680mila euro. Le offerte comprendono oltre un milione di euro in aiuti ai rifugiati iracheni all’estero e agli sfollati interni; 600mila euro di contributi alla formazione; più di un milione di euro in ricostruzioni di Chiese, conventi, centri diocesani multifunzionali, istituti e seminari; 370mila euro in intenzioni di messe per i sacerdoti, e decine di migliaia di copie della Bibbia del Fanciullo in arabo e assiro orientale.
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